il manifesto 15.1.19
Il «grande gioco» delle basi in Africa
di Manlio Dinucci
I
militari italiani in missione a Gibuti hanno donato alcune macchine da
cucire all’organizzazione umanitaria che assiste i rifugiati in questo
piccolo paese del Corno d’Africa, situato in posizione strategica sulla
fondamentale rotta commerciale Asia-Europa all’imboccatura del Mar
Rosso, proprio di fronte allo Yemen.
Qui l’Italia ha una propria
base militare che, dal 2012, «fornisce supporto logistico alle
operazioni militari italiane che si svolgono nell’area del Corno
d’Africa, Golfo di Aden, bacino somalo, Oceano Indiano».
A Gibuti i
militari italiani non si occupano, quindi, solo di macchine da cucire.
Nell’esercitazione Barracuda 2018, svoltasi qui lo scorso novembre, i
tiratori scelti delle Forze speciali (il cui comando è a Pisa) si sono
addestrati, in diverse condizioni ambientali anche di notte, con i più
sofisticati fucili di precisione capaci di centrare l’obiettivo a 1-2 km
di distanza.
Non si sa a quali operazioni militari partecipino le
Forze speciali, poiché le loro missioni sono segrete; è comunque certo
che esse si svolgono prevalentemente in ambito multinazionale sotto
comando Usa. A Gibuti c’è Camp Lemonnier, la grande base Usa da cui
opera dal 2001 la Task force congiunta-Corno d’Africa, composta da 4000
specialisti in missioni altamente segrete, tra cui uccisioni mirate per
mezzo di commandos o droni killer in particolare nello Yemen e in
Somalia.
Mentre gli aerei e gli elicotteri per le operazioni
speciali decollano da Camp Lemonnier, i droni sono stati concentrati
nell’aeroporto Chabelley, a una decina di chilometri dalla capitale. Qui
si stanno realizzando altri hangar, la cui costruzione è stata affidata
dal Pentagono a una azienda di Catania già impiegata in lavori a
Sigonella, principale base dei droni Usa/Nato per operazioni in Africa e
Medioriente. A Gibuti ci sono anche una base giapponese e una francese,
che ospita truppe tedesche e spagnole. A queste si è aggiunta nel 2017
una base militare cinese, l’unica fuori dal suo territorio nazionale.
Pur avendo un fondamentale scopo logistico, quale foresteria degli
equipaggi delle navi militari che scortano i mercantili e quale
magazzino per i rifornimenti, essa rappresenta un significativo segnale
della crescente presenza cinese in Africa.
Presenza essenzialmente
economica, a cui gli Stati uniti e le altre potenze occidentali
contrappongono una crescente presenza militare. Da qui l’intensificarsi
delle operazioni condotte dal Comando Africa, che ha in Italia due
importanti comandi subordinati: lo U.S. Army Africa (Esercito Usa per
l’Africa), alla caserma Ederle di Vicenza; le U.S. Naval Forces
Europe-Africa (Forze navali Usa per l’Europa e l’Africa), il cui
quartier generale è nella base di Capodichino a Napoli, formate dalle
navi da guerra della Sesta Flotta basata a Gaeta.
Nello stesso
quadro strategico rientra un’altra base Usa di droni armati, che si sta
costruendo ad Agadez in Niger, dove il Pentagono già usa per i propri
droni la base aerea 101 a Niamey.
Essa serve alle operazioni
militari che gli Usa conducono da anni, insieme alla Francia,
nell’Africa del Sahel, soprattutto in Mali, Niger e Ciad. In questi
ultimi due Paesi arriva oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte:
sono tra i più poveri del mondo, ma ricchissimi di materie prime –
coltan, uranio, oro, petrolio e molte altre – sfruttate da
multinazionali statunitensi e francesi che sempre più temono la
concorrenza delle società cinesi le quali offrono ai paesi africani
condizioni molto più favorevoli.
Il tentativo di fermare con
strumenti militari, in Africa e altrove, l’avanzata economica cinese sta
fallendo. Probabilmente anche le macchine da cucire, donate a Gibuti
dai militari italiani ai profughi, sono «made in China».