Il Fatto 10.2.19
Roma e Parigi in lite pure sul viaggio del presidente Xi
Nella partita con la Francia anche gli accordi con Pechino. Il leader cinese ha deciso di incontrare prima il governo italiano
di Luca De Carolis
D’accordo,
in palio adesso ci sono innanzitutto i voti per le Europee, e per farsi
la guerra (mediatica) basta e avanza. Ma dietro all’assalto dei Cinque
Stelle a Macron e alla controffensiva del presidente francese, quello
che salutò il governo gialloverde appena formato parlando di “lebbra
populista”, c’è anche una partita che vale miliardi e influenza
politica, ed è quella per costruire un canale commerciale privilegiato
con la Cina.
L’altro gigante assieme a Usa e Russia, con cui
l’esecutivo italiano e in particolare il M5S vogliono rafforzare sempre
di più i rapporti, come provano i viaggi di Luigi Di Maio e di mezzo
governo a Pechino e in altre città cinesi. E proprio dalla Cina arriverà
a breve un segnale a cui i gialloverdi tengono moltissimo. Perché nella
seconda metà di marzo il presidente Xi Jinping arriverà in visita
ufficiale in Europa. E sarà anche a Roma, probabilmente il 24 marzo. Ma
soprattutto, incontrerà prima il governo italiano e solo dopo ripartirà
con destinazione Parigi. E passare prima dalla capitale italiana avrà un
suo peso, secondo i codici della diplomazia, specialmente in una fase
così delicata per l’Europa che va verso il voto.
Lo scorso 1°
febbraio il Fatto aveva raccontato come il ministro dello Sviluppo
economico Di Maio, ispirato dal suo sottosegretario Michele Geraci
(economista e docente a Shangai, fautore dell’accordo di governo tra M5S
e Carroccio), sia un convinto sostenitore della nuova “via della seta”,
un sistema di infrastrutture e investimenti che Pechino spinge per
allargare la sua piattaforma commerciale. E la sostanza alla fine è
semplice: la Cina promette soldi, tanti, per migliorare gli scali
europei (e italiani) in cambio di condizioni privilegiate per le sue
merci. Ed è un’offerta che ingolosisce i gialloverdi.
Tanto che in
primavera Di Maio è atteso in Cina per firmare un memorandum con le
autorità locali. Anche se gli Stati Uniti, ovvi avversari di Pechino,
non gradiranno affatto. Ma Roma, spiegano, punta sull’asse con la Cina. E
anche per questo i gialloverdi fremono per incassare la visita di
Jinping prima di Parigi e quindi di Macron, l’eterno avversario sul
piano internazionale (basti pensare alla Libia).
Un appuntamento
preparato lo scorso fine gennaio dalla visita a Roma del ministro degli
Esteri di Pechino, Wang Yi. “Avere qui da noi prima della Francia il
presidente cinese sarà un successo d’immagine e commerciale” assicura
una fonte di governo, che rivendica “il lavoro di continuità” per
consolidare i rapporti con Pechino. Fatto di visite ufficiali in Cina
con vari ministri (dal titolare dell’Economia Tria a quello
dell’Agricoltura, Centinaio) e sottosegretari. Anche perché non è solo
questione di affari. Ma anche di sponda a livello geopolitico, “perché i
cinesi hanno investito molto in Africa, e noi dobbiamo lavorare in quel
continente per gestire il fenomeno migratorio”. Ed è l’ennesimo tema su
cui gli interessi italiani incrociano quelli francesi. E d’altronde le
posizioni di Roma e Parigi di questi tempi sono opposte più o meno su
tutto. Quindi anche sul Venezuela. Perché Macron è stato rapidissimo nel
riconoscere come nuovo presidente l’autoproclamatosi Guaidò. Mentre il
governo italiano, l’unico tra gli esecutivi dei paesi europei di peso,
non lo ha fatto su spinta dei Cinque Stelle. Con Alessandro Di Battista a
fare da traino. Anche se Matteo Salvini rema in direzione contraria,
tanto che domani incontrerà una delegazione di parlamentari inviatagli
proprio da Guaidò.
Ma il governo, e soprattutto il premier
Giuseppe Conte, per ora tengono la linea della neutralità tra il 35enne
aspirante leader e l’ancora in carica Maduro, a cui negli anni i Cinque
Stelle hanno dato sostegno anche con mozioni parlamentari. “Siamo
rimasti fermi sulla nostra posizione per mostrare che siamo equidistanti
dai blocchi, dagli Stati Uniti come dalla Cina, e rivendicare
l’autonomia di questo governo” sostengono dal M5S. Dove raccontano di
“pressioni fortissime” da parte di Washington e dell’Unione europea in
favore di Guaidò. Per poi ricordare che mercoledì l’ambasciatore di
Caracas, nominato ovviamente da Maduro, riferirà in Senato alla
commissione Esteri, presieduta dal 5Stelle Vito Petrocelli. E lo stesso
Petrocelli al Fatto assicura: “Nessuna attenzione particolare per
Maduro, vogliamo solo favorire il dialogo restando sempre neutrali”. A
differenza di Macron, naturalmente.