lunedì 7 gennaio 2019

Repubblica 7.1.19
A chi parla il Vaticano
di Alberto Melloni


E alla fine è arrivato il " vescovone", Francesco. Non era pensabile che la tragedia di 49 persone in mare, ostaggi della propaganda, non suscitasse una reazione del Papa. Certo: sono ben più di 49 le persone e i bambini che ieri notte hanno patito sofferenza nel mondo. Ma ignorare quelle 49 nel mare nostrum non vorrebbe dire aiutarne di più, bensì negare il Vangelo. Francesco dunque parla. E dà un’indicazione alla Chiesa italiana, di cui è primate, molto politica e molto cristiana: attendere per capire se la spaccatura che si è aperta nel governo modificherà il modo cattolico di vedere i due partiti della coalizione.
La Chiesa deve capire se quel mondo cattolico conservatore che ha fatto credito a Matteo Salvini questa volta si sveglierà: e si chiederà se 49 " povericristi" e "gesùbambini", per i quali Cristo ha versato il sangue in croce, sono davvero "l’invasione". E se quel cattolicesimo a bassa coscienza democratica che si è affidato ai grillini si chiederà se l’uso del linguaggio della guerra (è lì che "donne e bambini" formano una categoria protetta) è quello che li esprime.
Gesti eclatanti la Chiesa li avrebbe a disposizione (ospitare tutti coloro che stanno negli Sprar nelle cattedrali; o mandare 49 passaporti vaticani in mare e chiedere il rispetto del Concordato): se preferisce attendere, senza tacere, è perché conosce l’assioma secondo cui " nulla di violento è perpetuo" ( nihil violentum perpetuum). E sa che il suo compito — dare alla dialettica democratica coscienze formate e quel " personalismo comunitario" di cui Sergio Mattarella ha dato una fondazione teorica nel discorso di fine anno — va svolto in questo tempo di violenza senza alimentare la retorica salviniana del "millimetro".
La Lega s’è imbarcata in una campagna lunghissima: l’ha iniziata a gennaio del 2018 e la finirà solo a metà 2019, quando dovrà decidere se provare a trasformare i voti europei, fatti di umori momentanei, in un’opa di destra sui moderati e liberali. Questa campagna infinita ha bisogno di tacere sui grandi problemi del nostro Paese ( il lavoro, il credito, la ricerca, la mafia, la credibilità internazionale, i big data, l’innovazione, la fragilità del suolo, ecc.) e di ipnotizzare tutti sulla sola questione dell’immigrazione. Non è un’idea originale: ovunque in Occidente è il tema che rende. E in Italia lo si può agitare senza spendere, vantandosi appunto di non arretrare di un "millimetro" in un Paese con 20 milioni di immigrati interni e 5 di immigrati esterni. Consapevole di questo congegno ideologico il vasto pianeta della carità cristiana si è mosso da tempo senza menar vanto di nulla del moltissimo che fa. Sia perché nel Cristianesimo autentico si usa così. Sia per non fornire benzina alla propaganda del "millimetro". Così anche ieri con una astuzia diplomatica elegantissima il Papa ha ignorato il governo italiano e si è rivolto all’Europa: perché è giusto. Ma anche per avere il tempo di capire la portata dello scontro che si è aperto dentro il governo.
I partiti della coalizione hanno imparato che dissensi, anche finti, sono indispensabili per aumentare i rispettivi consensi. Forti di un terzo dei voti (che in democrazia dista parecchio dalla meta del 51%) né Lega né M5S hanno saputo creare quelle correnti culturali interne che nei grandi partiti fidelizzano i militanti, preparano le alleanze e selezionano le intelligenze. Per cui devono mimare conflitti fra alleati, sperando che basti a guadagnare quei pochi punti percentuali che in regime proporzionale decidono di grandi equilibri di potere. Sanno tutti che il rischio è che poi arrivi un evento — tragico — che trasforma le baruffe dei capi in spaccature dei ceti di riferimento. Ed è per capire questo che la Chiesa ha deciso di attendere senza restare muta.