sabato 19 gennaio 2019

Correre 19.1.19
il Caporalato, i migranti
I silenzi di troppo sul nuovo schiavismo: qui in Italia
di Pierluigi Battista


Ogni tanto ce ne accorgiamo tutti, e facciamo fatica a voltare la testa dall’altra parte, come impone la routine dell’indignazione selettiva. Grazie a una brillante operazione di polizia, si apprende che una cupola di sfruttatori del lavoro altrui (compresi un sindacalista e un ispettore del lavoro!) reclutava circa quattrocento migranti stipati in miserabili centri di accoglienza.
Con paghe infami, in condizioni di lavoro altrettanto infami, senza tutele, senza dignità, trasportati da camioncini in cui erano schiacciati e umiliati. Ogni tanto ci accorgiamo che in Italia centinaia, migliaia di disperati vengono pagati quattro euro l’ora per dodici ore giornaliere. E ci accapigliamo con ardore sull’arresto di un terrorista latitante da decenni, ma non c’è un sindacato, un’associazione, un partito di destra o di sinistra, giallo, verde, rosso o nero, di governo o di opposizione che stia a fianco dei nuovi schiavi, che sappia protestare, mobilitarsi, mettersi alla testa di un’azione civile per dire che il nuovo schiavismo è la vergogna dell’Italia. E che nessuno vuole accorgersi che i migranti, nel bersaglio dell’attenzione pubblica quando sono in mare alla ricerca di un porto negato, vivono una volta sbarcati in condizioni disumane, con ritmi di lavoro (nero) disumano, in catapecchie disumane. Nessuno si occupa più di loro. Solo le figure bieche dei caporali lo fanno, ma soltanto perché gli conviene.
Ogni tanto si scopre che i campi della Calabria assomigliano a quelli dell’Alabama prima della conquista dei diritti civili da parte dei neri. Muore un migrante preso a fucilate e allora i media scoprono che quei nuovi dannati della terra vivono in luridi tuguri e che vengono pagati per raccogliere i pomodori a cifre che «prima gli italiani» non accetterebbero mai. Si scopre che c’è una legge contro il caporalato, che prende il nome dell’ex ministro Martina oggi molto taciturno per l’evidente inefficacia di quelle sue norme (ma almeno ci ha provato), però i nuovi schiavi vengono reclutati così: all’alba, a chiamata, tu sì, tu no e se non accetti c’è un altro disperato che accetta al posto tuo e tu muori di fame. È un quadro esagerato o è la quotidianità di Alabama, Italia?
Anche nel Foggiano, abbiamo scoperto nostro malgrado, i migranti sfruttati muoiono, i corpi ribaltati e soffocati dentro catorci che trasportano la merce umana violando sistematicamente, nel territorio italiano, le più elementari regole del rispetto dei diritti umani. Ora Latina, e chissà in quanti altri posti, e con quanta stanchezza per un’opinione pubblica che, variamente collocata nello spettro politico, resta prigioniera di una paralizzante ipocrisia.
Tutti abbiamo perso un pezzo del nostro passato migliore. La sinistra socialista, comunista, «laburista» andava fiera per il suo impegno nelle lotte bracciantili, per aver aiutato i lavoratori dei campi, i contadini vessati nella rassegnazione atavica, a non piegare più la testa davanti ai caporali di allora. Anche la destra «sociale» (persino di derivazione corporativo-fascista) ha avuto una sua tradizione di attenzione al lavoro, i suoi sindacati, le sue associazioni di tutela dei più svantaggiati. E non parliamo del grande fiume del solidarismo cattolico, oggi appannaggio di virtuose minoranze, e non solo nella sua variante caritatevole che è una delle poche reti di protezione e di aiuto per i più deboli messi ai margini della società, ma in quella dell’organizzazione dei lavoratori, dei coltivatori, dei piccoli artigiani, delle casse rurali e così via. Di fronte all’apparire sconvolgente del nuovo schiavismo tutti questi mondi, indeboliti, sfibrati, invecchiati, tacciono. Da una parte, i chiassosi paladini dell’anti-immigrazione sono imbarazzati perché imprenditori italianissimi sfruttano una manodopera straniera senza diritti, penalizzando proprio le fasce più deboli della popolazione italiana, i penultimi che infatti sono infuriati con gli ultimi che levano il lavoro. E sono imbarazzati e muti anche i paladini dell’accoglienza, che non dicono quanto poco accogliente sia l’Italia che tiene i migranti in condizioni pietose, accatastati in bidonville e tuguri, sfruttati da un padronato cinico con la complicità delle organizzazioni che lucrano sulla disperazione degli sbandati e degli affamati.
Da qui il silenzio, l’indifferenza, l’imbarazzo. Lo squilibrio tra l’attenzione alle grandi operazioni mediatiche nelle operazioni di polizia, e la minimizzazione quando quelle sacrosante operazioni di polizia smascherano il lavoro illegale, la piaga del caporalato, le tracce di un nuovo schiavismo che non dovremmo tollerare se avessimo la coscienza a posto. A Latina lo Stato si è fatto sentire, sono forze politiche, sindacali, associative che invece non si sono fatte sentire. La parte oscura dell’immigrazione non vogliamo vederla, da questa e dall’altra parte della barricata. Buoni, e cattivi.