Repubblica 5.12.18
"Il Getty deve restituire l’atleta di Lisippo all’Italia"
di Francesco Erbani
La Cassazione boccia il ricorso del museo californiano. Il pm: "Ora la rogatoria internazionale"
La
Cassazione potrebbe aver scritto la parola "fine" alla travagliata
contesa sull’Atleta vittorioso, opera in bronzo del IV secolo a.C.,
attribuita a Lisippo. La statua, ora al Getty di Malibu in California,
deve tornare in Italia, dicono i giudici della Suprema Corte. Ma non è
detto che la vicenda si concluda così, con una vittoria delle autorità
italiane sul museo americano, che quella statua possiede dal 1977 e che
potrebbe fare ulteriori ricorsi.
Oppure puntare i piedi e basta,
alimentando uno scontro che pareva sopito su pezzi pregiati del
patrimonio archeologico trafugati in Italia, venduti e acquistati,
talvolta incautamente, talvolta no.
«Continueremo a difendere il
nostro diritto al Lisippo», dice da Los Angeles una portavoce del Getty.
«La legge e i fatti non giustificano la restituzione al governo
italiano di una scultura che è stata esposta al pubblico a Los Angeles
per quasi mezzo secolo (in realtà, quarant’anni, ndr) ».
La
sentenza della Cassazione, che ha respinto l’istanza presentata dai
legali del Getty Museum contro la confisca della statua decisa dal Gip
di Pesaro nel giugno scorso, è stata salutata con soddisfazione dal
ministro per i Beni culturali Alberto Bonisoli e da uno dei suoi
predecessori, Francesco Rutelli.
Rutelli e l’allora presidente del
Consiglio superiore dei beni culturali, Salvatore Settis, furono
artefici nel 2006 di una complessa trattativa per la restituzione di 52
opere in vario modo trafugate e in vario modo riemerse negli Stati
Uniti. Con loro si adoperarono Giovanni Nistri, allora alla guida del
Nucleo dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (ora
Comandante generale dell’Arma), gli archeologi Daniela Rizzo e Maurizio
Pellegrini, l’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli, il pubblico
ministero Paolo Ferri. Fra le opere che dovevano rientrare c’era anche
l’Atleta di Lisippo, che però non venne riportato in Italia, in attesa,
si disse, che venisse risolta la vertenza giudiziaria. Alla fine furono
40 i pezzi restituiti.
La storia dell’Atleta è fra le più
tormentate nel capitolo delle razzie condotte ai danni dell’archeologia
italiana, una pratica criminale che vedeva in azione una catena di
tombaroli, di scavatori clandestini, poi di mediatori e di trafficanti e
infine di acquirenti che poche domande si ponevano sulla provenienza di
quei beni. L’Atleta è parte di quel bottino, ma ha una storia a sé. La
statua rimase impigliata nelle reti di un peschereccio al largo di Fano,
nelle Marche. Era l’estate del 1964.
Invece di denunciarne la
scoperta alla Soprintendenza, i pescatori la sotterrarono in un campo di
cavoli. Successivamente l’Atleta fu venduto a un industriale di Gubbio,
che lo pagò 3 milioni e mezzo di lire. Poi la statua finì a un
antiquario milanese. Nel 1971 transitò nelle mani di un commerciante
bavarese che la fece stimare: l’Atleta fu datato al IV secolo a.C. e si
ipotizzò fosse opera di Lisippo. A quel punto si scatenò la gara per
appropriarsene e a prevalere fu il Getty, che entrò in possesso della
statua nel 1977 pagando quasi 4 milioni di dollari.
E approfittando che in Italia poche fossero le resistenze.
La
statua è alta un metro e mezzo e raffigura un atleta che con il braccio
destro sta poggiando sulla testa la corona che spetta ai vincitori di
una gara di atletica.
Non tutti gli studiosi sono concordi
nell’attribuzione a Lisippo. Alcuni propongono che sia di mano di un
allievo del grande scultore. La statua potrebbe essere caduta in mare
durante il naufragio di una nave che dalla Grecia era diretta sulle
coste adriatiche della penisola. Ma il punto dell’affondamento e dunque
del ritrovamento nel 1964 non è stato accertato. Ed è questo il punto
sul quale fanno leva al Getty: «La statua non è e non è mai stata parte
della eredità culturale italiana. La scoperta accidentale da parte di
cittadini italiani non la rende un oggetto italiano».
La partita
non è chiusa. Sebbene Silvia Cecchi, il pm pesarese che da 11 anni
conduce l’inchiesta, mostri sicurezza: «Aspettiamo le motivazioni della
sentenza e, subito dopo, preparerò una rogatoria internazionale per
riavere il Lisippo».