Il Fatto 19.1.19
Non ne Podemos più
Lite Errejon-Iglesias: c’eravamo tanto amati
Spagna
- Il partito collegiale, speranza della sinistra, si spacca a quattro
mesi dalle Amministrative. A Madrid, il numero due corre con la sindaca,
il leader lo scomunica
Dall’indignazione al Congresso – Podemos è l’erede politico del movimento degli “Indignados” spagnoli
di Alessia Grossi
Come
nel martirio di San Paolo, la testa dell’omonimo spagnolo politico
contemporaneo Pablo Iglesias, ora decapitata da quella bifronte di Inigo
Errejon, co-fondatore con lui del partito Podemos, ha rimbalzato per
tre volte. E da ogni rimbalzo sono nate non tre fontane, ma tre tappe
diverse della storia della formazione politica speranza della sinistra.
L’ultima, però, pare la definitiva. A quattro mesi dalle elezioni
amministrative e dai festeggiamenti per il quinto anniversario dalla
nascita, Íñigo Errejón, il più “politico” della coppia che nel 2014 creò
dal nulla (o quasi) una forza in grado di scalfire il bipolarismo
spagnolo alle Europee prendendo l’8% dei voti, ha deciso di correre per
la Comunità di Madrid insieme all’attuale sindaca Manuela Carmena, con
cui pure Podemos aveva stretto un patto alle scorse votazioni. Peccato
però che lo faccia “a carattere personale” e voltando le spalle al
partito, che con il compagno Iglesias pensa a opporgli un’altra
candidatura.
Finisce così anche la conduzione a due di Podemos,
che altrettante volte aveva vacillato. Ultima: la scissione ricompattata
al congresso di due anni fa, chiamato Vistalegre 2, in nome del primo
Vistalegre, in cui davanti a centinaia di delegati, i due avevano
ritrovato un’intesa emotiva, corredata da tanto di foto di abbraccio; e
numerica, con l’89% dei voti a favore della linea radicale e più di
sinistra di Iglesias. Che però non ha tenuto.
“Oggi tutti sanno
che c’è bisogno di uno stravolgimento”, è tornato infatti a spiegare “el
niño” Errejon nella lettera co-firmata con Carmena, nella quale si
sottolinea che la “maggioranza ha bisogno di un progetto che rinnovi la
speranza e la fiducia nelle cose che si possono fare, anche meglio”.
Dunque, un’amara ammissione: Podemos, che portava in sé la speranza di
trasformare la piazza degli “Indignados” in un progetto politico, così
come si era presentato al Teatro del Barrio, nel quartiere multietnico
di Lavapiès a Madrid nel 2014 ha fallito, perché già ha esaurito proprio
quella speranza. “Un compleanno amaro”, risponde Iglesias con un’altra
lettera in cui si dice “incredulo” non solo per la notizia in sé,
arrivata fulminea dal suo compagno di battaglie, ma per averla letta
solo pochi istanti dopo su tutti i media spagnoli. Una di “quelle
manovre politiche”, vergognose agli occhi del segretario generale che
alle strategie politiche si è sempre detto ostile. “Fossi in lui mi
dimetterei da deputato, ma di qualcosa deve pur vivere”, attacca Errejon
l’altro Pablo, Echenique, organizzatore generale di Podemos che
sarcasticamente sottolinea quanto “anche questa sarà una decisione
personale”.
Personale contro collettivo. Collettività contro
egoismi. Quello di Errejon di protagonismo, secondo molti, è solo
cresciuto nel tempo, ma è sempre stato l’ago di bilancia di Podemos. Fin
da quando – nominato numero due – il niño decise di dare la segreteria
dell’Organizzazione a Sergio Pascual, suo fedelissimo, poi segato da
Iglesias per una sospetta cospirazione contro di lui. E da qui a cascata
l’intera deflagrazione della Direzione del Partito, i cosiddetti
“Cinque di Vistalegre”.
Ad andarsene per prima era stata Carolina
Bescansa, la quale non allineata con il leader all’ultimo congresso,
seppure non sosteneva neanche la mozione Errejon, nell’ottica del “chi
non è con me è contro di me” del segretario, fu bollata come traditrice.
Sospetto poi confermato quando l’anno passato per sbaglio diffuse su
Telegram una bozza di piano per detronizzare Iglesias. L’altro
auto-epurato è stato Luis Alegre, il primo leader di Podemos nella
Capitale spagnola che da “pablista” passò a essere “errejonista”, e in
vista del secondo congresso scrisse una dura lettera contro il
segretario generale accusandolo di portare il partito alla
“distruzione”. L’ultima, ma in realtà prima in ordine di importanza
nonché più “toccante” defezione era stata quella di Juan Carlos
Monedero, primo fedelissimo di Iglesias a dimettersi nel 2015 dopo che
venne fuori che aveva preso 400 mila euro per le consulenze ai governi
di Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua, non dichiarandoli secondo le
regole fiscali spagnole. La versione ufficiale fu che lasciava il
partito per divergenze strategiche. La verità è che dal suo studio
universitario ha sempre continuato ad appoggiare l’amico Pablo contro
quello che a Vistalegre definì “ambizione smisurata” del numero due.
Ed
eccola qui “l’ambizione smisurata” del deputato e co-fondatore di
Podemos nell’ultimo braccio di ferro con il leader. E – dopo aver aperto
la crisi del partito – dichiara di non volerlo abbandonare, restando
anzi, non solo come deputato, ma anche come dirigente. Questa volta però
in gioco non c’è solo l’unione di due ragazzi in grado di tenere testa
ai più tenaci politici spagnoli, ma una formazione politica di governo,
visto il patto su con l’esecutivo di Pedro Sanchez.
Il governo
infatti, alla vigilia del voto per la Manovra economica in Parlamento,
teme che la rottura porti gli oppositori di Iglesias a votare contro
l’accordo con i socialisti. Inoltre la rottura tra i due rischia di
acuire la crisi già serpeggiante nelle formazioni regionali del partito
che nei prossimi mesi dovranno affrontare le elezioni amministrative e
comunali. La prova è il calo alle urne di dicembre in Andalusia, dove
Podemos, alleato della sinistra Unita ha ottenuto 3 scranni in meno
delle precedenti votazioni in cui correva da solo. Sulla sponda opposta,
i sovranisti di Vox festeggiano su Twitter i sondaggi che li darebbero
come seconda forza a Madrid, “con voti rubati a Podemos”.