Repubblica 2.1.19
La collana
Holden e gli altri i capolavori di Salinger tutti da rileggere
di Paolo Di Paolo
Con
"Repubblica" da domani i libri dello scrittore americano più misterioso
di sempre che ha cambiato la letteratura del Novecento La prima uscita è
il suo romanzo d’esordio, titolo di culto per intere generazioni
Se
non fosse letto come un grande romanzo sull’adolescenza — o più
precisamente, sul sopravvivere all’adolescenza — come si potrebbe
leggere Il giovane Holden? A ogni latitudine questo romanzo di J.D.
Salinger, che ha venduto oltre 65 milioni di copie e da domani sarà in
edicola con Repubblica, attiva un’associazione automatica.
Holden,
l’adolescenza. E di sicuro non è sbagliato, se si considera la quantità
di dettagli, specifici e universali, che — gettati fra le pagine —
dicono di quella stagione della vita verità intramontabili (il progetto
di scappare di casa, la voglia di parlare al telefono con qualcuno, la
voglia di non parlare con nessuno, l’ansia nel contare i soldi che ti
sono rimasti, i momenti in cui si scoppia a piangere «sul serio»).
Ma
se fosse soltanto un grande romanzo sull’adolescenza, questo romanzo
epocale con cui Salinger non ha mai fatto pace, sarebbe difficile
spiegarne il mistero — l’ombra e lo scintillio, qualcosa che sta oltre
le pagine e le parole. Salinger si portava appresso il manoscritto nei
giorni del D-Day, era il suo «motivo per sopravvivere».
Il lungo soliloquio del ragazzo Holden Caulfield contiene più tristezza, più dolore, più follia di quanto affiori in superficie.
William
Faulkner, leggendolo, ci vide — più che l’immagine, ormai
cristallizzata, dell’adolescente ribelle — lo sforzo (letteralmente
tragico) che richiede diventare un individuo. Rompere il muro di vetro,
esistere. E una domanda, su tutte: diventare adulti significa
necessariamente diventare "come gli adulti"?
È un interrogativo
sufficiente a far tremare muri, certezze, ipocrisie, a disinnescare per
qualche istante il pilota automatico della quotidianità, e a ricordarsi —
con una tristezza che può spezzarti — di quando non era ancora stato
inserito.
Quando la fedeltà a sé stessi e al mondo era un patto da
rinnovare ora per ora; e potevi salire in cima a una stupida collina,
come fa Holden, solo per vedere se riuscivi a «provare un senso di
addio». Ma c’entra più l’adolescenza, o c’entra più la possibilità —
crescendo, invecchiando — di non tradirsi del tutto?
Salinger
avrebbe compiuto ieri cento anni: è morto invece novantenne, dopo aver
scritto altri grandi libri, un capolavoro come Nove racconti e la saga
della famiglia Glass ( Franny e Zooey e Alzate l’architrave, carpentieri
e Seymour), i titoli disponibili con Repubblica nelle prossime
settimane. Pur detestando il suo libro di maggior successo per avergli
tolto la tranquillità (l’assassino di Lennon ne aveva una copia nella
borsa!), a suo modo non ha mai smesso di restare Holden.
Bizzoso,
risentito, indignato, sentimentale, mistico. Se è vero che fra gli
inediti ce ne sono un paio con protagonista Holden (e uno ha per titolo
Gli ultimi e i migliori fra i Peter Pan), tutto si tiene. Tanto più che,
sottotraccia, il grande romanzo del ’51 abbozza una sorta di parabola
dell’artista (involontario) da giovane — uno che recalcitra di fronte
alla «macchina da scrivere schifosa», poi però tira fuori meraviglie.
Come
quando deve scrivere un tema al posto di un compagno di scuola, non sa
come riempire il foglio e all’improvviso gli torna in mente il guantone
da baseball di suo fratello Allie: «Si prestava alla descrizione perché
c’erano scritte delle poesie sulle dita, nel palmo e dappertutto».
Mi
è capito più volte di pensare a Holden come a uno scrittore camuffato
da sedicenne. È che uno come lui scrive nella testa, scrive anche quando
non scrive.
Vede le cose, gli altri, e le trasforma: da bugiardo
pazzesco, così si definisce, indossa il cappello con la visiera girata
all’indietro, legge Maugham e altri libri che fanno ridere, e pensa
troppo, si fa domande strane (sì, tutti conoscete quella sul destino
delle anatre di Central Park quando il laghetto gela). E ricorda cose
che «sono difficili da ricordare». E nota dettagli che, a chi è
sensibile «più o meno come un’asse del cesso», non dicono niente: «una
ragazza che si soffia il naso o ride o che ne so», la tristezza di
qualcuno, un pigiama azzurro con degli elefanti sul colletto indossato
da qualcuno che va matto per gli elefanti, due tizi che, imprecando,
scaricano un grosso albero di Natale da un camion. Se uno vede queste
cose, se riesce a fissare queste immagini, a tradurle in parole, è uno
scrittore. Anche se si è già convinto che non valga troppo la pena
diventarlo. Dice che, se sapesse suonare bene il pianoforte,
preferirebbe suonare in uno sgabuzzino: «Nemmeno vorrei che mi
applaudissero. La gente applaude sempre per le cose sbagliate». E — quel
che è peggio — è difficile renderti conto di quando suoni bene o no, se
pensi agli applausi. Detto da chi, dopo un successo clamoroso, si è
ritirato nel silenzio e nell’ombra per decenni, può essere preso sul
serio. E comunque, il problema di raccontare storie agli altri non è
solo una questione per scrittori. Lo dice Holden, nel magnifico finale
del romanzo, quando fa l’elenco di quelli che gli mancano. «Mi sa che mi
manca pure quello scemo di Maurice. È strano. Non raccontate mai niente
a nessuno. Se lo fate, poi comincia a mancarvi chiunque».
Le uscite
Nel centenario della nascita di J.D.
Salinger,
Repubblica festeggia il grande autore americano con una collana che
raccoglie i suoi celebri titoli nella nuova traduzione di Matteo Colombo
Si parte domani con Il giovane Holden, in vendita a 9,90 euro più il
prezzo del quotidiano. Seguiranno il 10 gennaio
Franny e Zooey, il 17 gennaio Nove racconti e il 24 gennaio Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione
Salinger (nella foto grande), nato a New York il primo gennaio 1919, è morto il 27 gennaio 2010