Il Fatto 14.1.19
L’Italia di Turone: P2, servizi e golpisti
Partì
dalla Pastrengo, nel 1973, “l’ignobile crimine dello stupro
dell’attrice Franca Rame, ideato e commissionato dalla mente perversa
del generale Palumbo”
di Corrado Stajano
Una storia nera.
Una storia purtroppo vera questa di Giuliano Turone, Italia occulta,
dove tutto è minuziosamente documentato da atti di giustizia, sentenze,
ordinanze, confessioni, interrogatori, testimonianze, perizie
balistiche, verbali magari a suo tempo sottovalutati o non compresi, qui
invece analizzati con la furia certosina dello scrittore che spesso,
come magistrato, è stato al centro di quel che racconta.
Non è
un’autobiografia. Se non si conoscono i fatti ci si può render conto
della presenza e della funzione dell’autore solo da una minuscola nota a
piè di pagina, l’opposto dell’esibizione. Protagonista delle vicende
narrate è un paese malato, spesso moribondo, una palude non prosciugata
dove negli anni Settanta-Ottanta del Novecento, dall’indomani di piazza
Fontana all’uccisione di Moro al massacro della stazione di Bologna, è
accaduta l’iradiddio, stragi, assassinii, complotti, tentati colpi di
Stato. (…)
“Quante storie. La P2 non fu nient’altro che un club di
gentiluomini” disse più volte l’ex presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi (tessera 1816 della Loggia). E Gelli, anni dopo, nel 2008, ai
tempi dell’ultimo governo Berlusconi, ricambiò il favore e rivendicò
con orgoglio alla Loggia P2 la paternità del Piano di rinascita
democratica con queste parole: “Peccato non averlo depositato alla Siae
per i diritti, tutti ne hanno preso spunto: l’unico che può portarlo
avanti è l’attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi”.
Gli
allora giudici istruttori Giuliano Turone e Gherardo Colombo,
responsabili dell’inchiesta sulla P2, erano arrivati a Gelli dopo
l’assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Su un’agendina sequestrata
nel 1979 a Sindona, negli Stati Uniti, trasmessa poi in Italia, erano
annotati tutti gli indirizzi di Licio Gelli, uomo d’affari di Arezzo non
ignoto alla polizia. Fra gli altri il recapito sconosciuto di una ditta
di abbigliamento maschile, la Giole, del gruppo Lebole, di Castiglion
Fibocchi, nell’aretino, dove il 17 marzo 1981 avvenne la famosa
perquisizione del Nucleo regionale di polizia tributaria della guardia
di finanza. A insospettire, mesi prima, era stata anche la clamorosa
intervista di Maurizio Costanzo (tessera 1819 della Loggia) pubblicata
dal Corriere della Sera il 5 ottobre 1980. Titolo: Parla, per la prima
volta, il “Signor P2”. Un manifesto pubblicitario. Una presa di possesso
zeppa di messaggi in codice. Un avvertimento minaccioso. Nel suo libro
Turone è attento anche ai particolari più minuti, utili per far capire
il clima del tempo. Come il verbale della perquisizione alla Giole
scritto dal maresciallo Francesco Carluccio: la segretaria di Gelli, la
signora Carla Venturi, che cercò di far sparire la chiave della
cassaforte, lo stupore del sottufficiale quando l’aprì e trovò registri,
documenti, carte e, in una valigia, le cartellette con nomi
inimmaginabili, ministri, generali e ammiragli, capi dei Servizi
segreti, prefetti, parlamentari, editori, direttori di grandi giornali e
di telegiornali affiliati alla Loggia segreta con un giuramento. Che
avevano già fatto, in molti, ma alla Repubblica.
