Corriere 4.2.19
Hilde Schramm, figlia di Albert Speer
«Papà era l’architetto di Hitler
Aiutare gli ebrei è la mia missione»
di Michele Farina
Hilde Schramm, figlia di Albert Speer, premiata per la sua Fondazione
Una
Fondazione ebraica ha premiato la figlia dell’architetto di Hitler per
la sua missione in favore degli ebrei. In una foto che ha fatto storia,
Hilde Schramm ha un vestito rosa, le treccine bionde e la mano del
Führer sulla spalla: sono passati i decenni, e questa donna dalla voce
gentile ha fatto tanto per prendere le distanze dal nazismo che la vide
bambina, dalla sua storia familiare, dalla figura ingombrante e
controversa (è il meno che si possa dire) del padre Albert Speer, che a
29 anni divenne il «designer» scelto da Hitler per costruire la nuova
Germania e più tardi suo ministro per gli armamenti. L’ultimo passo di
questo lungo distacco è il riconoscimento che, a 82 anni, la veterana
dei Verdi tedeschi ha appena ricevuto dalla Obermayer Foundation,
l’organizzazione creata da un filantropo americano per insignire coloro
che mantengono viva l’eredità ebraica in Germania.
Lei, figlia di
un alto gerarca che al processo di Norimberga sfuggì al patibolo solo
perché chiese scusa, spergiurando di non sapere nulla dell’Olocausto,
per poi essere definitivamente smentito da un lettera spuntata nel 2007.
Se la storia ha tolto la maschera del «nazista buono» all’architetto di
Hitler, che come responsabile degli Armamenti era a capo di un
ministero che costruì i Lager e gestì il lavoro di milioni di schiavi
prigionieri, la cronaca getta ora una luce tutta diversa sulla figlia
che da piccola, quando la famiglia andava al «Nido dell’Aquila» a
trovare Hitler nel suo ritiro alpino, guardava i film di Mickey Mouse in
compagnia di Eva Braun, la donna del capo. Hilde ha cercato che la
storia del padre «non fosse sempre messa al centro» della sua vita. E in
qualche modo è riuscita nel suo intento. Accettando di parlarne, ma
facendo qualcosa di concreto per scalfire quel senso di colpa che non
ritiene «personale ma collettivo».
È stata premiata per
Zurückgeben, che in tedesco vuole dire «restituire». È il nome
dell’organizzazione che Hilde ha fatto nascere 25 anni fa «su consiglio —
ha raccontato a Christine Amanpour della Cnn — di alcune amiche donne».
Nei primi anni Novanta scompare la madre. Il padre, dopo vent’anni di
prigione, era morto nel 1981, in Gran Bretagna, da uomo libero che
scriveva libri e si faceva intervistare dai giornali americani. Senza i
genitori, Hilde Schramm si trova a gestire l’eredità di tre quadri, che
il padre aveva comperato prima del 1945, e che la figlia non vuole
tenere: «Allora non sapevo se si trattasse di arte rubata ai legittimi
proprietari ebrei, cosa che poi è stata esclusa. Ma quei quadri erano il
frutto di denaro sporco che non volevo».
Morale: li vendette. E
con il ricavato — «settantamila euro, certo non una grande cifra» — nel
1994 diede vita alla Fondazione Zurückgeben. «In quegli anni nessuno in
Germania sembrava interessarsi a quanto era stato sottratto agli ebrei»
ha raccontato Hilde ai media internazionali. Una delle mission della
Fondazione è raccogliere donazioni da parte di chi crede di aver
ottenuto guadagni ingiusti dal «grande furto» che la Germania nazista
architettò ai danni dei cittadini di religione ebraica. Il denaro
raccolto serve a finanziare borse di studio per donne ebree in Germania,
nel campo dell’arte e della creatività.
Subito dopo la guerra, il
fratello di Hilde, Albert junior, futuro architetto, credeva che il
«nuovo lavoro» del padre fosse quello di «criminale di guerra». Lei
aveva meno di 10 anni quando sua madre seguiva il processo di Norimberga
alla radio. Solo più tardi cominciò a sapere. «Mia madre con noi non ha
mai giustificato quanto era avvenuto, ci ha lasciate libere», ha detto
Hilde alla Cnn. Ha raccontato delle visite al padre nella prigione di
Spandau, delle lettere che si sono scambiati. Oggi ritiene che «lui
sapesse dell’Olocausto, e che si sia trovato come altri in un sistema di
negazione della realtà». E che, dopo, «si sia pentito».
La
vergogna collettiva per questa signora di 82 anni dalla voce gentile è
un sentimento ineludibile, «che forse le mie nipoti e i loro figli non
si sentiranno più addosso». Ma «non è l’unico sentimento: dopo la guerra
abbiamo avuto la possibilità di costruire una società più giusta,
democratica, e ci siamo riusciti». L’avanzata dell’estrema destra, non
solo in Germania, la preoccupa, «ma la storia non si ripete». E
l’antisemitismo?, le ha chiesto un giornalista del Daily Telegraph. «Il
partito Alleanza per la Germania non si professa anti-semita, ma oggi
non si tratta soltanto di anti-semitismo: cercano di dire che non sono
anti-semiti, ma intanto sono apertamente anti-musulmani».