Corriere 29.11.18
A Budapest
La statua di Nagy via dalla piazza per far posto ai «veri martiri»
di Maria Serena Natale
Guardava
il Parlamento da un piccolo ponte, gli occhiali con la montatura
rotonda, il cappello calato sulla fronte, i baffi in ordine e l’aria
triste. Da ieri la statua dell’eroe della rivolta ungherese del 1956
Imre Nagy non è più lì, a pochi passi dalla piazza dedicata a un altro
rivoluzionario, Lajos Kossuth che nel 1848 proclamò l’indipendenza
dall’Impero asburgico.
Sono arrivati prima dell’alba. La rimozione
del monumento è cominciata alle 4 ed è durata non più di un’ora. Prima
hanno smontato il ponte di bronzo, che si racconta rappresentasse la
strada per la libertà percorsa da Imre Nagy solo a metà. Nel ’56 il
primo ministro che cercava un nuovo corso all’interno del sistema
comunista con aperture ai principi della liberaldemocrazia occidentale
fece in tempo a vedere i carri armati sovietici entrare a Budapest il 4
novembre e a rifugiarsi nell’ambasciata jugoslava. Nagy fu condannato a
morte, ucciso e sepolto in una tomba senza nome il 16 giugno 1958.
Oltre
trent’anni dopo, il 16 giugno 1989, al funerale di Stato che ormai alla
vigilia del crollo del comunismo sancì la riabilitazione di Imre Nagy, i
200 mila raccolti sulla Piazza degli Eroi ascoltarono le parole
infuocate di un giovane liberale filoeuropeo. Chiedeva libere elezioni e
il ritiro delle truppe russe dal territorio ungherese. Era Viktor
Orbán.
È stato il governo Orbán, la scorsa estate, ad annunciare
il trasferimento della statua, nell’ambito di un più ampio progetto di
riqualificazione urbana. Entro il 2020 al posto del ponte di Nagy
sorgerà un Memoriale dedicato alle vittime del Terrore rosso del 1919.
Efficace sintesi del percorso di Orbán, che guida incontrastato il Paese
dal 2010. Negli anni il dissidente diventato premier si è assestato su
posizioni sempre più nazionaliste e autoritarie, tanto da teorizzare
l’avvento di un nuovo modello di democrazia illiberale e accreditarsi
come leader di fatto di quella controrivoluzione populista che ha
trovato il primo bastione europeo nel blocco centro-orientale di
Visegrád. Traiettoria inconciliabile con una figura come Nagy, definito
in ambienti governativi «comunista dei peggiori» e collaborazionista con
il Kgb. Guerra ideologica a liberalismo e socialismo, politiche
anti-migranti, individuazione di nemici pubblici come Soros, stretta su
media e giustizia sono i volti del sistema Orbán, che di recente ha
affrontato le prime proteste per l’innalzamento del limite degli
straordinari annuali a 400 ore.
L’opposizione denuncia l’ultima
operazione di revisionismo storico, insieme al tentativo di riabilitare
il regime filonazista di Miklós Horthy. La memoria, nell’Ungheria di
Orbán, è un campo di battaglia.