mercoledì 8 maggio 2019

Repubblica 8.5.19
Azzariti
“Farlo partecipare con il suo stand nega uno dei fondamenti della Carta”
Gaetano Azzariti è docente di diritto costituzionale alla Sapienza.
di Liana Milella


Per lei, professor Azzariti, sono apologia di fascismo le frasi dell’editore di Altaforte, con cui Salvini pubblica l’autobiografia?
«È una notitia criminis. C’è una disposizione del nostro ordinamento costituzionale che prevede la reclusione da sei mesi a due anni per chiunque faccia apologia di fascismo. Parlo dell’articolo 4 della legge Scelba del lontano 1952. La magistratura dirà se c’è il reato».
Le frasi sono contro la Costituzione?
«Contro la Carta sono tutte le azioni promosse ai fini di riorganizzare “sotto qualunque forma”, com’è scritto nella XII disposizione transitoria e finale, il partito fascista. La legge Scelba specifica che le forme in cui si concretizza il divieto sono sia la ricostituzione del partito, sia l’apologia, e le manifestazioni fasciste».
Ci sono già condanne per episodi simili?
«Negli anni ’70 due organizzazioni furono sciolte dopo le sentenze dei giudici che condannarono Ordine nuovo e Alleanza nazionale. Il ministro dell’Interno le sciolse e ne confiscò i beni. I dirigenti furono condannati a diverse pene».
Dopo le denunce di Appendino e Chiamparino
che succede?
«I profili sono due: da un lato la responsabilità personale per le dichiarazioni rese e dall’altro quella legata a CasaPound, la sua organizzazione di appartenenza, i cui comportamenti sono già oggetto di indagine in alcune procure».
Altaforte andava esclusa a prescindere dalla Fiera?
«La decisione di ammettere questo editore mi pare neghi il fondamento antifascista del nostro ordinamento costituzionale».
Il Museo di Auschwitz si dice incompatibile con una Fiera in cui c’è Polacchi.
«Capisco bene questa reazione.
È stata fortemente sottovalutata l’importanza della memoria storica. Mi auguro che nel centenario della morte di Primo Levi il Salone possa recuperarla».
Per l’autrice il libro non è fascista...
«Non l’ho letto. Ma l’accusa non è tanto al libro in sé, quanto ai collegamenti dell’editore con CasaPound».
Per Salvini “la cultura è sempre cultura…”.
«Sì certo, ma ciò non impedisce di far valere con estremo rigore le norme e la Costituzione.
Aggiungo che la cultura è anche fatta dalla battaglia delle idee».
È accettabile che il titolare del Viminale pubblichi con Altaforte?
«Ciascun autore si sceglie il suo editore, ma la scelta non è neutrale. Evidentemente Salvini in questo modo manifesta una sintonia con Altaforte».

Corriere della Sera 8.5.19
Emilio Gentile: il fascismo oggi non è la vera minaccia
Temo di più le urne deserte
di Antonio Carioti


È stato Berlusconi a disgregare e assorbire gran parte delle forze
provenienti dal Msi

