Repubblica 23.1.19
Desmond Morris “Noi umani felicemente entrati nella fase tribale”
La
scienza degli animali, l’amore per l’arte. La scimmia e l’evoluzione
tecnologica. L’aggressività diffusa e il razzismo negli stadi. Parla il
grande etologo, che domani festeggia il compleanno e ha appena finito il
nuovo libro
Intervista di Marino Niola
Nella
casa del più grande zoologo del mondo non ci sono animali. Fatta
eccezione per una tartaruga che da quarant’anni bruca l’erba del suo
grande giardino di Oxford. Alla sua età, 91 anni domani, non vuole
prendersi degli animali che vivrebbero più a lungo di lui. E su questa
nota dolceamara Desmond Morris, che abbiamo raggiunto grazie al suo
editore Bompiani, dà inizio a un dialogo a tutto campo.
Oltre che
come etologo, lei è celebre anche come pittore surrealista. In che modo
convivono l’artista Desmond e lo scienziato Morris?
«Ho sempre
avuto una doppia vita. Fin dagli anni della scuola mi barcameno tra
l’oggettività scientifica e l’intuizione artistica.
La posta in
gioco è comunque la visione. La differenza è che in un caso si tratta di
osservazione analitica, mentre nell’altro di una visione visionaria».
Le
sue due metà si sono unite quando ha trasformato uno scimpanzé in un
pittore di successo. Persino Picasso comprò un suo quadro.
«Congo era straordinario».
Quale dote gli invidiava?
«La forza. Quattro volte superiore a quella di un uomo nerboruto. In molte situazioni mi avrebbe fatto comodo».
Alcune sue espressioni sono entrate nel linguaggio comune. La “scimmia nuda” ha ispirato perfino una canzone.
«Sì, un bellissimo testo. Francesco Gabbani è anche venuto a trovarmi qui a casa e gli ho fatto i complimenti».
Ma anche “zoo umano” e “tribù del calcio” sono altrettanto celebri.
«La
mia preferita è “la città non è una giungla di cemento, ma uno zoo
umano”. Quando scrissi The Human Zoo, cinquant’anni fa, ragionavo sulle
nostre megalopoli che sono l’opposto dei villaggi in cui l’uomo ha
vissuto per millenni. E il fatto che le città funzionino e non
precipitino nel caos è un miracolo evolutivo.
Nessun animale sarebbe in grado di adattarsi così tanto».
La rivoluzione tecnologica sta cambiando la scimmia nuda?
«Rispetto
alla fase tribale della nostra evoluzione ora viviamo in mega tribù,
dove non conosciamo il dirimpettaio, ma siamo connessi con tutti».
Siamo passati dalla società face to face a quella face to Facebook.
«Esatto.
E nel prossimo futuro potremo interagire con ologrammi di persone,
fisicamente lontane, ma proiettate in 3D nella nostra stanza. Sarà una
svolta epocale».
Che cosa dobbiamo ancora imparare dagli animali?
«Che
la guerra è sempre la peggiore delle soluzioni. Non a caso nel mondo
animale il ricorso alla violenza fisica è l’estrema ratio. E non per
ragioni morali, ma perché anche chi ha la meglio può comunque buscarsi
delle ferite che potrebbero essergli fatali. In realtà gli scontri fra
animali sono dei tira e molla, gesti di intimidazione e segnali di resa.
Come diceva Churchill, la discussione più violenta è comunque meglio della guerra meno cruenta».
C’è qualcosa di etologico nella paura degli stranieri?
«Certo.
Siamo animali tribali e preferiamo istintivamente le persone più vicine
a noi. È una tendenza naturale, che però può sfuggirci di mano. Un
eccesso di familismo ci rende aggressivi con gli estranei. Un eccesso di
patriottismo, conduce dritto al conflitto con altri popoli.
Insomma dobbiamo tenere sotto controllo questa tendenza naturale a vedere gli altri come potenziali nemici.
Negli stadi italiani imperversano i cori razzisti. C’è anche qui una spiegazione etologica?
«Più
che altro sociale. In realtà se a fare goal sono i giocatori di colore
della nostra squadra, la tifoseria esulta e li osanna. Mentre insulta
quelli delle squadre avversarie. Insomma, il nostro nero è un eroe, il
loro è un selvaggio. Ma questo non è razzismo nel senso pieno della
parola, è piuttosto un comportamento tribale. Proprio per questo
intitolai il mio libro La tribù del calcio. Perché questo sport è
l’ultimo rifugio del
tribalismo».
Però per la legge le offese razziste esistono eccome.
Tanto è che il nostro vice presidente del Senato Calderoli è stato condannato per aver dato dell’orango all’ex ministra Kyenge.
«Certamente».
Paradossalmente aumenta il rispetto per gli animali e diminuisce quello per gli umani. Cosa pensa dell’antispecismo dilagante?
«Secondo
questa teoria dovremmo trattare le altre specie come uguali a noi. Di
fatto la sensibilità antispecista nasce dall’indignazione di fronte agli
animali sacrificati nel corso di esperimenti. O immolati sul
capriccioso altare della caccia.
Nel mio lavoro di zoologo ho
sempre rifiutato il ricorso alla sperimentazione con cavie. Io gli
animali, uomini inclusi, mi limito a osservarli senza interferire.
Tuttavia
è inutile nascondersi che esista una deriva nell’antispecismo, perché è
evidente che non possiamo trattare come nostri simili ratti, scarafaggi
e parassiti. Pulci e pidocchi vorremmo vederli estinti».
La
diffusione crescente dell’animalismo va di pari passo con quella del
vegetarianismo. È il segno che stiamo diventando più evoluti o più
primitivi?
«La nostra specie si è sviluppata perché siamo
diventati cacciatori e siamo stati capaci di procurarci una dieta di
qualità superiore rispetto agli altri animali. Noi nasciamo e restiamo
onnivori.
Ammiro i vegetariani per il sacrificio che si impongono,
ma la loro alimentazione è qualitativamente inferiore a quella di un
onnivoro».
E lei è mai stato vegetariano?
«No. Anche se
cerco di mangiare animali che abbiano avuto un’esistenza quanto più
naturale possibile. Detesto la crudeltà degli allevamenti intensivi».
“The human sexes” è stato un suo programma tv di culto dedicato alla storia naturale del maschio e della femmina.
#MeToo rappresenta un capitolo nuovo del rapporto fra i generi?
«È
una reazione provvidenziale contro il maschio predatore, che abusa le
donne sfruttando il suo ruolo dominante. Ma ultimamente anche una
semplice molestia viene equiparata alla violenza carnale, il che è
assurdo.
In realtà, come tutti i movimenti di contestazione al
loro inizio #MeToo esaspera i toni per farsi ascoltare. Ma presto sarà
evidente a tutti la sua portata storica.
Perché, d’ora in avanti, certi maschi dovranno pensarci due volte prima di dare sfogo ai loro peggiori istinti».
A cosa sta lavorando?
«Ho
appena finito un libro intitolato Body Language in Art, dove spiego i
diversi modi in cui gli artisti hanno dipinto posture e gesti. Se vuol
sapere perché Napoleone veniva ritratto sempre con la mano destra
infilata nel gilet, dovrà comprare il mio libro!».