sabato 19 gennaio 2019

La Stampa TuttoLibri 19.1.19
L’artista di Morin è uno sciamano che ci aiuta a conoscere noi stessi
Da Beethoven a Orson Welles, dalle serie tv al fumetto, dalla cucina alla camera da letto: il filosofo spiega perché non possiamo fare a meno dell’esperienza estetica
di Federico Vercellone


L’estetica non riguarda soltanto le modalità secondo le quali gli uomini si relazionano consapevolmente all’opera d’arte in quanto creatori o fruitori. Sarebbe troppo poco ritenere che essa concerna solo la riflessione sul prodotto artistico già ultimato e già disposto nelle sedi che gli sono deputate, che si tratti della galleria, del museo, della biblioteca o della sala da concerto. Un atteggiamento di questa natura non riesce infine a rispondere al quesito fondamentale circa il perché abbiamo a che fare con l’arte e non possiamo farne a meno. Se delle profondissime motivazioni estetiche non si annidassero nelle radici dell’essere umano, ecco che all’arte potremmo in fondo tranquillamente rinunciare. Quando ci si dimentica di questo, come oggi troppo spesso avviene, l’arte finisce per diventare un nobile brand, un «bene» culturale ed economico. E questo coincide con una cultura nella quale l’estetizzazione dei prodotti, il loro design va di pari passo con la loro forza sul mercato.
Su questa base non si capirebbe per altro perché l’umanità abbia da sempre creato opere d’arte. Proprio di qui si avvia la riflessione estetica di uno dei grandi filosofi ed epistemologi del nostro tempo, Edgar Morin del quale Cortina pubblica ora Sull’estetica. Morin rileva che la necessità di un’espressione caratterizzata esteticamente, e cioè non finalizzata ad altro che a produrre il proprio splendore percorre non solo la vicenda umana nella sua interezza, ma anche, quantomeno a tratti, quella degli animali. Il dispiegarsi delle penne del pavone non può per esempio essere ridotto a un’esibizione rivolta alla conquista della femmina. Si tratta piuttosto di una manifestazione dotata di una portata autonoma che si può legittimamente definire come estetica. Il grande bacino della poesia e della poetizzazione della vita è ben più ampio di quello dell’arte soltanto, e contempla – secondo Morin - tutti i momenti di partecipazione empatica e intelligente del mondo che aprono la via alla sua comprensione.
L’atteggiamento estetico è, per Morin, quello con cui si vengono a oltrepassare i limiti della soggettività, la quale conosce così una condizione estatica. L’artista è, in altri termini, un soggetto che cade in una sorta di trance controllata. Quell’irrazionalità dell’arte di cui si è sin troppo parlato, non è in fondo che questa minaccia di aprire le porte dell’io asserragliato su sé stesso. L’atteggiamento estetico, in breve, mette in questione il carattere schermato e chiuso del soggetto moderno. L’artista, tornando a Morin, è una sorta di sciamano che viaggia fuori di sé facendo provare sensazioni analoghe ai suoi fruitori. L’estasi è in breve condivisa sia dal creatore sia dal fruitore. Né potrebbe essere diversamente poiché altrimenti l’opera d’arte risulterebbe muta e incomprensibile. L’arte, in breve, produce, in chi la crea e in chi la fruisce, una sorta di reincantamento empatico del mondo disincantato dalla razionalità tecnologica.
L’arte inaugura da questo punto di vista, in tutte le sue forme, una diversa relazione del soggetto con il mondo. Si tratta di un surplus vitale che accompagna la relazione estetica con il mondo. Questo vale per la letteratura, per le arti figurative nella loro mutevole configurazione, e soprattutto per la musica che incarna il linguaggio affettivo più intimo e toccante, e dunque più prossimo a questa dimensione di esteriorizzazione dell’Io. La quale per altro non è enfatica: per esempio siamo posseduti da una musica anche, semplicemente, quando una canzone o un ritornello continuano a tornarci in mente e, letteralmente, non riusciamo a prender congedo da loro. In ogni caso grazie all’arte veniamo a contatto con il nostro io profondo, ci conosciamo meglio trasferendoci nello spazio dell’opera e della sua trama, dei suoi personaggi e dei loro sentimenti. Un atteggiamento di questa natura fa sì che l’estetica preceda l’arte per fondare quest’ultima antropologicamente, e consente per altro di allargare lo sguardo sull’arte di massa, dalla fotografia, al fumetto, sino ai serial televisivi. Esemplare è la difesa che Morin fa proprio dei serial che producono una partecipazione empatica più intensa rispetto ad altri generi proprio in quanto ci rimandano allo specchio la nostra quotidianità e ce ne rendono partecipi negli spazi intimi e quotidiani della nostra vita che si tratti di una sala d’aspetto, di una cucina o di una camera da letto. Proprio qui si rivela in tutta la sua portata l’estrema originalità e plausibilità dell’approccio di Morin. In tutte le sue forme, senza distinzione tra high and low, l’arte - secondo Morin- ci aiuta a conoscere la nostra identità, a sapere chi siamo, ed è dunque sempre ben più che una mera forma dell’apparenza.