«I tentativi di censura fanno il gioco di chi li subisce»
Lo storico Emilio Gentile trova «deprimente» la diatriba sul rischio di una riscossa delle camicie nere: «È un allarme privo di senso, che mi pare abbia l’unico effetto di distogliere l’attenzione dai veri pericoli che corre la democrazia. Il crescente astensionismo elettorale è assai più preoccupante della limitata attività neofascista, perché significa che i cittadini si sentono sempre meno rappresentati».
Gentile parlerà sabato al Salone di Torino sul tema del suo libro Chi è fascista (Laterza). E lo lascia perplesso il caso sollevato per la presenza dello stand di Altaforte: «Tutte le volte che si vuole operare una censura contro qualcuno, gli si fa un’enorme pubblicità. Io stesso fino a pochi giorni fa ignoravo l’esistenza di questo editore, che adesso è sulla bocca di tutti».
Molti ritengono inaccettabile la diffusione di idee contigue al fascismo.
«Capisco che certi libri possano suscitare disagio, ma se non sono state violate le regole di partecipazione al Salone, non vedo perché montare una polemica contro la fiera. Fra le migliaia di volumi in vendita a Torino, ce ne saranno anche altri sospettabili di veicolare tesi autoritarie o xenofobe. Del resto c’era chi considerava Renzo De Felice un apologeta del fascismo, solo perché sottolineava che il regime aveva goduto in certe fasi di un vasto consenso. Anch’io, in misura assai minore, sono stato preso di mira per i miei studi. Esiste ancora l’antifascismo intollerante di chi un tempo accusava Alcide De Gasperi di voler restaurare la dittatura e in precedenza bollava persino la socialdemocrazia come socialfascismo».
Non la preoccupa il ritorno dei fan di Mussolini?
«Quale ritorno? I nostalgici del Duce non se ne sono mai andati: si sono riorganizzati subito dopo il 1945 e hanno fondato il Msi, presente in Parlamento sin dalla prima legislatura, che ha finito per monopolizzare lo spazio della destra ed è stato a lungo il quarto partito del Paese. Poi nel 1994 si è trasformato in An ed è entrato al governo, con percentuali di voti intorno al 10-15 per cento. In realtà oggi il neofascismo è assai più debole che in passato, soprattutto per l’opera disgregatrice compiuta in quell’area da Silvio Berlusconi, che ne ha assorbito buona parte».
Resta Fratelli d’Italia. E poi CasaPound e affini.
«Il partito di Giorgia Meloni è una costola sopravvissuta al naufragio di An, ma con un peso di gran lunga inferiore. Quanto a CasaPound, è il movimento che fa più chiasso in una galassia di piccoli gruppi divisi da forti rivalità, ma accomunati dall’idealizzazione mitologica di un fascismo mai esistito e da un’ossessione dei rituali che in realtà richiama di più il nazismo».
C’è anche la Lega di Matteo Salvini, che ha pubblicato un libro con Altaforte.
«Un tempo la Lega si contrapponeva allo Stato centrale e alla stessa unità nazionale, quindi era agli antipodi del fascismo. Adesso Salvini sembra aver messo la sordina al federalismo e forse cerca di pescare consensi a destra. Ma i presidenti della Lombardia e del Veneto, con la proposta dell’autonomia differenziata, ripropongono una logica che va in direzione opposta».
Non hanno tratti fascisti la Lega e altri partiti europei sovranisti e xenofobi?
«No. Mussolini rifiutava apertamente il principio della sovranità popolare, mentre queste forze lo rivendicano, dichiarano che il potere deve basarsi sul consenso della gente. Quando vanno al governo, lo fanno grazie al voto degli elettori, il che se vogliamo è ancora più allarmante. Nell’Italia fascista, priva di immigrati stranieri, la xenofobia non era un tratto tipico del regime, che voleva assimilare slavi e sudtirolesi, e riconobbe ai musulmani libici una cittadinanza speciale. Mussolini praticò invece il razzismo, ma non lo aveva inventato: esisteva prima, spesso sancito per legge, ed è tuttora presente anche in Paesi democratici come gli Stati Uniti».
Umberto Eco parlava di «fascismo eterno».
«Definire il fascismo “eterno” significa in fondo esaltarlo; sarebbe l’unico fenomeno umano senza tempo. E comunque Eco si contraddiceva attribuendo al fascismo sia il culto della tradizione sia l’attivismo, che significa al contrario invenzione di continue novità. Di fatto Mussolini non era tradizionalista: evocava la Roma imperiale, ma non esitava a fare strame di resti antichi per celebrare la sua grandezza con i lavori pubblici».
Se il fascismo appartiene al passato, come definire le attuali spinte autoritarie?
«Io uso il termine “democrazia recitativa” per designare un atteggiamento che accetta la democrazia come metodo (cioè la pratica della competizione elettorale per l’accesso al governo), ma non come ideale, perché tende a prevaricare i diritti degli individui e delle minoranze richiamandosi alla preminenza della maggioranza popolare».




