mercoledì 14 agosto 2019

Corriere 14.8.19
La nuova alleanza
di Antonio Polito


È la crisi più pazza del mondo. Si va al Senato convinti di assistere a una delle ore più gravi della Repubblica, e se ne esce con la sensazione che effettivamente la situazione politica è grave, ma non seria.
I senatori arrivano dritti dritti dalle vacanze, e si vede. Salvini sfotte quelli del Pd sostenendo che ne invidia l’abbronzatura, e quelli del Pd rispondono «Papeete Papeete». Sono stati tutti convocati il 13 di agosto per decidere se il presidente del Consiglio Conte deve andare in Aula a riferire della crisi oggi 14 agosto, anniversario della tragedia del Ponte Morandi, o martedì 20 agosto. Pare una questione di vita o di morte, e infatti c’è il pienone delle grandi occasioni. Salvini esige di votare subito la sfiducia al governo per farlo dimettere, non può aspettare neanche un giorno di più. Ma appena otto giorni fa, il 5 agosto, gli ricorda soave una senatrice sudtirolese, ha chiesto e ottenuto dalla stessa aula del Senato il voto di fiducia al governo sul decreto sicurezza-bis. Nel frattempo, però, il leader della Lega non si dimette né fa dimettere i suoi ministri, unico metodo sicuro per provocare la crisi di governo che pure tanto dichiara di volere.
La sua volontà di accelerare la distruzione del governo di cui fa ancora parte viene però bocciata dall’Aula, che lo mette in minoranza (in fin dei conti dispone solo del 17% dei seggi): il calendario è votato da un’alleanza nuova e spuria, che mette insieme Cinque Stelle e Pd e tutti quelli che non vogliono essere mandati a casa dal ministro dell’Interno (sono molti, anche in Forza Italia, ancora in attesa di sapere se verrà ammessa nella coalizione in caso di elezioni). Sembrerebbe profilarsi una sconfitta tattica per Salvini. Quella che un’ora prima del dibattito ha annunciato in conferenza stampa Renzi, vero e proprio regista dell’operazione Tutti Contro Matteo (l’altro). Ricuce con Zingaretti, accetta il lodo Bettini, e si dice convinto che la nuova maggioranza comparsa ieri al Senato possa diventare politica, darsi un programma, formare un nuovo governo, durare l’intera legislatura ed eleggere il successore di Mattarella nel 2022. Una specie di «contratto-bis»: così come Cinque Stelle e Lega si allearono dopo essersi combattuti alle elezioni, ora potrebbe succedere lo stesso tra Cinque Stelle e Pd che dopo le elezioni si respinsero sdegnati.
Ma ecco che Salvini, fiutata la trappola, prova a uscire dall’angolo in cui Renzi voleva metterlo, e infila una zeppa non da poco tra Di Maio e i democratici: dichiara di accettare lui la richiesta grillina di votare prima il taglio dei parlamentari e poi dopo («subito dopo», precisa) andare alle elezioni.
Il Pd accusa chiaramente il colpo. Non se l’aspettava nessuno. Anche perché chiedere la crisi di governo per il giorno successivo e la riforma costituzionale per la settimana appresso è davvero un colpo di teatro. Il capogruppo dei Cinque Stelle salta sulla contraddizione: senza un governo non ci può essere il voto sul taglio, dunque ritirate la mozione di sfiducia. Ci sarebbe anche un altro problemino: se si approva una riforma costituzionale bisogna poi aspettare per mesi un eventuale referendum prima che vada in vigore. Lo risolve Salvini: il taglio dei parlamentari — precisa — sarebbe a futura memoria, non varrebbe per il prossimo Parlamento ma per quello dopo ancora. Si può fare? Boh. Ma così intanto inguaia il Pd, che contro quella legge ha già votato tre volte e ne teme l’effetto maggioritario implicito, capace di trasformare un’ipotetica maggioranza elettorale di centrodestra del 50% nel 65% di seggi, un blocco che potrebbe anche da solo cambiare la Costituzione.
Fatto sta che la Camera dei deputati, un’ora dopo, mette in calendario per il 22 di agosto il voto definitivo sul taglio dei parlamentari. E ora nessuno sa più che cosa succederà. Cadrà prima il governo Conte il 20 agosto al Senato, o la Camera il 22 agosto approverà prima la più grande riforma del governo cadente?
I coscritti del Senato sciamano verso i lidi da cui provengono in preda a questi dilemmi. La crisi intanto non è per questa settimana: Ferragosto con i tuoi. Forse nemmeno la prossima, e quella dopo ancora finisce il mese. La road map al voto anticipato è molto più tortuosa della rotta tracciata dal Capitano. Anzi, per dirla tutta, al momento pare che al timone non ci sia nessuno.

Corriere 14.8.19
Un memoriale per Nellie Bly, rivoluzionaria del giornalismo
di Gian Antonio Stella

