Repubblica 8.2.19
Migranti, per la strage dei 117 sotto inchiesta ora c’è il cargo " Ignorò i naufraghi per 2 ore"
La
procura di Roma cambia le accuse: archiviazione per la Guardia costiera
"Il primo allarme lo hanno preso i libici". Stallo sbloccato dagli 007
italiani
di Fabio Tonacci
Di che cosa stiamo parlando
Il
18 gennaio scorso, a 48 miglia dalle coste libiche, un gommone con 120
migranti a bordo è naufragato. Si sono salvati solo in tre, recuperati
con un doppio intervento dell’elicottero inviato dalla nave Duilio della
Marina militare italiana. La procura di Agrigento ha aperto subito
un’inchiesta, ipotizzando responsabilità nei confronti della Guardia
costiera italiana per il ritardo nelle operazioni di salvataggio.
L’indagine però è stata trasferita a Roma per competenza, e i pm romani
hanno ribaltato le accuse: gli italiani sono stati corretti.
ROMA.
Al largo delle coste dello Sri Lanka, su una rotta che la porterà in
Cina, sta navigando in queste ore la petroliera Cordula Jacob. Armatore
tedesco, il gruppo di shipping Ernst Jacob, bandiera liberiana. Al
timone c’è un uomo, un comandante croato, che custodisce un segreto. Lui
sa perché, il 18 gennaio scorso, aspettò due ore e venti prima di
girare la prua verso un gommone semi affondato, partito dalla Libia con
120 migranti a bordo e avvistato intorno alle 13 quando c’erano ancora
una cinquantina di persone vive, aggrappate a pezzi di plastica e legno.
E lui sa anche cosa gli venne detto dai servizi segreti italiani (
forse anche dai libici) per costringerlo a fare ciò che nessun
mercantile ormai, in quel pezzo di mare davanti alla Libia, vuole fare:
rispondere ai messaggi di soccorso, deviare dalle rotte commerciali per
salvare vite umane, ritrovarsi invischiati nel vuoto senza certezze che
va sotto il nome di zona Search and Rescue libica.
Ora il
comandante croato è indagato dalla procura di Roma per omissione di
soccorso, aggravata dalla morte dei naufraghi. Due ore e mezzo di
incomprensibile attesa, infatti, hanno tracciato una linea tra la
sopravvivenza e l’annegamento. Ne sono morti 117 a 48 miglia dalle coste
di Tripoli. Solo tre i superstiti, recuperati dall’elicottero della
nave "Duilio" della Marina italiana in due interventi consecutivi, tra
le 16.45 e le 18.30.
I magistrati di Agrigento avevano intravisto
delle possibili responsabilità, nel ritardo del salvataggio, a carico
del Centro di coordinamento soccorsi italiano, gestito dagli ufficiali
della Guardia costiera, ma la procura di Giuseppe Pignatone ( a cui è
passata l’inchiesta per competenza territoriale) ha ribaltato
completamente l’impostazione. « Quando alle 14.25 a Roma seppero del
gommone in avaria — si legge nella richiesta di archiviazione delle
accuse, firmata dal pm Sergio Colaiocco — la Centrale operativa libica
era già a conoscenza dell’evento » . Di più: la guardia costiera di
Tripoli provò anche a mandare una motovedetta, che però si guastò
durante la navigazione e fu costretta a tornare indietro. Dunque — è il
ragionamento di Colaiocco — poiché il naufragio è avvenuto nella zona
Sar libica, e poiché i primi ad aver ricevuto la notizia sono stati i
militari di Tripoli, la Guardia costiera italiana ha agito
correttamente, « monitorando costantemente la gestione dell’evento e
premendo sui libici per un intervento rapido».
Chi poteva fare e
non fece, secondo il magistrato romano, è il comandante della Cordula
Jacob. La petroliera venne contattata «ancora prima delle 14.21»
dall’aereo militare italiano che aveva avvistato i naufraghi. Si trovava
a 36,5 miglia dal gommone, a circa due ore di navigazione, e se fosse
partita subito sarebbe potuta arrivare prima dell’elicottero della
Duilio. Le comunicazioni erano difficoltose, ma sembra che il comandante
croato riferì di non essere stato autorizzato dall’armatore tedesco a
intervenire. Probabilmente temendo di finire come il mercantile Nivin,
costretto a novembre a riportare indietro i migranti recuperati e a
rimanere fermo nel porto di Misurata per giorni.
Non è la prima
volta che una nave commerciale si tiene alla larga dalle rotte dei
gommoni: da quando la Libia ha registrato la propria zona Sar nel 2018, e
la gestione dei salvataggi è passata quasi integralmente in mani loro
(l’Italia ha ancora la nave Lipari attraccata a Tripoli con funzioni di
supporto), i mercantili deviano volutamente.
Il 18 gennaio è stato
l’intervento delle autorità italiane, rivendicato pubblicamente dal
premier Conte, a far cambiare idea al comandante croato, pare dietro la
minaccia di non entrare più nei porti italiani e libici. Essendo lui
straniero, per perseguirlo penalmente e proseguire nelle indagini la
procura di Roma ha bisogno di una richiesta formale da parte del
ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La richiesta, però, non è
ancora arrivata.