Il Fatto 8.5.19
Pd e 5 Stelle uniti per far fuori l’editore di CasaPound
Il Lingotto è in allestimento: il Salone del libro si apre domani tra le polemiche
di Camilla Tagliabue


Dall’esposizione all’esposto, dalla fiera alla Procura: il dibattito sulla presenza al Salone di Altaforte, casa editrice squisitamente fascista, sta virando in chiave giurisprudenziale, dopo la denuncia che hanno deciso ieri di presentare la Regione Piemonte e la Città di Torino, “main sponsor” – chiamiamoli così – della kermesse culturale.
Mentre gli intellettuali ancora si dividono su chi andrà e chi boicotterà il Lingotto – Saviano ci sarà, il Museo di Auschwitz-Birkenau e la sopravvissuta Halina Birenbaum no –, la politica fa politica, e si è mossa. Sia il presidente Sergio Chiamparino sia la sindaca Chiara Appendino “ritengono il rappresentante della casa editrice Altaforte – Francesco Polacchi – e la sua attività professionale nel campo dell’editoria estranee allo spirito del Salone del libro e, inoltre, intravvedono nelle sue dichiarazioni pubbliche una possibile violazione delle leggi dello Stato”: perciò, lo denunceranno in queste ore per apologia di fascismo, “alla luce delle dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa e attraverso emittenti radiofoniche” (un esempio su tutti: “L’antifascismo è il vero male di questo Paese”). La decisione – si legge sempre nella nota congiunta – è stata “assunta nella convinzione che anche la forma più radicale dell’intolleranza vada contrastata con le armi della democrazia e dello stato di diritto”.
Ora saranno i magistrati a “valutare se sussistano i presupposti per rilevare il reato di apologia di fascismo e la violazione di quanto disposto dalla legge Mancino 305 del 1993 e, nello specifico, l’articolo 4 che prevede venga punito chi ‘pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche’”. Venerdì, tra l’altro, Polacchi – già protagonista della guerriglia in piazza Navona a Roma nel 2008 – è convocato in tribunale a Milano perché indagato per un pestaggio del 2017: i suoi pugni, infatti, avrebbero provocato traumi, spondilosi e distorsioni ai due ragazzi aggrediti.
Come Polacchi sia riuscito a imbucarsi alla kermesse è presto detto: non ci sono filtri etici, o quantomeno una valutazione di opportunità, rispetto alle domande di partecipazione degli editori. Il Comitato d’indirizzo (di cui fanno parte Maurizia Rebola/Circolo dei lettori, Silvio Viale/Associazione Torino Città del Libro, Antonella Parigi/Regione Piemonte, Francesca Leon/Città di Torino, Marco Zapparoli/Adei, Enzo Borio/Aib, Ricardo Franco Levi/Aie, Paolo Ambrosini/Ali, Giovanni Fariello/Sil) – ci spiega una fonte interna – “ha scoperto di Altaforte solo il 1° maggio, quando è scoppiata la polemica sui giornali. Non si può fare lo screening a ogni editore. Si verifica solo che sia regolarmente iscritto alla camera di commercio, che non abbia pendenze penali, che paghi i contributi… C’è un ufficio commerciale che vaglia le domande e non può certo porsi questioni ideologiche: sarebbe preoccupante il contrario. Negli anni passati al Salone si sono iscritti altri, pochi per fortuna, editori di estrema destra: non è il primo. E questo succede in tutte le fiere librarie del mondo. Non esiste un comitato etico, altra cosa invece è la programmazione culturale”.
Anche il ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli, altro sostenitore della fiera, si è richiamato alla “legge che vieta l’apologia di fascismo… In questo momento i toni si sono alzati. La nostra è una Repubblica che ha come punto fondamentale un progetto culturale antifascista. Per me essere democratico vuole dire combattere affinché idee lontanissime dalla mia si possano esprimere. Nel caso specifico però c’è un quadro legislativo molto chiaro che protegge la nostra Repubblica dall’apologia di fascismo… Valuterà la magistratura”.
Dallo stesso Lingotto è arrivato, poi, un appello all’unità: “Questa esperienza deve unirci, non dividerci. Il Salone è un luogo di scambio, di confronto, di condivisione, di festa. Nel centenario di Primo Levi, la comunità si raccoglierà una volta ancora per discutere di democrazia, di Europa, di convivenza, di immigrazione, di letteratura, del restare umani in un mondo difficile”. Nel comunicato si chiede, infine, a tutti di “abitare con convinzione quella stessa casa (il Salone) per farla durare, e darle spazio”. Chiudeva così Italo Calvino le sue Città invisibili: una citazione forse scaramantica perché Torino non diventi, in questi giorni, invisibile, o peggio invivibile.

