La Stampa 13.1.19
Il dilemma di Rosa Luxemburg
Il suo sì al putsch cambiò la storia della sinistra
di Gian Enrico Rusconi
Il
15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg veniva assassinata, insieme con Karl
Liebknecht, a Berlino da un gruppo di militari schierati con il governo
della neonata repubblica tedesca. Era la conclusione della repressione
feroce di quella che fu chiamata «la rivolta di Spartaco». Ma
l’assassinio di Rosa fu compiuto a freddo e il suo corpo fatto sparire.
L’obiettivo era quello di eliminare una personalità politica fuori dal
comune, una studiosa marxista originale, una indomita pacifista. Donna
sensibile ed emancipata, grande oratrice, sapeva affascinare la gente
comune e intrattenersi polemicamente con eminenti intellettuali
professionali. Tenace ma leale critica di Lenin - anche se soltanto
nella agiografia successiva sarebbe stata stilizzata come la sua
controfigura storica.
La sua grande personalità tuttavia non ci
impedisce di porci interrogativi sulle giustezza politica della sua
scelta finale. Ma sono interrogativi senza risposta. Soltanto un’audace e
inverificabile ipotesi controfattuale può affermare che se Rosa
Luxemburg fosse sopravvissuta e avesse valutato più realisticamente la
situazione tedesca avrebbe potuto salvare il partito comunista tedesco
dalla micidiale subordinazione al leninismo-stalinismo vincente.
L’ipotesi però non è del tutto stravagante perché alcuni marxisti di
ispirazione luxemburghiana avrebbero tentato invano questa strada. Si
sarebbe evitata la smisurata ostilità (reciproca) verso la
socialdemocrazia e la sua conseguenza fatale. La divisione tra i due
partiti operai infatti è stata una delle ragioni decisive della paralisi
della democrazia weimariana e dell’affermazione del nazionalsocialismo.
Invece
l’assassinio di Rosa Luxemburg ha fossilizzato per decenni la memoria
storica dell’antagonismo, morale prima ancora che politico, tra
comunisti e socialdemocratici. Per i comunisti quel delitto era
senz’altro il segno tangibile del tradimento della socialdemocrazia,
messasi al servizio del capitalismo e decisa ad usare a questo scopo le
forze armate «regolari» e quelle «volontarie» ostili alla stessa
repubblica.
In realtà il governo socialdemocratico, consapevole
dello scarso consenso della borghesia e del potenziale eversivo delle
forze reazionarie ostili alla repubblica, puntava tutto sulla rapida
costituzione di un sistema democratico con forti garanzie sociali. La
repubblica (di Weimar - come si chiamerà) sarà il primo esempio di una
democrazia politica strutturalmente saldata con gli istituti dello stato
sociale. Specularmente però la socialdemocrazia condannava
assolutamente l’esperimento sovietico leninista di cui erano evidenti
gli aspetti totalitari, violenti e il caos economico. E quindi
respingeva le sue imitazioni tedesche.
Nel giro di poche settimane
dalla proclamazione della repubblica (9 novembre 1918) il movimento
operaio, protagonista della rivoluzione, si era disarticolato in due
partiti socialdemocratici (maggioritario e indipendente) con forti
tensioni interne e in altri raggruppamenti minori. La formazione più
significativa era lo Spartakusbund guidato da Karl Liebknecht.
Quest’ultimo già nel pomeriggio del 9 novembre aveva proclamato la
«libera repubblica socialista di Germania» esigendo che tutto il potere
esecutivo, legislativo e giudiziario fosse affidato ai Consigli degli
operai e dei soldati. Era appunto il modello dei «soviet» nettamente
contrapposto al modello costituzionale proposto dal governo
socialdemocratico.
Ma il contrasto politico diventa guerra civile
quando per affermarsi le parti in conflitto ricorrono alle minacce delle
armi o al loro uso effettivo, anche su questioni che si potrebbero
affrontare diversamente. È quanto accade in grave misura in dicembre,
culminante nel cosiddetto «Natale di sangue». Il Paese pullula di
formazioni armate, alcune sotto il diretto controllo del governo, altre
gestite dai vertici militari che godono o «contrattano» con il governo
una ambigua autonomia, politicamente disposta a combattere
esclusivamente i rivoluzionari comunisti.
Di questa complicata
vicenda meritano di essere messe a fuoco due questioni cruciali, che qui
mi limito a segnalare. (1) Il conflitto tra spartachisti (poi
comunisti) e socialdemocratici ha il suo punto politico discriminante
nella elezione della Assemblea costituente (se, come e quando
convocarla). (2) Rosa Luxemburg non solo disapprova la Costituente, ma
si fa coinvolgere in un tentativo di colpo di Stato comunista (5-10
gennaio), che non ha prospettive.
Per noi oggi è scontato che dopo
una serie di fatti rivoluzionari si debba costituire e formalizzare un
nuovo ordine politico e sociale. In termini istituzionali si tratta di
eleggere un ’Assemblea costituente. È esattamente quanto decide il
Congresso nazionale dei Consigli tra il 16 e il 21 dicembre a Berlino,
respingendo a larga maggioranza (344 voti contro 98) la proposta dei
sostenitori di un «puro sistema consiliare» (o dei soviet) di trasferire
immediatamente il potere legislativo, esecutivo e giudiziario ai
consigli operai esistenti - esattamente come sta accadendo nella Russia
di Lenin. Per tragica ironia l’elezione per la Costituente è fissata per
il 19 gennaio quando a Mosca per ordine di Lenin è dissolta la
Costituente a favore esclusivo dei soviet esistenti dominati dai
bolscevichi.
Siamo così alla seconda questione. Rosa Luxemburg
aveva scritto nel Programma che «lo Spartakusbund non prenderà mai il
potere di governo se non attraverso la chiara e inequivocabile volontà
della grande maggioranza della massa proletaria della Germania» . Di
fatto però aderisce (non senza qualche iniziale perplessità) alla
sollevazione comunista di gennaio, che era un tentativo mal organizzato e
mal diretto di putsch contro il governo da parte di una esigua
minoranza radicale. Nulla di simile a quanto stava accadendo in Russia.
Lenin non aveva davanti forze politiche storicamente forti, popolari e
organizzate come la socialdemocrazia tedesca, che al momento poteva
disporre - sia pure pericolosamente - di un «legittimo sostegno
militare».
Le storiografie di ieri e di oggi danno varie
spiegazioni di quanto è accaduto. Arthur Rosenberg, egli stesso membro
del partito comunista sino al 1927, nella sua classica Storia della
repubblica tedesca (1935) parla di un’azione dettata da «spirito di un
fanatico utopismo». Intanto rimane il mito, ormai oggi sottilmente
depoliticizzato, di Rosa Luxemburg.