sabato 9 febbraio 2019

La Stampa 9.2.19
Dopo la scarcerazione. Appena liberata tornò a Cogne
Annamaria Franzoni a novembre nella villetta dove nel 2002 fu ucciso il figlio. Nel paese dove vive ora la tomba del piccolo Samuele è senza nome
di Niccolò Zancan


Certe volte tornare è un incubo. Dopo il carcere della Dozza di Bologna, dopo i domiciliari nella casa di Ripoli Santa Cristina, dopo un breve soggiorno a Cogne nella villetta del delitto - era la fine di novembre, così almeno raccontano alcuni residenti del paese valdostano - Annamaria Franzoni ricomincia da un’altra villetta. Che guarda dall’alto il mondo e il trascorrere del tempo, accanto alla tomba del figlio ucciso.
Nel paese ogni porta ha la chiave inserita nella toppa. Così usa da queste parti. Lasciare aperto, fidarsi di tutti. Non c’è niente da vedere se non boschi inselvatichiti e il campanile della chiesa di Sant’Agata. E poi giù, a perdifiato, la vallata. Al fondo passa la doppia biforcazione dell’autostrada A1. Ecco qual è l’unico rumore che arriva ogni tanto, come un eco lontano. Dopo Bologna, prima di Firenze. Sull’Appennino emiliano. Qui è tornata alla libertà Annamaria Franzoni. Si è saputo due giorni fa, ma la scarcerazione risale a novembre.
Ha scontato la pena di 16 anni di carcere ridotti a 10 con indulto e buona condotta
A ben guardare, il suo è un doppio ritorno. Perché questo è anche il paese dove era venuta al mondo nel 1971, dove è cresciuta e tutti la conoscono, il paese dove vivono i suoi genitori e dove è sepolto Samuele Lorenzi. Aveva 3 anni quel 30 gennaio del 2002. Per la sua morte, per la sua uccisione in un raptus di rabbia nella famigerata villetta di Cogne, Annamaria Franzoni ha scontato la pena: 16 anni di carcere ridotti a 10 grazie all’indulto e alla buona condotta. E adesso è qui. All’età di 47 anni. Libera.
«Conosco la famiglia Franzoni da sempre e Annamaria da quando era bambina, le affiderei i miei figli anche adesso». Ai giornalisti sventurati in cerca di qualche notizia, per fortuna risponde almeno il vicino di casa. È un signore che si chiama Antonio Bignami, di mestiere fotografo. «L’altro giorno è arrivato il corriere con un pacco per me, sono andato al cancello e c’era il marito. Stefano Lorenzi stava attaccando la targhetta sul citofono. “Buongiorno“, ha detto. “Siamo i nuovi vicini di casa”. “Bentornati”, ho detto io».
È una villetta bassa e bianca in mezzo a un prato e una po’ di radura, con tre comignoli e una veranda. Era il rifugio di una coppia di pensionati. Ma adesso è stata comprata dalla famiglia Franzoni per la nuova vita di Annamaria. Le serrande sono tutte abbassate. Sulla piglia del cancellato c’è scritto: «Cà dei sospiri e dei praticioli».
Tutti i Franzoni abitano da queste parti. E dire tutti non è per esagerare: Annamaria, «la bimba», è l’ultima di 10 figli, da cui sono nati 37 nipoti. Poco più avanti, lungo la stessa strada, ecco l’agriturismo gestito dai genitori. Ecco le tre vigne della famiglia Franzoni. Avevano una grande impresa edile. E quasi tutto, in questa zona, è stato costruito da loro. «Sono sempre stati molto uniti» racconta Osanna Stefanelli, la maestra della piccola scuola materna. «Ho incontrato Annamaria due giorni fa al supermercato Ecu, giù verso la strada statale. Ci siamo salutate. E lei mi ha detto: “Il colpevole salterà fuori, sempre che non sia già morto“. Lo ripete a tutti. Dice che lei è innocente e lo dimostrerà».
Oggi però Annamaria Franzoni non ha voglia di farsi vedere. Due amiche le portano dei sacchetti con del cibo, in modo che lei non debba finire sotto il tiro delle telecamere piazzate a bordo strada. Suo padre e sua madre, Giorgio Franzoni e Chiara Magliozzi, mangiano cena due curve più giù nella grande casa di famiglia. A a tutti quelli che si avvicinano alla porta, gli anziani genitori riservano lo stesso trattamento: non una parola, non un commento. Le chiavi ciondolano dalla serratura.
«Lasciamo aperte le case anche quando andiamo in vacanza», dicono in piazza. «In questo paese abbiamo sempre creduto all’innocenza di Annamaria. E ci crediamo ancora». C’è un giardino con delle giostrine per bambini piccoli, un campo da pallone. Un circolo Arci che apre solo il fine settimana, e un negozio di alimentari e tabacchi con in vetrina il cartello «vendesi».
È stata qualche giorno nella casa del delitto. Ora vive sull’Appennino con il marito e il figlio piccolo, quello grande studia all’estero. Vive circondata dai suoi parenti. Vive accanto al cimitero dove c’è quella tomba ancora senza nome. Aveva spiegato che era il suo modo di proteggere il figlio ucciso dalla curiosità. Ma adesso le luci si spegneranno, le telecamere allenteranno l’assedio. E forse, finalmente, sarà il tempo di incidere quel nome e quella data sul marmo: Samuele Lorenzi 1999-2002.