Il Fatto 8.5.19
Apologia, reato difficile da punire
La Costituzione e la “Scelba” rimangono spesso inapplicate. E il Parlamento è fermo
di Ferruccio Sansa


Reato a targhe alterne. Il fascismo in Italia è uno dei misteri della giurisprudenza. Per il saluto romano si trovano giudici che ti condannano e altri che ti assolvono. Chi esalta il fascismo a volte è perdonato e altre no. A dare del fascista oggi vieni punito e domani no.
Eppure le norme che dovrebbero mettere un freno ai nostalgici di nonno Benito sono tante. A cominciare dalla XII disposizione transitoria della Costituzione: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Poi arrivò la legge Scelba, tanto famosa quanto poco applicata. All’articolo 1, definendo la ‘riorganizzazione del disciolto partito fascista’, cita “associazioni, movimenti o comunque gruppi di persone” (almeno 5) che perseguono “finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica”. È punito “chiunque promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista”, ma anche chi “pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”. La pena va dai 18 mesi ai 4 anni. Sulla carta. Ma le cronache riferiscono un fiorire di saluti romani, di dichiarazioni che giocano sull’ambiguità. Nella passata legislatura Emanuele Fiano (Pd) aveva proposto un giro di vite: il testo prevedeva perseguibilità della propaganda del regime fascista fatta con immagini e contenuti di cui sarebbero state anche vietate la produzione o la vendita. Proibito fare il saluto fascista e mostrare in pubblico i simboli del fascismo (con l’aggravante se avviene su internet). Com’è finita? “La legge era passata alla Camera, ma prima che arrivasse il ‘sì’ al Senato era terminata la legislatura”, racconta Fiano. Che però assicura: “Presto ripresenterò il testo. Sono curioso di vedere come voterà il M5S che oggi pare diventato molto più attento alle istanze antifasciste”.

Il Fatto 8.5.19
“Boicottaggi da salotto: ci rimettiamo soltanto noi”
di Silvia D’Onghia


“Pubblico le vite e le opere dei più grandi comici anglosassoni, cioè la creme della satira e dell’anti-fascismo, e autori all’80% ebrei. Che dovrei fare, allora? Si va e si va proprio per questo”. Carlo Amatetti (Sagoma editore) si fa portavoce delle esigenze di molti “piccoli” – TerraRossa, D, Kellermann, La Vita Felice, Il Ciliegio, Goodfellas, Lavieri –, che assistono “incazzati” alle defezioni d’autore. “La strumentalità di questo boicottaggio è veramente urticante – prosegue – fascisti e massoni ci sono sempre stati ed è andata bene a tutti”. I valori sono condivisi, il portafogli no: “Io spendo più di 1500 euro per andare a Torino e, se va bene, ne porto a casa 2000. È bello fare le battaglie ideologiche quando non rischi nulla. Prova a combattere quando hai una famiglia. Non ci sentiamo eroi, ma ribadiamo che la vera diversità poggia sulle centinaia di piccole case editrici che si buttano su scommesse donchisciottesche. Poi però arriva qualche benpensante salottiero e decide di boicottare per farsi bello davanti a taccuini e telecamere”.

Il Fatto 8.5.19
“Il problema sono i legami con Salvini: noi non ci stiamo”
Montanari e Settis - “Ci opponiamo allo sdoganamento della voce fascio-nazista nel dibattito politico: niente Torino”
Come tutta una serie di altri intellettuali e scrittori, anche Tomaso Montanari e Salvatore Settis hanno deciso di non presentarsi a Torino
di Tomaso Montanari e Salvatore Settis


