La Stampa 8.2.19
Anche Guaidó si appella al Papa in tv
Vaticano: non è una richiesta formale
di Domenico Agasso Jr
Nei
Sacri Palazzi non basta un appello in tv per far partire una mediazione
diplomatica. A maggior ragione in una situazione particolarmente
delicata come quella di Caracas. Nella giornata di ieri c’è stato
qualche momento di fibrillazione - e illusione - dopo che Guaidó a Sky
Tg24 ha chiesto a «tutti quelli che possono aiutarci, come il Santo
Padre», di «collaborare per la fine dell’usurpazione, per un governo di
transizione, e a portare a elezioni veramente libere in Venezuela». Di
più: il presidente ad interim ha pure invitato «il Papa nel nostro
Paese, un Paese molto cattolico». Sembrava potesse essere la svolta,
dopo la lettera di Maduro al Vaticano dei giorni scorsi annunciata dal
presidente sempre a Sky Tg24, e 48 ore dopo che Francesco, sull’aereo
che lo riportava a Roma da Abu Dhabi, aveva dichiarato che per un’azione
diplomatica servirebbe innanzitutto la volontà di entrambe le
controparti.
Ma in Segreteria di Stato le parole ai microfoni
televisivi non valgono come richiesta formale. Non sono arrivate
lettere, come quella di Nicolas Maduro, e, in più, Juan Guadió non
pronuncia la richiesta decisiva: mediazione. Il suo è un appello
generico. Dunque, il Vaticano resta sulla posizione espressa ieri dal
portavoce del Papa, Alessandro Gisotti: «Il Santo Padre si riserva la
possibilità di verificare la volontà di ambedue le parti, accertando se
esistano le condizioni per percorrere questa via». Tradotto: il canale
resta aperto, la disponibilità a valutare la possibilità di intervento
c’è, ma ora lo scenario è ancora troppo «mobile», e sulle intenzioni
delle due parti ci sono ancora troppi dubbi e perplessità. E l’unica
richiesta considerata ufficiale resta quella di Maduro. Tutto ciò mentre
la Chiesa locale venezuelana continua a essergli schierata contro.
La
prudenza della Santa Sede sul Venezuela è accentuata anche da un
precedente negativo: i colloqui a Santo Domingo tra governo e
opposizione mediati dall’ex presidente spagnolo Zapatero. Allora la
diplomazia vaticana si diede da fare prima con monsignor Emil Paul
Tscherring e poi con monsignor Claudio Maria Celli. Ma fu un flop, come
ha confermato il Papa sul volo per Roma: «È stato partorito un topino:
niente, fumo».
In ogni caso, dalla Santa Sede tengono a ribadire
che le priorità sono l’emergenza umanitaria del Paese e una risoluzione
pacifica: tutto ciò che potrà fare in questo senso - assicurano - sarà
fatto. E se il Vaticano scenderà in campo, due potranno essere i registi
della partita: il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e il
sostituto per gli Affari generali Edgar Pena Parra. Il primo è stato
nunzio in Venezuela. Il secondo è venezuelano.
Intanto, in Italia,
Rodrigo Diamanti, uno degli esponenti della delegazione mandata da
Guaidó per incontrare le istituzioni italiane, sostiene che «essere
neutrali significa accettare la nostra costituzione», e cioè il fatto
che a fronte di «un vuoto di potere il capo del parlamento deve assumere
la presidenza per portare il Paese a elezioni trasparenti». Ed è questa
la posizione di Conte e Di Maio: ««L’Italia deve essere neutrale - ha
detto Di Maio - . Dobbiamo semplicemente favorire il dialogo, non
vogliamo creare un’altra Libia».