Corriere La Lettura 10.2.19
La persistenza del mito
L’ardore di Achille la mente di Ulisse
E la terra ammutolì al suo cospetto
di Valerio Massimo Manfredi
La
mitologia del re macedone nasce quando il suo corpo è ancora caldo:
presi da liti furibonde fra chi vuole mantenere l’unità del suo impero
fino a che nasca un figlio maschio dalla sua sposa Rossane e chi vuole
dividerlo in vari regni, i suoi generali dimenticano che il suo corpo
giace da parecchi giorni abbandonato nel palazzo reale di Babilonia, nel
colmo della calura dell’estate mesopotamica. Quando finalmente vengono
inviati gli imbalsamatori a prendersi cura della salma di Alessandro,
invece di un cadavere in avanzato stato di putrefazione trovano un corpo
intatto che emana un profumo celestiale tanto che si rifiutano di
toccarlo temendo di profanare il corpo di un dio. Nello stesso tempo gli
agiografi del re macedone avevano creato la notizia giunta fino a noi
che al suo arrivo a Babilonia Alessandro aveva trovato ambasciate da
tutto il mondo (Roma compresa!) per riconoscerlo come sovrano
universale.
Già si era diffusa la favola che Alessandro non era
figlio di Filippo II ma di Zeus Amon che aveva posseduto sua madre
Olimpiade sotto le sembianze di un serpente. Ma il mito nacque anche
dallo stesso Alessandro: la sua morte prematura faceva immaginare cosa
avrebbe fatto se ne avesse avuto il tempo, l’incredibile coraggio che
gli fece guidare la carica di Gaugamela in sella a Bucefalo quando tutto
ormai sembrava perduto, l’apparente invulnerabilità che egli rese
autentica mostrando il torso nudo tempestato di cicatrici ai suoi
soldati in rivolta; il suo sguardo ardente, la vitalità senza limiti che
lo faceva riapparire sui campi di battaglia quando ormai tutti lo
credevano morto, la possanza guerriera di Achille e la mente di Odisseo,
il furore selvaggio del guerriero arcaico e la mente riflessiva del
filosofo, l’eloquenza travolgente, la sua iconografia affidata al genio
plastico di Lisippo e a quello pittorico di Apelle e a nessun altro.
Non
fu l’immensità dei territori conquistati a farlo grande, ma la
grandezza dei suoi pensieri e dei suoi sogni. La capacità di fondere
insieme mondi che neppure sapevano l’esistenza gli uni degli altri e
amalgamarli come in un crogiolo per crearne un altro nuovo e diverso. Fu
quel mondo a costruire la più grande nave che avesse solcato i mari, la
più grande statua mai innalzata, la più grande biblioteca, la torre del
Faro il cui raggio era visibile da quaranta chilometri. Per questo
ancora oggi continuiamo a cercare il suo corpo e la sua tomba perduta.
Per questo il primo libro dei Maccabei descrive così l’effetto della sua
titanica apparizione: et siluit terra in conspectu eius, «e la terra
ammutolì al suo cospetto».