Come il collettivo di scrittori Wu Ming e come Carlo Ginzburg, anche noi abbiamo deciso di annullare la nostra partecipazione al Salone del Libro di Torino: avremmo dovuto presentare il nostro manuale di storia dell’arte per le scuole, improntato alla Costituzione. Ma non lo faremo: per protestare contro la decisione della Fondazione del Salone del Libro – e cioè di Aie e Adei (le associazioni degli editori), del Comune di Torino e della Regione Piemonte – di assegnare uno stand a un editore collegato direttamente a CasaPound, e che ha in catalogo testi esplicitamente fascisti e nazisti.
Crediamo sia stato un grave errore imporre questa presenza alla direzione editoriale del Salone, che con il suo direttore Nicola Lagioia aveva scritto: “Per quanto riguarda me e il comitato editoriale crediamo che la comunità del Salone possa sentirsi offesa e ferita dalla presenza di espositori legati a gruppi o partiti politici dichiaratamente o velatamente fascisti, xenofobi oppure presenti nel gioco democratico allo scopo di sovvertirlo”. Parole forti e chiare, che sono state clamorosamente smentite dagli editori e dalle autorità pubbliche che, pur potendo dire no, hanno invece ritenuto di dire di sì.
Noi non comprendiamo le ragioni di questo sì: crediamo che la Costituzione, e le leggi Scelba e Mancino dessero tutti gli strumenti per dire di no.
E, in ogni caso, è una questione politica, con la ‘P’ maiuscola: noi non abbiamo alcuna intenzione di partecipare, per la nostra minuscola quota, a un oggettivo, ulteriore sdoganamento della presenza della voce fascio-nazista nel dibattito pubblico italiano.
Ci chiediamo dove stia portando la diffusa volontà di non vedere, dal vertice della Repubblica giù giù fino a Torino: rimangono senza risposta le richieste di prendere atto che CasaPound è fuori legge, e che dunque va sciolta. E ora il ministero per i Beni Culturali (per bocca della sottosegretaria leghista Paola Borgonzoni) interviene nella vicenda del Salone (di cui detiene il marchio) non per espellere l’editore fascista, ma per minacciare Christian Raimo, che l’aveva attaccato e che si è dovuto infine dimettere lui dal Salone. Ebbene, crediamo che qualcuno debba iniziare a dire di no. Per il poco che tocca a noi, sentiamo il dovere morale di opporci: per questo non saremo a Torino. Al Salone ci sono probabilmente sempre stati editori fascisti. Ma oggi è il contesto a essere diverso: ed è il contesto a conferire significato ai singoli testi. Oggi quell’editore pubblica un libro-intervista al ministro dell’Interno. Oggi la massima agenzia culturale del Paese, la Rai, è presieduta da un uomo di Salvini che suggerisce che “il vero scopo” della politica migratoria della Unione europea sia arrivare a “una destabilizzazione e a uno sradicamento identitario e culturale della civiltà europea”. Il modello che viene opposto a quello europeo è quello della Russia di Putin: “Piazza Rossa, Mosca. Città pulita. Non c’è un mendicante, non c’è un lavavetri, non c’è un Rom, non c’è un clandestino, non c’è un rompiscatole” (Matteo Salvini, 2014). Ed è dal palco di piazza del Popolo il 25 febbraio 2015 (la più grande manifestazione pubblica della Lega salviniana) che il leader romano di CasaPound Simone Di Stefano dice: “Noi condividiamo ogni singola parola del programma di Matteo Salvini”.
È tempo di aprire un dibattito serio e documentato sulla vera natura della Lega: il partito cui il cinismo del Pd e l’opportunismo complice dei 5Stelle hanno consegnato di fatto il Paese. Uno di noi (Settis) ha scritto, fin dal 2010 su Repubblica, circa le radici esplicitamente naziste dell’etnonazionalismo padano della Lega fondato sul sangue e sulla stirpe. Non è folclore: è una matrice culturale terribilmente attiva, e supportata da una folta pubblicistica (che oggi celebra se stessa al Salone di Torino) e da una rete di persone che, dall’epoca di Bossi, arriva fino al più stretto cerchio magico di Matteo Salvini (uno tra i tanti: Gianluca Savoini, ben noto all’entourage di Franco Freda e Maurizio Murelli, e poi portavoce di Salvini e tra i promotori, per dirne una, della conferenza stampa del nostro ministro dell’Interno all’agenzia Tass a Mosca, nel luglio 2018).
Sarebbe un errore aspettarsi di vedere Salvini in camicia nera, per quanto i suoi tweet con motti fascisti, la sua iconografia neo-mussoliniana e alcune esplicite rivendicazioni possano dare quella impressione. Il punto è quali forme nuove e ‘moderne’ assuma oggi la pianta velenosa che rinasce da quel ceppo storico.
In Origini del totalitarismo, Hannah Arendt sostiene che “a convincere le masse non sono i fatti – neppure quelli inventati – bensì la robustezza dello schema in cui i fatti vengono inseriti”. Lo schema del discorso pubblico della Lega è molto chiaro: crediamo che questo schema non debba trovare benevolenza, accoglienza, diritto di cittadinanza in nessun luogo o evento finanziato o sostenuto dalla Repubblica italiana. Se questo avviene, noi non ci stiamo.

