Corriere 14.1.19
Perché Jan Palach non va dimenticato
di Pierluigi Battista
La
«meglio gioventù»: così ama definirsi la generosa, idealistica
generazione che fece il 68. Ma con Jan Palach, lo studente cecoslovacco
che 50 anni fa, il 19 gennaio del 1969, si diede fuoco nella Piazza San
Venceslao di Praga per protestare contro l’invasione dei carri armati
sovietici, la meglio gioventù diede il peggio di sé, fu cinica,
indifferente, ottusa e, ciò che è più grave, non si è mai davvero
vergognata per non aver saputo onorare il gesto di un coetaneo
schiacciato da un’oppressione enormemente più feroce di quella patita
nel libero Occidente. Non fu versata una lacrima per Jan Palach, se si
eccettua una canzone meravigliosa di Francesco Guccini, come ha
ricordato Federico Argentieri sulla Lettura. Una generazione che si dice
combattesse contro l’autoritarismo non sapeva dire nulla contro un
sistema in cui l’autoritarismo raggiungeva vertici inauditi di
pervasività asfissiante. Gridava contro la guerra in Vietnam ma non fu
minimamente scossa dalla vista dei carri armati del socialismo reale.
Agitare il nome di Jan Palach era da «fascisti», questo ho sentito in
quei giorni nella mia scuola romana, il Mamiani, cuore della
contestazione studentesca. Un ragazzo che si bruciava in piazza non
meritava solidarietà. La meglio gioventù dimostrava sin da allora il suo
volto ideologizzato, mosso da un’indignazione selettiva che chiudeva un
occhio sulla repressione che angariava i Paesi finiti sotto il tallone
sovietico. A sinistra si diceva che l’alternativa al comunismo moscovita
fosse il radicalismo forsennato di Mao, o l’esotismo rivoluzionario di
Fidel Castro, giammai Alexander Dubcek, rappresentante di un
«revisionismo» che si accontentava di ripristinare le condizioni di una
democrazia «borghese», dunque «di destra». Non proprio tutti,
nell’estrema sinistra, furono così cinici. La rivista Il Manifesto, alla
vigilia della radiazione dei suoi esponenti dal Pci, uscì con questo
titolo: «Praga è sola». Il Manifesto fu solo, Praga restò sola, il
ricordo di Jan Palach si spense, nessun poster, nessuno striscione,
nessun cartello ne fece un’icona di libertà, di coraggio, di protesta.
Chissà se, a 50 anni di distanza, qualche resipiscenza si farà sentire.
Ma forse no, la meglio gioventù non può permettersi di intaccare il
monumento che ha voluto fare di sé stessa, lasciando sola la tomba di
Jan Palach.