La Stampa TuttoLibri 2.2.19
“Le madri possono essere tremende ti mettono al mondo per rovinarti la vita”
Il
creatore di Dylan Dog esce con la sua prima graphic novel, ironica e
visionaria un uomo gira in una città oscura battuta della pioggia
tormentato da misteriose voci
di Barbara Baraldi
Piove.
E non potrebbe essere altrimenti visto che ho raggiunto Tiziano Sclavi
per intervistarlo su Le voci dell’acqua, graphic novel appena uscito per
Feltrinelli Comics in cui, tranne che per una scena, la pioggia è
costante.
Una storia potente, dolorosa, che racchiude le tematiche
ricorrenti della produzione sclaviana come il male di vivere, la
solitudine e una claustrofobia esistenziale che non dà scampo. Ma tutto
sembra ridotto all’osso, asciugato da qualsiasi lirismo per arrivare a
una forma di poetica al confine con il silenzio della consapevolezza.
Ci
troviamo in quello che immagino come il cuore pulsante di questa casa
immersa nel bosco, così difficile da raggiungere che ogni volta mi
perdo. O forse è la casa che cambia posizione. Non mi meraviglierei,
visto che si tratta dell’abitazione che il padre dell’Indagatore
dell’incubo ha scelto per ritirarsi dal mondo.
Tiziano è seduto di
fronte a me, sul divano ricoperto da una fantasia scozzese e fuma una
Gitane. È circondato dai suoi sette bassotti, che fingono di dormire ma
non mi perdono mai d’occhio. Sua moglie Cristina ci raggiunge, si muove
con l’eleganza di una ballerina di danza classica. Mi offre un tè, ed è
come il segnale che aspettavo per iniziare la nostra chiacchierata.
Il
protagonista di questo racconto nerissimo si chiama Stavros, che è il
nome greco del crocefisso. Uno come tanti, come Nessuno di Dylan Dog,
accomunato al resto dell’umanità da un male comune: la vita.
«Non
lo sapevo che era il nome del crocifisso. Si chiamava Stavros, il
protagonista di un mio racconto lungo contenuto nel libro Sogni di
sangue. Archeologia. Quanto alla vita, l’unica alternativa è la morte.
Ora, tralasciando che sono a favore dell’estinzione della specie umana,
mi viene in mente un dialogo tra Jack Nicholson e Kubrick, quando
stavano girando Shining. Nicholson era molto turbato da alcune scene, e
Kubrick gli ha detto pressappoco: vedila così, è un film ottimista.
Ottimista? Certo, parla della vita dopo la morte».
Le voci
dell’acquapuò essere interpretato come un racconto corale sull’umanità,
ma anche come una raccolta di brevi poesie ermetiche. Ci ho visto una
metafora della mente e forse del percorso di analisi, in cui i ricordi
del protagonista arrivano destrutturati, come lo sono nella testa,
nell’istante esatto in cui si formano. Paura del futuro e fantasmi del
passato si mescolano in modo non lineare. È così anche nel tuo processo
di scrittura?
«Penso di sì. Ma non sprecherei il termine poesia.
Ho solo scritto un fumetto. Per me scrivere significa trovare sempre
nuovi modi di raccontare, cioè nuovi linguaggi e nuove grammatiche, non
necessariamente facili. Altrimenti non mi diverto. Anzi, molto spesso il
linguaggio mi viene prima della storia».
I magnifici disegni di
Werther Dell’Edera, sintetici e insieme potenti, si sposano
perfettamente con le atmosfere del libro. Com’è nato il vostro
sodalizio?
«Werther è uno dei maggiori disegnatori di oggi. Avevo
visto i suoi disegni su Il corvo. Be’, qui si è superato, ha
(re)interpretato alla perfezione il testo, e il risultato finale secondo
me è straordinario».
