martedì 12 febbraio 2019

Corriere La Lettura 10.2.19
La persistenza del mito
L’ardore di Achille la mente di Ulisse
E la terra ammutolì al suo cospetto
di Valerio Massimo Manfredi


La mitologia del re macedone nasce quando il suo corpo è ancora caldo: presi da liti furibonde fra chi vuole mantenere l’unità del suo impero fino a che nasca un figlio maschio dalla sua sposa Rossane e chi vuole dividerlo in vari regni, i suoi generali dimenticano che il suo corpo giace da parecchi giorni abbandonato nel palazzo reale di Babilonia, nel colmo della calura dell’estate mesopotamica. Quando finalmente vengono inviati gli imbalsamatori a prendersi cura della salma di Alessandro, invece di un cadavere in avanzato stato di putrefazione trovano un corpo intatto che emana un profumo celestiale tanto che si rifiutano di toccarlo temendo di profanare il corpo di un dio. Nello stesso tempo gli agiografi del re macedone avevano creato la notizia giunta fino a noi che al suo arrivo a Babilonia Alessandro aveva trovato ambasciate da tutto il mondo (Roma compresa!) per riconoscerlo come sovrano universale.
Già si era diffusa la favola che Alessandro non era figlio di Filippo II ma di Zeus Amon che aveva posseduto sua madre Olimpiade sotto le sembianze di un serpente. Ma il mito nacque anche dallo stesso Alessandro: la sua morte prematura faceva immaginare cosa avrebbe fatto se ne avesse avuto il tempo, l’incredibile coraggio che gli fece guidare la carica di Gaugamela in sella a Bucefalo quando tutto ormai sembrava perduto, l’apparente invulnerabilità che egli rese autentica mostrando il torso nudo tempestato di cicatrici ai suoi soldati in rivolta; il suo sguardo ardente, la vitalità senza limiti che lo faceva riapparire sui campi di battaglia quando ormai tutti lo credevano morto, la possanza guerriera di Achille e la mente di Odisseo, il furore selvaggio del guerriero arcaico e la mente riflessiva del filosofo, l’eloquenza travolgente, la sua iconografia affidata al genio plastico di Lisippo e a quello pittorico di Apelle e a nessun altro.
Non fu l’immensità dei territori conquistati a farlo grande, ma la grandezza dei suoi pensieri e dei suoi sogni. La capacità di fondere insieme mondi che neppure sapevano l’esistenza gli uni degli altri e amalgamarli come in un crogiolo per crearne un altro nuovo e diverso. Fu quel mondo a costruire la più grande nave che avesse solcato i mari, la più grande statua mai innalzata, la più grande biblioteca, la torre del Faro il cui raggio era visibile da quaranta chilometri. Per questo ancora oggi continuiamo a cercare il suo corpo e la sua tomba perduta. Per questo il primo libro dei Maccabei descrive così l’effetto della sua titanica apparizione: et siluit terra in conspectu eius, «e la terra ammutolì al suo cospetto».