Il Fatto 20.1.19
I “diavoli” pedofili erano finti, le tragedie sono vere
1997-1998
- Il podcast di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli riapre un caso
dimenticato: i bambini modenesi spinti ad accusare i loro genitori
Un inferno in terra – Dopo le deposizioni dei bambini, nella Bassa modenese si sono distrutte tante famiglie – Ansa
di Selvaggia Lucarelli
“Poi
c’era il prete… nel senso di dire che lui faceva la messa, però
dedicata al diavolo… allora è andato a prendere l’ostia, è venuto lì al
cimitero e ci ha detto ‘Gesù non esiste’… Poi ci ha parlato del diavolo,
che la notte ti viene a prendere… Lui ci metteva sulla tomba e ci
faceva fare delle cose come ballare, fare dei gesti… Noi avevamo anche
dei gatti e noi li uccidevamo. Mio padre il sangue dei gatti ce lo
faceva bere a noi. Poi a certi bambini gli aprivano qua e veniva fuori
tutto il sangue, si vedevano delle sacche. Dopo ce li facevano uccidere.
Io ne ho dovuti uccidere cinque…”.
Il racconto è quello di un
bambino. Un bambino vero, che è sottoposto a un vero interrogatorio.
Sono veri gli assistenti sociali e i pm che l’hanno ascoltato tante
volte. È vero che la sua atroce testimonianza, come quella di tanti
altri bambini, ha portato in galera molte persone. Genitori, preti,
amici, nonni. Che 16 bambini sono stati allontanati per sempre dalle
loro famiglie. Che qualcuno, in questa storia, è morto suicida, che
qualcuno è morto di dolore. Quello che non è vero è ciò che il bambino
racconta. Non ci sono mai stati calici da cui bere sangue di gatto,
bambini giustiziati, preti satanisti, padri pedofili.
Quello che è
vero è che queste testimonianze, tra il 1997 e il 1998, hanno dato vita
a uno dei fatti di cronaca e a una serie di errori giudiziari tra i più
osceni e incredibili della storia di questo Paese: la vicenda dei
diavoli della Bassa Modenese. Una vicenda torbida di cui si sapeva poco e
si ricordava poco, finché la tigna investigativa dei giornalisti Pablo
Trincia e Alessia Rafanelli non ha riaperto il caso stravolgendo
convinzioni impolverate, cercando i protagonisti, sbobinando 80 ore di
interrogatori, leggendo carte processuali, calpestando campi e cimiteri
della Bassa. Il tutto è finito nel podcast Veleno di Repubblica
scaricato da centinaia di migliaia di persone che ha dato voce e
coraggio ai protagonisti di una storia ingiusta, una storia che ora –
dopo 20 anni – pretende giustizia.
I fatti. Nel 1997, in un
paesino di poche migliaia di abitanti, Massa Finalese, un bambino di tre
anni viene allontanato dalla sua famiglia naturale, i Galliera. Gli
assistenti sociali lo affidano prima a un istituto e poi a un’altra
famiglia, anche se il bambino, ogni tanto, trascorre dei fine settimana
con i veri genitori, suo fratello Igor e la sorella Barbara. Questo fino
al 23 febbraio 1997, l’ultimo giorno in cui il piccolo, che ormai ha
sette anni, vedrà la sua famiglia naturale. Perché? Perché ha cominciato
a raccontare prima alla maestra, poi agli assistenti sociali che suo
padre, sua madre, suo fratello abusano di lui. I genitori vengono
arrestati.
Il bambino racconta altre cose orribili. Dice che mamma
e papà lo vendevano a un’amica, Rosa, che assieme a suo marito lo
costringeva a picchiarla con un bastone e un attizzatoio, che poi
scattavano delle polaroid. Arrestati anche loro. Ma è solo l’inizio. Il
bimbo aggiunge che anche due sue amichette subiscono abusi con la
complicità delle famiglie. Entrambe vengono visitate da una ginecologa
della clinica Mangiagalli di Milano, Cristina Maggioni, che conferma i
sospetti. Vengono allontanate dai genitori che finiscono prima in
carcere e poi ai domiciliari. La mamma di una delle due, Francesca, non
regge il trauma e si butta dal quinto piano dopo aver telefonato
all’altra famiglia finita in carcere con lei per dire: “Vi ho voluto
tanto bene, mi dispiace”. Il bambino coinvolge anche il prete, don
Giorgio Govoni. Dice che lui fa le messe nere nei cimiteri. Che sfilano
tutti insieme di notte – prete, genitori, bambini – per andare a
invocare Satana. Il prete, uno buono, uno che aiutava i poveri, morirà
di infarto nel maggio del 2000 nello studio del suo avvocato, dopo che
il pm aveva chiesto una condanna di 14 anni.
