mercoledì 9 gennaio 2019

Repubblica 9.1.19
Quel senso di colpa decidendo le sorti di altri
di Gino Castaldo


Abbiamo veramente voglia di decidere noi com’è che devono andare avanti le storie? Così suggerisce, e provoca, la puntata speciale della serie Netflix Black mirror intitolata Bandersnatch, immaginata su una trama interattiva decisa progressivamente dallo spettatore. Niente di sconvolgente, se pensiamo alle attitudini della Rete e della condivisione social. L’idea di narrazioni influenzate dalla partecipazione degli utenti è sempre più diffusa, ma una serie televisiva è pur sempre un’altra cosa. Dalla televisione ci aspettiamo che qualcuno ci racconti delle cose, per il tempo che noi decidiamo di accordargli. Bandersnatch al contrario invade la nostra privacy, sfonda la cosiddetta "quarta parete", stabilisce un dialogo. La libertà è in gran parte apparente, ovvio, le scelte sono predeterminate e portano verso sentieri ben definiti, anche quando ci sembra di essere decisivi. Esempio: a un certo punto ci vene posta una scelta, il protagonista può o meno uccidere il proprio padre utilizzando un pesante portacenere di vetro.
Ovviamente siamo indotti a scegliere l’opzione più morbida. Psicologicamente non vogliamo sentirci responsabili di un delitto, anche se si parla di un delitto virtuale. Scegliamo l’opzione "buona", ma scopriamo che la scelta non porta da nessuna parte, se non a un finale fasullo. Quindi ci ritroviamo di fronte alla stessa scelta e a quel punto siamo costretti a scegliere l’opzione "cattiva" se vogliamo arrivare a un finale più sensato, ma siamo anche giustificati e autoassolti dall’aver scoperto che per andare avanti "dobbiamo" chiedere al protagonista di far fuori il proprio padre. Insomma non è proprio del tutto colpa nostra, la responsabilità ci viene data ma subito dopo tolta. E ci ricordiamo che in fin dei conti si tratta di un gioco, anzi di un videogioco. Perché questo è il punto. La puntata è un ibrido, valica il confine della narrazione lineare "passiva" e si avvicina alla logica del videogioco, dove la necessità di scegliere è l’anima stessa dell’azione. D’altra parte i videogiochi assomigliano sempre di più ai film, come qualità visiva, come sviluppo di trame ingegnose e complesse. Nella puntata c’è anche una fase autoironica, quando il protagonista (la vicenda si svolge nell’orwelliano 1984) sospetta di essere manovrato da uomini del futuro, che saremmo appunto noi, doppiamente chiamati in causa. L’esperimento prenderà piede? Saremo sempre più spesso chiamati a decidere?
Di certo sarà difficile tornare indietro dopo aver offerto allo spettatore l’illusione di avere in mano la leva del comando.