Il Fatto 10.2.19
Il primo re fonda Roma e il Fascismo
di Furio Colombo
Il
primo re nasce in un gruppo di uomini nudi che si massacrano senza
sosta. Istinto e forza animale guidano a scartare il peggio (la mazza
chiodata sul cranio) per poter trapassare da parte a parte il nemico.
Visto dalla lontananza dei secoli, non è chiaro chi sia il nemico, nel
groviglio dei corpi. Poi si capisce la regola: perde il massacrato e
vince il massacratore. C’è sangue e fuoco e fango (fango di guerra,
forse premonizione della trincea di tanti secoli dopo) e questi uomini
del primo re non hanno altro che i corpi (di idee non se ne parla) per
offendere o per vincere, consacrando la vittoria con l’estrazione e il
pasto di viscere del nemico.
Nemico è chiunque non sia, anche per
caso, dalla tua parte, oppure mostri di ribellarsi. Sangue e carni
squarciate, ce n’è per tutti. La differenza è vivere ben schizzati di
sangue e segnati di gloriose ferite, col piede su un uomo morto. O
essere l’uomo morto, ucciso nel più violento dei modi. Donne, nessuna.
Nel senso che una donna, una sola, lugubre, e con l’aria di aspettarsi
il peggio, ha il ruolo di sacerdotessa o di maga, osserva cauta e prende
ordini dai maschi insanguinati, tenuto conto che uccidono. Altre donne
sono intraviste come bambine o come popolo che aspetta il re, quello che
ucciderà di più. È il re perché, persino trapassato da un’enorme lama,
ecco che torna, e guida e decide subito che chi non è con lui è in
soprannumero.
Scordatevi la gioia, benché il racconto (ovvero il
film di Rovere, che si intitola Il primo re) si proponga di narrarci la
riuscita carriera politica di Romolo. Dunque il sentimento è la ferocia,
con il respiro e i tratti della ferocia, mostrata come il volto giusto
del guerriero. E il guerriero è presentato come la sola possibile
incarnazione dell’uomo. Che altro fare se non uccidere? Il futuro è
sempre al di là di cataste di corpi sterminati. Nelle pause, il
sentimento è progetto di morte: “E adesso a chi tocca sottomettersi o
finire squarciato?”.
Prima dei titoli di coda, su fondo nero,
compare la scritta “Roma. Tremate”. Poiché, quando compare quella
scritta, tutti hanno già visto il film, sappiate che nessuno, in sala,
ha voglia di scherzare, benché quella frase, in quel punto e contesto,
sembri scritta da Propaganda Live. L’umore cupo del regista e del film
ormai è calato su tutti. Perciò la scritta sullo schermo può essere
letta con le parole di “Sole che sorge” o della strofa chiave di “Fuoco
di Vesta”, inno quotidiano dei bambini delle scuole fasciste: “Verrà,
quel dì verrà, che la gran madre degli eroi ci chiamerà. Una maschia
gioventù, con romana volontà combatterà”. Lo spettatore, stordito da un
ritorno così rapido e disinvolto del fascismo, senza trucchi e senza
inganni (non il fascismo come insulto, ma il sistema politico che per un
periodo ha dominato la storia italiana, così come lo trovate
scientificamente descritto sulla Treccani), si domanderà perché nessuno
glielo ha detto.
Per questo ho letto volentieri, sul Fatto
Quotidiano, ciò che ne ha scritto Pietrangelo Buttafuoco. Ha visto il
film per quello che è, un buon lavoro cinematografico di questo regime,
come Luciano Serra Pilota e L’Assedio dell’Alcazar lo erano stati per il
regime finito (temporaneamente, adesso sappiamo) nel 1945. La vigorosa
scrittura di Buttafuoco fa onore al film esattamente per quello che è:
la celebrazione dei “colli fatali di Roma”. Eppure non è tutto. Tenete
conto che questo è il tempo di Kerigma, il libro in cui il
sottosegretario Ceresani (che è stato con la Boschi a Palazzo Chigi e,
in omaggio al “cambiamento”, sta adesso con Fontana-Salvini al ministero
della Famiglia) ha annunciato l’Apocalisse e ha scritto: “La scomparsa
della Verità, dietro il nuovo dogma imperante del relativismo etico,
condusse a legittimare le pratiche più disumane come l’aborto e
l’eutanasia.” Il primo re, condotto sui sacri colli dall’attento
regista, lo sa e capisce che diventerà re (a Roma) solo se si schiera
con Dio. Remo invece deve essere ucciso perché osa dirsi non credente.
Ha così luogo il primo Concordato, nel senso che Roma non può nascere
senza un accordo, anche un po’ costoso, con Dio.
Non so, invece,
se attribuire a Romolo o a Rovere la fondazione contestuale del
sovranismo. Romolo, a differenza di Remo, che è élite, non vuole confini
aperti e fa mettere fuochi tutto intorno a ciò che sarà Roma. Chi finge
di non vederli farà, da subito, la fine degli immigrati tanti secoli
dopo, quando la guardia costiera italiana e quella libica non sentono le
chiamate disperate di soccorso di chi sta affogando.
Ma secondo il primo re e l’ultimo governo, Roma è sempre stata così, salvo un breve intervallo di democrazia.