«Prendete una donna sana fisicamente e mentalmente, rinchiudetela, tenetela inchiodata a una panca per tutto il giorno, impeditele di comunicare, di muoversi, di ricevere notizie, fatele mangiare cose ignobili. In due mesi sprofonda nella follia».
Fermò il fiato il primo reportage di Nellie Bly dal «Women’s Lunatic Asylum» di Blackwell’s Island, a sud-est di Manhattan. Nessuno aveva mai osato prima fingersi demente per introdursi nella tana nera di un manicomio. Col rischio di fare una brutta fine in quella terra dominata dalla prepotenza. Anzi, nessuno ci aveva mai pensato, prima che quella ragazza di ventidue anni così decisa e sfrontata convincesse il «New York World» diretto dal mitico Joseph Pulitzer a pubblicare quelle cronache dagli inferi che, raccolte nel libro «Dieci giorni in manicomio» spinsero le autorità americane addirittura a cambiare le leggi sui ricoveri coatti e il trattamento dei pazienti.
Fu la più grande della sua generazione, Nellie Bly. E come racconta Nicola Attadio in Dove nasce il vento. Vita di Nellie Bly, a free American girl, fu la prima a rifiutare i ruoli delle giornaliste delegate a occuparsi di scarpe, gioielli, giardinaggio. La prima a rompere gli schemi. La prima a battersi sul terreno dei reportage e delle inchieste. Fino a percorrere mezzo Messico sfidando ogni pericolo: «Mi dimetto dal giornale e come freelance mi paghi per i pezzi che ti mando, tu risparmi un bel po’ di soldi ma mi finanzi il viaggio». La prima a farsi arrestare per denunciare i soprusi sul detenute. E ancora la prima a sfidare davvero, in treno, a cavallo, in barca e a dorso d’asino, Jules Verne e il suo Giro del mondo in 80 giorni. Anzi, i suoi resoconti ebbero un successo tale che un milione di lettori parteciparono alla lotteria inventata da Pulitzer su chi si fosse più avvicinato all’ora del ritorno a New York, avvenuto dopo 72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi.
Il reportage dentro il manicomio, però, resta unico. Ed è bello sapere che nella Grande Mela c’è chi è pronto a tirar fuori mezzo milione di dollari per ricordare tanti anni dopo con un memoriale quell’impresa straordinaria che cambiò per sempre il modo di vedere i «matti».

Il Sole 14.8.19
Proteste senzafine
La governatrice di Hong Kong: «Siamo sull’orlo dell’abisso»
di Stefano Carrer


Ancora bloccato l’aeroporto, dove ci sono stati scontri tra dimostranti e polizia
Trump: « Movimenti di truppe cinesi al confine» L’invito è alla calma
Per un attimo, è sembrata trattenere le lacrime. Ma il messaggio lanciato ieri dalla chief executive di Hong Kong Carriel Lam - in una conferenza stampa in cui ha svicolato dalle domande - è stato duro nella sostanza e senza aperture, al di là dei tocchi emotivi: le proteste violente stanno creando «panico e caos» facendo imboccare una «strada senza ritorno» che rischia di spingere verso un «abisso».
Un discorso che ha fatto da prologo agli scontri tra polizia e dimostranti avvenuti in serata all’aeroporto, rimasto semi-paralizzato per il secondo giorno consecutivo. Mentre il ricorso a metodi di repressione più brutali da parte della polizia ha spinto negli ultimi giorni i manifestanti ad alzare la posta - nella speranza che infliggere danni all’economia possa avvicinare l’accoglimento delle loro richieste -, una parallela escalation di minacciosi avvertimenti comincia a rendere concreta la sensazione che Pechino stia perdendo la pazienza e si prepari a intervenire se le autorità locali non riusciranno a riportare la situazione sotto controllo.
Per la verità, il governo cinese in serata è tornato a esprimere il suo pieno appoggio a Carrie Lam e al suo governo: lo ha fatto attraverso una nota della missione a Ginevra in cui ha respinto con durezza la presa di posizione della responsabile per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, che ha raccomandato alle autorità di Hong Kong di agire con moderazione e di investigare sul ricorso a eccessivi mezzi di repressione in violazione delle norme internazionali. Per Pechino, si tratta di una interferenza nei suoi affari interni che invia «un segnale sbagliato a violenti criminali». Inquietante è l’aggiunta che i dimostranti stiano «mostrando una tendenza a ricorrere al terrorismo». In un messaggio ufficiale alla comunità internazionale, insomma, si evoca il «terrorismo», ossia l’elemento che potrebbe essere utilizzato per una giustificazione legale di un intervento diretto nella regione amministrativa speciale. Ingenti forze paramilitari sono già confluite nella metropoli limitrofa di Shenzhen, come evidenziato dal rilascio di nuovi video.
Dopo le accuse cinesi di interferenze americane, il presidente Donald Trump - che si era attirato critiche per aver parlato di “sommossa” e di affari interni cinesi - ieri ha twittato «Molti stanno dando la colpa a me e agli Stati Uniti per i problemi in corso a Hong Kong. Non riesco a immaginare il perché» e «La nostra intelligence ci ha informato che il governo cinese sta spostando truppe al confine con Hong Kong. Tutti stiano calmi e tranquilli”!». A voce ha parlato di «situazione molto difficile» a Hong Kong, che spera si risolva pacificamente e «per la libertà». Un portavoce del ministero degli esteri cinese ha stigmatizzato gli ultimi commenti di alcuni leader del Congresso di opposti schieramenti, come Mitch McConnell e Nancy Pelosi, anche come ulteriore prova di interferenze statunitensi. Molto preoccupato appare l’ultimo governatore britannico di Hongk Kong, Chris Patten, secondo cui è necessario un «processo di riconciliazione», mentre un intervento cinese «sarebbe una catastrofe per la Cina e ovviamente per Hong Kong».
Intanto la Borsa locale ha perso un altro 2,1%: ha spazzato via tutti i guadagni di quest’anno e risulta del 16% sotto i picchi di aprile (-8% dal 12 giugno, quando la protesta prese slancio). Il dollaro HK è sceso a ridosso del limite della sua fascia di oscillazione sul dollaro Usa . Molti analisti pronosticano un ulteriore indebolimento dei mercati, in quanto i crescenti rischi politici si riverberano in pressioni verso un deflusso di capitali.

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