Repubblica 10.2.19
Welfare
La maledizione dei working poors
Un milione e mezzo di lavoratori poveri non avrà il reddito di cittadinanza
Esclusi dalla misura nonostante il basso tenore di vita perché superano di poco i requisiti richiesti
Le famiglie povere che avranno invece diritto all’assegno senza l’obbligo di accettare altri lavori
di Marco Ruffolo
ROMA
Working poors, poveri malgrado il lavoro. Sono oltre due milioni e
mezzo di persone, un milione di famiglie. Il 37% (un po’ meno di 400
mila) potrà godere del reddito di cittadinanza, il restante 63% no. Ma
c’è di più: quelle 400 mila famiglie continueranno a prendere il
sussidio senza essere obbligate ad accettare altri lavori. Si creeranno
così due gruppi di lavoratori poveri: il primo non solo accederà al
beneficio ma lo conserverà praticamente senza condizioni, a differenza
dei disoccupati che invece dovranno accettare le offerte di lavoro. Il
secondo gruppo, molto più nutrito, resterà invece escluso perché supera,
sia pure di poco, i requisiti richiesti.
Che il reddito di
cittadinanza non potesse raggiungere la totalità dei poveri, era già
noto. È ormai lontano il tempo delle mega-promesse, a partire da quella
iniziale di beneficiare i 9,3 milioni che vivono in condizioni di
povertà relativa (ossia sotto la media). Di mese in mese, si è scesi
prima a 6,5, poi a 5 (i poveri assoluti) e ora la stessa Relazione del
governo li stima in circa 3,7 milioni. Quel che non si sapeva è che la
maggior parte dei poveri che restano fuori non è fatta, come si potrebbe
pensare, da disoccupati ma da lavoratori: è quel 63% di working poors:
circa 600 mila famiglie (più di un milione e mezzo di individui).
Come
si arriva a queste conclusioni? Dai fattorini ai magazzinieri, il mondo
dei working poors è fatto di famiglie per lo più monoreddito appese a
collaborazioni da fame, a part time involontari, a contratti di pochi
giorni. Secondo l’Istat il 6,1% dei nuclei con capofamiglia occupato è
in povertà assoluta, non riesce a permettersi un paniere di beni
essenziali.
Essendo 15 milioni e mezzo le famiglie con almeno un
lavoratore (dati Anpal), quelle povere sono quasi un milione. In che
misura saranno coperte dal reddito di cittadinanza? Sia l’Ufficio
parlamentare di bilancio sia l’Inps parlano di 400 mila famiglie di
lavoratori con i requisiti, ossia il 37% dei working poors. Tutti gli
altri, circa i due terzi, resteranno fuori. Cosa dovranno fare quelle
400 mila famiglie per continuare ad avere il beneficio? Il decreto del
governo disegna un percorso dettagliato per tre categorie. Per i
disoccupati e gli inattivi disposti a lavorare, il reddito sarà
condizionato al Patto del lavoro.
Per le famiglie la cui povertà
non è legata solo alla mancanza di lavoro, il beneficio sarà
condizionato al Patto di inclusione. I pensionati, infine, avranno
l’assegno di cittadinanza per tutta la vita. Il decreto nulla dice
invece sul futuro delle 400 mila famiglie di working poors in possesso
dei requisiti. L’unica cosa certa è che dopo un anno e mezzo, come
succederà ai disoccupati, il sussidio sarà sospeso per un mese, ma poi,
se i requisiti permangono, verrà rinnovato. Tuttavia, mentre nel
frattempo i disoccupati dovranno accettare le offerte di lavoro e
perderanno il sostegno, le famiglie di lavoratori poveri non hanno
condizioni da rispettare perché già lavorano. «Il mantenimento di
un’occupazione, seppure a bassa retribuzione – spiega Giuseppe Pisauro,
presidente dell’Upb, nella sua audizione – consente di essere sollevati
dall’obbligo di accettare le offerte congrue». Insomma, il precario
single in affitto che alla fine del mese riceve 500 euro sarà sicuro che
lo Stato integrerà quel salario fino a 780. Per quanti anni?
Non
si sa. Fuori dal recinto del reddito di cittadinanza resteranno invece
600 mila famiglie di working poors. Che a quel punto faranno di tutto
per rientrare nei requisiti, abbassando il proprio conto in banca e
magari anche il salario. Ad essere spiazzati dal beneficio offerto dal
governo non saranno però solo la gran parte dei lavoratori in povertà
assoluta, ma anche tutti quelli che hanno un reddito da lavoro vicino a
quello di cittadinanza, e in molti casi anche minore. Secondo l’Inps, il
10% dei dipendenti a più basso salario in Italia ha un reddito
inferiore ai 500 euro al mese, che è il valore mediano offerto dal
reddito di cittadinanza. E il 45% dei dipendenti privati nel Sud prende
meno di 780 euro. Insomma, uno dei primi effetti del nuovo decreto
potrebbe essere la separazione delle famiglie a più basso reddito in tre
categorie con trattamenti e diritti diversi. La prima è quella dei
"precari assistiti a vita", ossia lavoratori poveri che godranno del
beneficio senza dover rispettare condizioni e limiti temporali. Alla
seconda appartengono i "disoccupati assistiti a tempo", che per
continuare ad avere il sussidio devono accettare le offerte di lavoro
(se arrivano). Infine c’è un terzo gruppo ancora più nutrito: è quello
degli "spiazzati", lavoratori non necessariamente poveri, esclusi dal
beneficio e scoraggiati a lavorare perché il loro reddito è molto vicino
( in qualche caso persino inferiore) a quello di cittadinanza. Che sia
forte la tentazione di questi ultimi di farsi licenziare per accedere al
sussidio?