il manifesto 2.2.19
Due anni di accordo tra Italia e Libia: più morti e meno diritti umani
Rapporto
Oxfam. «Lo scacco ai diritti umani in quattro mosse»: così Oxfam Italia
e Borderline Sicilia descrivono, nel report pubblicato ieri, gli
effetti dell’accordo Italia - Libia sui migranti sottoscritto due anni
fa, con l’avallo dell’Ue
di Adriana Pollice
«Lo
scacco ai diritti umani in quattro mosse»: così Oxfam Italia e
Borderline Sicilia descrivono, nel report pubblicato ieri, gli effetti
dell’accordo Italia – Libia sui migranti sottoscritto due anni fa, con
l’avallo dell’Ue. Il dato più drammatico è la crescita del tasso di
mortalità: in due anni sono annegate 5.300 persone, di cui 4mila solo
nella rotta del Mediterraneo centrale, passando da 1 vittima ogni 38
arrivi nel 2017 a 1 ogni 14 nel 2018.
«L’ANNO SCORSO la Guardia
costiera libica ha intercettato 15mila persone riportandole indietro –
spiega il curatore del report, Paolo Pezzati -. Attualmente, in 6.400
sono intrappolati in luoghi di detenzione ufficiali in Libia ma molti di
più sono detenuti in carceri non ufficiali, alcune gestite da gruppi
armati libici. Ma secondo l’Onu anche i centri ufficiali, in diversi
casi, sono gestiti da persone coinvolte nella tratta di esseri umani».
Oxfam, insieme a 50 organizzazioni, ha inviato una lettera aperta ai
governi Ue affinché blocchino la politica dei respingimenti verso
Tripoli e, attraverso il Consiglio europeo, ratifichino la riforma del
Regolamento di Dublino con la redistribuzione automatica dei richiedenti
asilo.
L’ESATTO OPPOSTO, quindi, di quanto avviene adesso grazie
all’accordo Italia – Libia, firmato dall’allora premier Paolo Gentiloni
il 2 febbraio 2017.
I principali leader europei l’hanno accolto
con entusiasmo, «nonostante nelle tre pagine – si legge nel report – non
siano mai citati i diritti umani e non emergano vincoli nei confronti
della Libia riguardo il suo impegno nel rispetto e nella tutela dei
diritti umani».
Il primo punto dell’asse è stata la costituzione
della Guardia costiera libica. L’Italia aveva cominciato già dal 2016 a
inviare motovedette, formazione e sostegno economico. L’ultimo
finanziamento, del 2018, prevede un nuovo invio di 20 navi per un valore
di 9 milioni di euro. Poi è arrivata la zona Sar libica: istituita
tramite dichiarazione unilaterale, approvata dall’International maritime
organization nel giugno 2018. Così un’agenzia dell’Onu, l’Imo, ha dato
il suo avallo mentre altre agenzie Onu chiarivano che la Libia non è un
paese sicuro e che i migranti «vivono sotto il costante rischio di
privazione della libertà e arresto arbitrario, aggressione, furto e
sfruttamento da parte di attori statali e non statali».
LA MOSSA
SEGUENTE è stata modificare la missione navale europea di Frontex,
passando da Triton a Themis: su richiesta del nostro governo, l’obbligo
di sbarco dei naufraghi non è più nei porti italiani ma nello scalo più
vicino al salvataggio; la linea di pattugliamento è stata ridotta da 30 a
24 miglia nautiche dalle coste italiane.
Il terzo passaggio è
stata la politica dei porti chiusi: il ministro Matteo Salvini fa quello
che il predecessore Marco Minniti aveva chiesto ma non ottenuto (per
l’opposizione del collega alle Infrastrutture Delrio) cioè cerca di
bloccare l’attracco delle Ong in Italia. I primi a farne le spese sono
stati i migranti a bordo dell’Aquarius, costretti a dirigersi a
Valencia.
Da lì in avanti si è instaurata una prassi che viola le
norme internazionali: si subordina lo sbarco a un accordo di
redistribuzione tra gli stati, violando il diritto dei naufraghi a
ottenere subito un porto sicuro. B.B., un eritreo di 29 anni, era sulla
nave Diciotti, bloccata per 5 giorni a Catania lo scorso agosto su
ordine di Salvini: «A bordo le condizioni erano terribili. Era
impossibile stare al sole ma c’era solo un tendone. L’ombra non bastava
per tutti e quando pioveva ci bagnavamo. C’erano solo due bagni. Un
marinaio con un tubo ha spruzzato acqua per un minuto su dieci persone
alla volta, nude dietro un telo di plastica. Quella è stata l’unica
occasione, per noi uomini, di lavarci».
LA MOSSA FINALE è la
creazione di un nuovo nemico, le Ong. Dal 2014 al 2017 le navi delle Ong
hanno salvato la vita di 114.910 persone, pari al 18,8% del totale. Nel
2017 però inizia a montare una campagna di discredito delle Ong,
definite complici degli scafisti.
«Dal 2015 l’agenda migratoria
dell’Ue è stata basata sul presupposto di non far entrare i migranti –
spiega Pezzati -. Per quelli che riescono a entrare, si sono messi in
piedi gli accordi per bloccare i movimenti secondari. L’opposto, quindi,
di quanto si dovrebbe fare, cioè regolare gli ingressi con un approccio
di lungo periodo. Ormai è diventato superfluo presentare le tante
evidenze sulle violazioni dei diritti perché i governi aizzano
l’opinione pubblica a fini di politica interna, l’effetto prodotto è la
disumanizzazione dei migranti. Si equiparano le decisioni dei governi al
diritto quando, invece, è il diritto che dà la cornice entro cui deve
rientrare l’azione politica».
IN LIBIA, INTANTO, IL BUSINESS dei
centri di detenzione prospera: «Già nel 2017 gli osservatori iniziavano a
lanciare l’allarme riguardo la progressiva istituzionalizzazione di
leader di milizie o clan che controllavano importanti parti del
territorio libico», spiega Oxfam.
L’agenzia Onu Unsmil ha chiesto
la chiusura dei centri ufficiali «con evidenze di violazione dei diritti
umani più problematici», tra cui Zuwara, Shuhada, Al-Nasr / Al-Zawiya,
Gharyan. Un ragazzo eritreo ha raccontato: «Degli europei con la scritta
Unhcr sono venuti una volta a visitare il campo, ma non eravamo liberi
di parlare con loro, i militari del campo ci controllavano, e anche le
persone in visita sembravano spaventate».