La colonna di
auto che riporta a Milano i materiali sequestrati, con le liste dei 963
nomi di uomini di cui molti ai vertici della Repubblica, sembra
un’azione di guerra. La Fiat Ritmo, con i documenti, marcia in mezzo a
due Alfetta fatte venire dal comando: a bordo di ciascuna, quattro
soldati armati di mitra. Non molti sanno, anche se la notizia comincia a
trapelare. (…)
La P2 è “la metastasi delle istituzioni”, il
cuore, la matrigna maligna, portatrice di quasi tutte le nequizie di
quegli anni. (…) Colpiscono certi fatti che possono sembrare minori.
Gelli che convoca nella sua Villa Wanda un alto magistrato, Carmelo
Spagnuolo, procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, il
generale Giovanbattista Palumbo, comandante della divisione carabinieri
Pastrengo di Milano, il generale Franco Picchiotti, comandante della
divisione carabinieri di Roma, il generale Luigi Bittoni comandante
della brigata carabinieri di Firenze, due colonnelli. Il venerabile ha
fretta e gli uomini della Repubblica accorrono proni ad ascoltare
l’oracolo. Siamo nel 1973 – scrive la Relazione Anselmi – il pericolo è
l’avanzata del Pci dopo le elezioni del 1976, i referendum, il divorzio,
l’aborto. Si ventila allora l’ipotesi di un governo presieduto da
Carmelo Spagnuolo. Gelli sembra un capo di stato maggior generale che dà
gli ordini ai sottoposti pregandoli di trasmetterli a loro volta ai
minori di grado.
I loro nomi sono tutti nelle liste della P2 e
tornano in molte occasioni. Quello del generale Giovanbattista Palumbo
fa usare a Giuliano Turone, sempre misurato, attento ai significati del
linguaggio, gli aggettivi “temibile e francamente malvagio”. (Partì
dalla Pastrengo, nel 1973, “l’ignobile crimine dello stupro dell’attrice
Franca Rame, ideato e commissionato dalla mente perversa del generale
Palumbo”).
La sua biografia è un sordido archetipo italico.
Fascista convinto, ammiratore del nazismo, cavaliere dell’Ordine
dell’Aquila tedesca senza spade, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943
aderisce alla Repubblica di Salò e raccomanda ai suoi uomini di fare
altrettanto. Poi, quando il vento cambia, si costruisce un inesistente
passato partigiano, diventa persino Governatore militare alleato della
provincia di Cremona. Il suo nome, nei quadri di avanzamento, galoppa.
Nel 1964, per non smentire troppo il suo vero passato, è al fianco del
generale De Lorenzo nell’organizzazione del piano Solo.
Il comando
della divisione Pastrengo, in via Marcora, a Milano, nei dintorni di
piazza della Repubblica, è in quegli anni un luogo sinistro. Tutti gli
uomini dello stato maggiore del generale sono iscritti alla P2. Un vero e
proprio gruppo di un potere malsano, riferisce il colonnello Nicolò
Bozzo, una persona retta, fedele alla Repubblica.
Il generale
Palumbo è un appassionato cacciatore di adesioni alla Loggia, gli piace
assistere alle iniziazioni dei nuovi fratelli all’Hotel Excelsior, a
Roma. È in stretto contatto, scrive la Relazione Anselmi, con il
generale Musumeci, segretario generale del Sismi, il servizio segreto
militare. È anche un acerrimo nemico del generale Carlo Alberto dalla
Chiesa. Probabilmente geloso, lo teme e lo danneggia come può.
(…)
Sono gli anni del terrorismo, Dalla Chiesa è designato dal ministro
Taviani a costituire uno speciale reparto di polizia giudiziaria
antiterrorismo. Nel 1974, un gran colpo: arresta Renato Curcio e Alberto
Franceschini, capi storici delle Brigate rosse.
Nonostante i
successi ottenuti, forse per questi, viene messo in disparte. Palumbo è
diventato vicecomandante dell’Arma dei carabinieri e – il legame è
evidente – il reparto antiterrorismo di Dalla Chiesa viene sciolto. I
piduisti della divisione Pastrengo hanno vinto la partita. Povera
Italia.