mercoledì 2 gennaio 2019

Corriere 29.11.18
A Budapest
La statua di Nagy via dalla piazza per far posto ai «veri martiri»
di Maria Serena Natale


Guardava il Parlamento da un piccolo ponte, gli occhiali con la montatura rotonda, il cappello calato sulla fronte, i baffi in ordine e l’aria triste. Da ieri la statua dell’eroe della rivolta ungherese del 1956 Imre Nagy non è più lì, a pochi passi dalla piazza dedicata a un altro rivoluzionario, Lajos Kossuth che nel 1848 proclamò l’indipendenza dall’Impero asburgico.
Sono arrivati prima dell’alba. La rimozione del monumento è cominciata alle 4 ed è durata non più di un’ora. Prima hanno smontato il ponte di bronzo, che si racconta rappresentasse la strada per la libertà percorsa da Imre Nagy solo a metà. Nel ’56 il primo ministro che cercava un nuovo corso all’interno del sistema comunista con aperture ai principi della liberaldemocrazia occidentale fece in tempo a vedere i carri armati sovietici entrare a Budapest il 4 novembre e a rifugiarsi nell’ambasciata jugoslava. Nagy fu condannato a morte, ucciso e sepolto in una tomba senza nome il 16 giugno 1958.
Oltre trent’anni dopo, il 16 giugno 1989, al funerale di Stato che ormai alla vigilia del crollo del comunismo sancì la riabilitazione di Imre Nagy, i 200 mila raccolti sulla Piazza degli Eroi ascoltarono le parole infuocate di un giovane liberale filoeuropeo. Chiedeva libere elezioni e il ritiro delle truppe russe dal territorio ungherese. Era Viktor Orbán.
È stato il governo Orbán, la scorsa estate, ad annunciare il trasferimento della statua, nell’ambito di un più ampio progetto di riqualificazione urbana. Entro il 2020 al posto del ponte di Nagy sorgerà un Memoriale dedicato alle vittime del Terrore rosso del 1919. Efficace sintesi del percorso di Orbán, che guida incontrastato il Paese dal 2010. Negli anni il dissidente diventato premier si è assestato su posizioni sempre più nazionaliste e autoritarie, tanto da teorizzare l’avvento di un nuovo modello di democrazia illiberale e accreditarsi come leader di fatto di quella controrivoluzione populista che ha trovato il primo bastione europeo nel blocco centro-orientale di Visegrád. Traiettoria inconciliabile con una figura come Nagy, definito in ambienti governativi «comunista dei peggiori» e collaborazionista con il Kgb. Guerra ideologica a liberalismo e socialismo, politiche anti-migranti, individuazione di nemici pubblici come Soros, stretta su media e giustizia sono i volti del sistema Orbán, che di recente ha affrontato le prime proteste per l’innalzamento del limite degli straordinari annuali a 400 ore.
L’opposizione denuncia l’ultima operazione di revisionismo storico, insieme al tentativo di riabilitare il regime filonazista di Miklós Horthy. La memoria, nell’Ungheria di Orbán, è un campo di battaglia.