Il manifesto 24.2.19
Salvare Radio Radicale, una missione per tutti
Editoria. Mauro Palma: «Senza costruttori culturali cresce solo la cultura populista»
di Eleonora Martini
«Quando
nel 1976 Marco Pannella entrava alla Camera dove era stato appena
eletto, si metteva subito a raccogliere tutti gli stenografici degli
interventi integrali dei deputati – che a quel tempo non venivano
conservati ma erano destinati al macero – e poi li fotocopiava e li
distribuiva. Ecco: “conoscere per deliberare” è nel Dna radicale». Nel
secondo giorno dell’8° Congresso del Partito Radicale nonviolento
transnazionale e transpartito (Prntt), Rita Bernardini, che siede al
tavolo della presidenza insieme a Sergio D’Elia e Maurizio Turco, evoca
l’amato leader scomparso quasi tre anni fa per ricordare alla cronista
del manifesto che la decisione di Radio Radicale di concentrare tutte le
forze per fornire un reale servizio pubblico al Paese, non è solo una
scelta di campo ma è una vocazione.
Che ha radici profonde,
affondate in quel «diritto alla conoscenza» che Pannella considerava tra
i principali dell’essere umano e che fu la sua ultima battaglia. Il
congresso del Prntt non poteva dunque che essere incentrato, quest’anno,
sulla lotta per la sopravvivenza che Radio Radicale è nuovamente
costretta ad affrontare a causa dei tagli alla convenzione con il Mise
(dagli 8 milioni al netto dell’Iva, ai 4 milioni previsti da quest’anno)
e di quelli all’editoria, scientemente assestati dal governo
giallobruno all’«organo della lista Marco Pannella» così come ai
quotidiani editi da cooperative, tra i quali il manifesto.
Colpi
di mannaia sulla libertà di informazione volutamente calati, nel caso
della radio, proprio «per evitare che i cittadini possano ascoltare
tutto quello che viene detto in Parlamento», come ha sottolineato il
primo giorno Massimo Bordin, già direttore della radio e curatore della
seguitissima rassegna stampa mattutina.
D’altronde per raccontare
la realtà senza censure o retorica (cosa molto difficile, a qualunque
latitudine), come è suo solito, Radio Radicale fa molto di più che
seguire i lavori delle Aule di Camera e Senato, alla maniera di Rai Gr
Parlamento: fa entrare i microfoni nelle commissioni, registra le
audizioni, i processi, le inaugurazioni dell’anno giudiziario, i
congressi di partito, i convegni sindacali, le sedute del Consiglio
superiore della magistratura. Motivo per il quale anche il
vicepresidente del Csm, David Ermini, nel rivolgere un saluto agli
iscritti riuniti nell’hotel Quirinale di via Nazionale, ha giudicato
«atto ingiusto e grave» l’attentato alla storica emittente radiofonica.
Il cui valore sta anche nel preziosissimo archivio che contiene
quarant’anni di documenti audio.
Un pezzo di storia italiana che
neppure Giulio Andreotti avrebbe pensato di chiudere, almeno stando a
quanto riportato da suo figlio Stefano che in un’intervista a Michele
Lembo ha rivelato come suo padre avesse seguito il proprio processo
giudiziario ascoltandolo da quella che era allora la radio più distante
possibile dalle sue posizioni politiche.
«I tagli all’editoria, la
compressione generale impressa a tutte le attività culturali e il colpo
al cuore di Radio Radicale dimostrano un’iniziativa governativa volta a
far crescere l’ignoranza», ha affermato nel suo intervento Vincenzo
Vita. Ma la “scomodità” politica dell’emittente sta anche, come hanno
fatto notare molti interventi, nella sua agenda politica, fatta di
giustizia, di carcere, di diritti umani e civili, dal fine vita alle
droghe, dagli abusi dello Stato democratico alla repressione delle
dittature.
E nel vizio all’«osservazione», come ha sottolineato il
Garante dei detenuti Mauro Palma: «Anche la fisica ci insegna che
l’osservazione non è neutra, è un intervento attivo che modifica
l’evento osservato». E infatti la paura, di chi vuole cambiare tutto per
non cambiare niente, è lo sguardo del cittadino. Prendiamo il carcere:
«L’aumento dei detenuti è dovuto non ad un surplus di ingressi ma ad un
calo drastico delle uscite – ha riferito Mauro Palma – 1800 persone in
questo momento stanno scontando in carcere una pena inferiore ad un
anno, ed è per evidente minorità sociale (non hanno buoni avvocati, per
esempio). Il diritto alla conoscenza serve anche per combattere le
condizioni di minorità sociale.
Tanto più perché il modello penale
si sta esportando anche fuori dal carcere, come dimostra il decreto
sicurezza che ha istituito 3 nuovi modi di intrattenimento e 4 nuovi
luoghi per detenere». I tempi sono bui, ha concluso Palma: «Mai avrei
pensato di dovermi difendere da minacce che vengono dai corpi di
polizia». E allora difendiamoci, esorta Palma, perché «senza costruttori
culturali, cresce soltanto la cultura populista».