La Turritopsis Dohrnii, la medusa immortale,
che quando diventa vecchia inizia a ringiovanire, diventa metafora
della maledizione perfetta, in una pagina straziante di confronto tra
madre e figlio…
«Dici? È una scena in cui un figlio va a trovare
la tremenda madre, che lo ha messo al mondo solo per rovinargli la vita,
in un nucleo Alzheimer, e vuole vendicarsi. Ha una pistola. Non dico
come va a finire. Per conto mio sono ancora qui a chiedermi se avrei
sparato o no».
Mi hanno colpito i balloon tratti dalleStorie(Ab
urbe condita) di Tito Livio, già citato nel tuo romanzoLa circolazione
del sanguedel 1995. Che rapporto hai con la Storia con S maiuscola?
«Quei
balloon appartengono a uno strillone che vende i giornali. La Storia,
mi chiedi? Be’, ne faccio parte, come chiunque altro.
Nel frontespizio del capitolo «In un mondo migliore» c’è un sottotitolo tra parentesi: «Non c’entra ma c’entra».
«E’
una citazione di uno dei miei idoli, Nanni Moretti. Lo dice in Aprile,
riferito a Happy Days. E Aprile, secondo me, rappresenta la perfezione
di film profondamente politico anche se apparentemente parla di cose
private. E’ quello che tento sempre di fare io, forse invano».
Mi
guardo intorno e vedo libri ovunque, come mattoni su cui è costruita
questa casa. C’è un libro che hai letto e riletto nella tua vita? E
quello che hai sul comodino, ora?
«Non rileggo mai. L’unica
eccezione è stata per L’inquilino arcano di Topor. Che senso ha
rileggere un libro quando ce ne sono milioni che non ho ancora letto?
Ultimamente mi è piaciuto molto Carter e il Diavolo di Glen David Gold,
che avevo comprato vent’anni fa ed è rimasto ad aspettarmi. Poi L’anno
dell’Oracolo, che invece è appena uscito e si basa su un’ottima idea.
Adesso sto leggendo La maledizione di Melmoth di Sarah Perry, una
scrittrice inglese bravissima.
Se mi parli del libro di Topor, mi
viene subito in mente il tuo «Inquilino del terzo piano», disegnato dal
grande Casertano. Era il Dylan Gigante n.2. Da lì avevo recuperato il
film di Polanski e per ultimo il romanzo di Topor. A proposito di film e
serie televisive, hai visto qualcosa di memorabile ultimamente?
«Di
serie televisive ultimamente solo Hill House, molto bella. Di film, tra
i tanti cito Blackkklansman, bellissimo, il miglior film di Spike Lee
insieme a Inside Man. Ma qui siamo multimediali, quindi non posso non
citare i videogiochi. Io controllo il mouse e le frecce di movimento, e
Cristina tutti gli altri tasti (con il controller ci dobbiamo ancora
impratichire). Abbiamo appena finito Little Nightmares, ormai un
classico, veramente emozionante. Ora stiamo giocando a Inside, bello e
cupo. E ci aspettano Resident Evil 2 e Metro Exodus che sta per uscire».
Hai
scelto di vivere lontano dalla massa, in un luogo in cui la natura fa
da padrona. Ci sono gesti, parole, rumori che riempiono le tue giornate?
«A
parte le conversazioni fantastiche con Cristina, direi i gesti e i
rumori che fanno i nostri cani: abbaiano, mugolano, russano…»
Hurtdi
Johnny Cash è stato il mio sottofondo alla lettura. Ascoltavi qualche
brano in particolare mentre scrivevi queste pagine? C’è una canzone che
ti ossessiona?
«No a tutt’e due le domande. Una volta quando
scrivevo, e anche quando non scrivevo, c’era sempre musica in casa. Da
qualche anno non più. Ne compro tantissima, però, sia digitale sia in cd
e vinile. L’ascolto un po’ la mattina, in cuffia.
In questo momento, oltre che alla classica e al metal, ho una predilezione per il blues e il folkrock e folkmetal inglese».
E per finire, c’è una paura che anche scrivendone non sei mai riuscito ad allontanare?
«Quanto spazio abbiamo? L’elenco è lunghissimo…».