Altri bambini faranno
i nomi di amichetti, nonni, cugini, genitori. Venti persone finiranno
in carcere, sedici bambini verranno allontanati dai genitori. Qualcuno
morirà di infarto dopo la sentenza, qualcuno si ammalerà di tumore in
galera. I racconti dei bimbi sono terrificanti: sangue di gatto dato da
bere ai piccoli, neonati giustiziati da bambini nei cimiteri, stupri
collettivi, i genitori travestiti chi da tigre, chi da pantera, chi da
vampiro, bimbi rinchiusi nelle bare, costretti a picchiarsi tra di loro.
Il peggiore film horror che possiate immaginare. Già, film. Perché
nella realtà nessuno troverà mai il cadavere di neonato, nonostante sia
stato perfino dragato un fiume. Nessun bambino andrà mai a scuola con un
livido. Non troveranno mai tracce di messe sataniche, nessuna
perquisizione a casa degli imputati restituirà anche una sola prova di
filmati, violenze, foto, rituali. Per sfilare travestiti da tigri e
vampiri, in un paese di 4.000 abitanti con gatti e neonati, senza essere
mai stati notati da nessuno, non sarebbero bastate neppure le nebbie
modenesi.
Ci vorranno 17 anni di processi per arrivare a molte
assoluzioni. Alcuni invece sono stati condannati anche in cassazione,
qualcuno nel frattempo è morto. C’è chi ai tempi è scappato in Francia
per la paura che gli togliessero pure il figlio che stava per nascere.
Tutti si sono sempre dichiarati innocenti. Nessuno ha mai più avuto
indietro i propri figli.
Quello su cui si è sempre fondata
l’accusa, oltre alle visite mediche, è la testimonianza dei bambini. Ed è
su questo che il lavoro di Trincia e della Rafanelli si sofferma. Gli
audio delle testimonianze dei bambini alla psicologa dei servizi sociali
dell’epoca Valeria Donati sono sconcertanti. C’è il bambino che non ha
voglia di confessare chissà quali atrocità e gli viene detto che se non
parla “il mare si allontana”, ovvero andrà al mare a divertirsi chissà
quando. Ci sono poi le testimonianze di alcuni di questi ragazzini,
rintracciati dai giornalisti, che oggi sono adulti e che si dicono certi
di essere stati indotti a inventarsi tutto. C’è la psicologa in
questione, che viene contattata e non risponde alle domande, minacciando
di denunciare i giornalisti per molestie. Sulla psicologa, ai tempi
29enne, si addensano i principali dubbi dell’inchiesta: all’epoca era
responsabile del Centro aiuti per il bambino, giudicata inesperta da
alcuni giudici e artefice di una suggestione collettiva, di una folle
caccia alle streghe da alcuni dei genitori e figli coinvolti. Dubbi che
durante i vari processi hanno riguardato pure l’operato della dottoressa
Maggioni, colei che verificava gli abusi. Durante un dibattimento
alcuni colleghi le fecero notare che in una delle foto da lei esibite
per dimostrare la lacerazione dell’imene per via dello stupro di una
delle vittime, l’imene era assolutamente visibile. La Maggioni replicò
che l’imene può riformarsi con l’arrivo del mestruo.
Dopo la
pubblicazione dell’inchiesta sono accadute molte cose. Le famiglie
coinvolte chiedono la riapertura del processo e i giusti risarcimenti.
Tanti genitori si sono ritrovati e abbracciati, un gruppo di
sopravvissuti che è finito in un inferno, l’unico vero in tutta questa
vicenda. C’è anche chi ha rivisto la figlia, dopo uno strappo lungo
vent’anni, ma c’è chi i figli non li rivedrà mai più. Perché quei figli
sono ormai lontani, perché hanno paura, perché vogliono dimenticare.
Perché magari vorrebbero rivedere la mamma, ma la mamma è volata giù dal
quinto piano per non dover sopravvivere all’orrore di una storia che
deve ancora chiudersi.