Corriere 3.2.19
Maestri
Toscanini, la Scala, il no a Bayreuth
Un direttore senza compromessi
Dopo quarant’anni di ricerche Harvey Sachs scrive la biografia definitiva del musicista (il Saggiatore)
A Londra chiese a Stefan Zweig di conoscere Sigmund Freud ma l’incontro tra i due non si fece mai
di Helmut Failoni
In
un suo articolo, lo storico della musica Harvey Sachs, per spiegare
meglio l’intensità del rapporto che lo ha legato per anni allo studio di
Arturo Toscanini (1867-1957), ricorreva alla sua vita privata. «Sono
stato sposato due volte — ha scritto su “Il Sole 24 Ore” — e sono padre
di due figli, ma il rapporto più lungo della mia vita è stato con un
uomo che non ho mai conosciuto». Un uomo con la bacchetta in mano, che
lo ha accompagnato in un percorso durato quarant’anni, portandolo a
pubblicare più scritti sul maestro. Ogni volta pensando che fosse
l’ultima. Ma poi, per un motivo o per l’altro, ma sempre legato a nuove
scoperte, Sachs è tornato sull’amato Toscanini. Fino al recente sforzo
titanico di una biografia di 1.200 pagine dal titolo Toscanini. La
coscienza della musica , edita ora da il Saggiatore e tradotta da
Valeria Gorla.
Crediamo che per questo libro si possa finalmente
usare la definizione, a volte abusata, di «biografia definitiva». Sachs
aveva già pubblicato (era il 1978) un’importante monografia sul maestro,
ma La coscienza della musica non è la solita seconda edizione vista e
riveduta. Il perché è presto detto: per la pubblicazione del 1978, Sachs
aveva soprattutto parlato con le persone che erano state vicino al
direttore: si trattava di fonti umane, quindi di voci soggettive. Ciò
che mancava (allora) era l’accesso all’oggettività di un archivio
personale di Toscanini, chiuso in scatoloni impilati, impolverati e
custoditi nei magazzini della New York Public Library, perché, come
spesso accade, gli eredi non si erano messi d’accordo.
Verso la
metà degli anni Ottanta invece, una parte di questi documenti è stata
donata e l’altra venduta, altri archivi vennero alla luce negli anni
successivi (tantissime lettere), poi alcune registrazioni private con un
Toscanini molto anziano e raccolte (di nascosto) dal figlio Walter, il
primogenito. Il direttore, notoriamente restìo a interviste e
dichiarazioni pubbliche, qui parla di musica, di cantanti, di colleghi,
di partiture, nella serenità rassicurante delle mura di casa e degli
oggetti familiari che lo circondavano.
Ecco allora che fra le
pagine di Sachs emergono anche le letture amate dal grande direttore —
«eternamente scontento» e alla «continua ricerca della perfezione» — che
tra la Scala e il Metropolitan ha diretto le prime mondiali de La
bohème e di Turandot e prime italiane di Richard Wagner e Claude
Debussy. Amava Leopardi, Dante, Shelley... In una delle tante lettere
indirizzate ad Ada Colleoni Mainardi, con la quale Toscanini ebbe una
lunga e focosa relazione clandestina (certe sue lettere all’amante
farebbero arrossire i fan di Cinquanta sfumature di grigio...), si
legge: «Passo da Shelley e Keats alla Bibbia (Giobbe e l’Ecclesiaste),
Dante e all’ultimo libro di Croce».
I poeti inglesi Toscanini li
leggeva in lingua originale, Virgilio in latino e durante la sua
permanenza a Londra, mentre frequentava lo scrittore austriaco Stefan
Zweig, espresse più volte (siamo nella primavera del 1938) il desiderio
di conoscere Sigmund Freud. Non se ne fece nulla per la morte, l’anno
successivo, del padre della psicoanalisi, ma Toscanini rimaneva un uomo
pieno di curiosità e di passioni. E sulla sua genialità ci aveva visto
bene la maestra di scuola elementare che nella natìa Parma lo aveva
soprannominato Napoleone, per via della sua memoria infallibile, memoria
che si tradusse poi sulle partiture, prima di tutto su quelle del suo
amato Verdi, che conobbe alla Scala il 5 febbraio 1887. Il suo primo
incontro con l’opera, che avrebbe poi trasformato da genere di
intrattenimento in forma d’arte, avvenne al Regio di Parma quando aveva 4
anni e ascoltò Un ballo in maschera. Il suo debuttò come direttore fu
casuale, a Rio de Janeiro, e anche in questo caso legato alla memoria e a
Verdi: a 19 anni gli piantarono una bacchetta in mano e lui diresse
Aida, chiudendo la partitura . A trentun’anni divenne direttore
principale della Scala. Poi ci fu la guerra, e dopo la Liberazione, il
suo grande ritorno a Milano. Salì sul podio della Scala nuovamente l’11
maggio 1946 dopo tanti anni di assenza (la serata fu anche il debutto di
una giovane e promettente voce: Renata Tebaldi) per il concerto
inaugurale della ricostruzione, dopo i bombardamenti. In una lettera
scrisse che si sentiva così commosso al punto di svenire. E, sottolinea
Sachs: «Il periodo più importante della carriera di Toscanini fu proprio
quello della Scala».
Non vanno dimenticati altri momenti
fondamentali. Nel 1931, quando si rifiutò di dirigere (a Bologna) l’inno
fascista Giovinezza e per questo fu picchiato (nel 1919 si era persino
candidato, per via delle sue vocazioni socialiste, nelle liste di
Mussolini...); nel 1933 quando si rifiutò di dirigere a Bayreuth per
l’ascesa nazista (e questa, spiega Sachs, fu una delle scelte più
dolorose della sua vita), nel 1938 quando si rifiutò di dirigere a
Salisburgo per l’annessione dell’Austria alla Germania, sempre per
motivi legati al nazifascismo. La storia meno nota? Nel 1936 volle
inaugurare, a spese sue, un’orchestra di musicisti ebrei fuggiti in
Palestina. L’attuale Israel Philharmonic Orchestra.