La Stampa 8.5.19
La Cassazione dice no al riconoscimento dei figli delle coppie con due papà
La sentenza riguarda chi è ricorso alla maternità surrogata all’estero e ora vorrebbe la trascrizione all’anagrafe

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La Stampa 8.5.19
In difesa della costituzione
di Vladimiro Zgrebelsky

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Corriere 8.5.19
Il ristorante italiano a Berlino che dice no ai politici AfD
«Non serviamo gli xenofobi»
Il posto è frequentato da politici e star. La reazione: ridicolo
di Paolo Valentino


Berlino Chi discrimina viene discriminato. Anche al ristorante. E così cinque caporioni della AfD, il partito xenofobo di estrema destra, si sono visti rifiutare una prenotazione a Bocca di Bacco, il più celebre desco italiano di Berlino.
I due leader Alexander Gauland e Jörg Meuthen, la co-presidente dei deputati al Bundestag Alice Weidel, il segretario parlamentare Bernd Baumann e il portavoce Christian Lueth volevano cenare lunedì sera nel prestigioso ristorante sulla Friedrichstrasse, nel cuore della capitale tedesca. Ma alla richiesta di un tavolo inviata per email dalla segretaria del gruppo di AfD, il management ha risposto di no con la seguente motivazione: «Non serviamo i politici e i loro dipendenti che discriminano le persone sulla base della loro origine, opinione, religione, posizione politica e colore della pelle».
I capi sovranisti hanno reagito piccati. «Non democratico e stupido», ha definito il rifiuto Lueth. «Ridicolo», ha detto Gauland. Secondo un’altra deputata, la vice-capogruppo Beatrix von Storch, «il politicamente corretto è sciocco come un pane in scatola».
Bocca di Bacco non è un ristorante qualunque nel panorama gastronomico berlinese. Aperto nel 2001, è diventato il luogo prediletto dall’establishment tedesco e non solo: politici, ministri e leader dell’economia, stelle del cinema, dello spettacolo e dello sport, intellettuali, direttori di giornali. È stato la «mensa» preferita dei governi rosso-verdi, con Gerhard Schröder, Joschka Fischer e Otto Schily ospiti quasi fissi. Ma, con specchiata trasversalità, ha rifocillato anche Helmut Kohl (negli anni dopo la cancelleria amava portarci Michail Gorbaciov) e la stessa Angela Merkel. E poi una grande clientela internazionale, che torna volentieri: Simon Rattle, George Clooney, Matt Damon, Andrea Bocelli.
Le motivazioni
Il proprietario Mannozzi: accogliamo gente di ogni etnia, chi non approva non è benvenuto
Un luogo del potere e delle celebrità insomma, dove anche la geografia dei tavoli ha il suo significato: i più discreti e contesi sono quelli da due o da quattro affiancati alla parete sinistra nella seconda sala.
Anche questa reputazione aperta e globale, il proprietario Alessandro Mannozzi dice di voler difendere rifiutandoli a AfD: «Noi accogliamo ospiti da tutto il mondo, gente di provenienza, genere e etnia molto diverse. Parlano lingue diverse, professano religioni diverse. Ma l’AfD non condivide questa apertura, tolleranza e accettazione. Chi non approva i comportamenti di questa casa, non è bene accetto».
Non è comunque la prima volta che una prenotazione di Alternative für Deutschland viene rifiutata da Bocca di Bacco. «È già successo un paio di volte diversi mesi fa, ma nessuno aveva reagito. Questa volta alcuni esponenti di AfD hanno fatto delle dichiarazioni sui social network e così abbiamo chiarito la nostra posizione».
La scorsa estate, sempre a Berlino, la figlia di un consigliere comunale di AfD non è stata accettata in una scuola privata steineriana, perché «le idee del padre potrebbero influenzare negativamente l’ambiente scolastico».


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