Il Sole Domenica 23.12.18
Catullo. Un poeta geniale, snob,
tenero, fragile e sboccato, allo stesso tempo erudito e istintivo. Nei
suoi carmi,tra sesso, potere e vita quotidiana, si ritrovano prospettive
modernissime, centrali per l’esperienza di ognuno
Insondabile alchimia dell’amore
di Carlo Carena
La
Nuova Universale Einaudi pubblica un’edizione eccezionale di un
classico latino: il Libretto dei versi di Catullo, curato da Alessandro
Fo. I cento carmi del «ragazzaccio veronese, geniale, snob, tenerissimo,
fragile e sboccato, istintivo e insieme erudito e sorvegliatissimo
nello stile, irritabile, pettegolo…» secondo le classificazioni in cui
lo inquadra Luca Canali nella sua edizione (1997), trova qui un assetto
degno di quello che ancora Canali additava come «l’insostituibile
crocevia» della poesia lirica latina di tutto il secolo seguente, il
secolo d’oro.
Nell’Introduzione, di 163 pagine, Fo affronta e
imposta con polso fermo e individualità di vedute, nel quadro di una
tradizione esegetica molto ricca e autorevole, ogni problema che l’opera
catulliana pone agli studiosi e ai lettori. Professore di Letteratura
latina all’Università di Siena, egli ha dalla sua, come Canali, anche il
retroterra di una personalità di traduttore e di poeta in proprio.
Nella stessa Universale uscì infatti nel 2012 una sua versione
dell’Eneide, che già affrontava e risolveva in modo originale problemi
di metrica; e nella Collana di Poesia un paio di libri, Corpuscolo, del
2004 e Mancanze, del 2016.
E qui l’Introduzione si apre
prospettando e dividendo metricamente e concettualmente i carmi
catulliani, un primo gruppo in metri vari, e poi in distici elegiaci;
dapprima composizioni brevi e leggere, le nugae, scherzi, poi di maggior
estensione e impegno e su temi ispirati alla vita quotidiana,
soprattutto le amicizie e le inimicizie e il sommo e struggente,
fortissimo e delicato, perenne: l’amore. Anche il basso si affianca alla
sublimità di questi temi sconvolgenti, ma la sostanza di ogni
componimento della musa catulliana «è centrale per l’esperienza della
vita di ognuno». Sempre molto letto e persino popolare, oggi si ritrova
in lui ciò per cui Fo usa persino una terminologia modernissima, tanto
questo Libellus è innovativo: e cioè sesso, potere, dinamiche sociali;
leggibile persino in chiave psicanalitica e pornografica, maschilista o
femminista.
Certo si potrebbe anche obiettare che mancano nel
panorama catulliano talune prospettive che rendono un poeta davvero
universale e indispensabile. Ma è anche vero che ciò che gli ispira la
tragedia dell’abbandono e del tradimento di una donna, della perdita di
quell’ideale e dell’irrompere su di esso della realtà del mondo, gli
ispira accenti imperituri nel cuore e nella mente di qualsiasi lettore.
Per lei, Lesbia, egli si era inebriato perdutamente (carme 5, trad. Fo):
«Su viviamo, noi due, mia Lesbia, e amiamo… | Mille baci tu dammi, e
quindi cento, | poi altri mille, e poi un’altra volta cento, | quindi
fino a altri mille, quindi cento. | E poi, molte migliaia…»; ora la vede
e la rappresenta disperatamente ad un amico: «Celio, la nostra Lesbia,
Lesbia, quella, | quella Lesbia, lei che Catullo sola | più di sé ha
amato, … | ora in vicoli e nei crocicchi» rende i servizi più immondi ai
Romani (carme 58).
Osserva Fo che il modo come il poeta ha
vissuto questo dramma è del tutto straordinario ed eccezionale, per
l’importanza che vi assume l’aspetto “non fisico” dell’esperienza
amorosa e l’originalità dei sentimenti delicatissimi che egli vi
introduce: «Ti ho avuto a cuore, a quel tempo, non come il volgo
un’amica | ma come ha a cuore i suoi figli, ed anche i generi, un padre»
(carme 72).
L’originalità e la pregnanza del sentimento amoroso
nel nostro poeta ne fa il fondatore anche del linguaggio della poesia e
del linguaggio amoroso occidentale. I diminutivi, che ci fanno sorridere
in lui e in noi, ne sono una nota caratteristica: così puellula,
brachiolum, ore floridulo, ocelli, pallidulus, languidulus somnus… E
ancora, i suoni e le onomatopee e gli «intrecci acustici di parole» e le
sinfonie verbali. Così, nell’epicedio per la morte del passero della
sua fanciulla (carme 3) troviamo: Passer mortuus est meae puellae, |
passer deliciae meae puellae| quem plus illa oculis suis amabat. | Nam
mellitus erat suamque norat | ipsam tam bene quam puella matrem | … O
miselle passer! | Tua nunc opera meae puellae | flendo turgiduli rubent
ocelli («Morto è il passero della mia ragazza, | gioia, il passero,
della mia ragazza, | che lei più dei suoi occhi stessi amava. | Tutto
miele era infatti, e distingueva | la sua lei come bimba con la mamma,|
né dal grembo di lei mai si muoveva. | … O tu, poverello passero! | Per
quest’opera tua la mia ragazza | piange e rossi ha gli occhietti, e
gonfi gonfi».
Il latino catulliano e l’italiano del traduttore
trovano nelle monumentali note successive (pagine 392-1221) descrizioni e
risposte ad ogni quesito. E si ha l’impressione che, oltre alla fatica
immane, Fo a volte vi si sia divertito all’arguzia, e certo diverte i
suoi lettori.
Carme 27: «Tu al vecchiotto Falerno addetto giovane,
| versa a me coppe belle amare, legge | di Postumia – regina del
convito –,| più di un acino tutto ebbro ebbra. | Ma voi dove vi va
sparite, o linfe, | via, rovina del vino, voi, e migrate | dagli
austeri: qui è re il Tioniano puro». Nelle sei pagine di note
l’annotatore ci informa anzitutto che il carme è stato sottoposto da
parte dei commentatori a molte elucubrazioni e sottigliezze, mentre la
sua impressione è che siamo di fronte a una semplice, spontanea
accensione occasionale, mirabile nella sua autenticità; con ogni
probabilità, un’improvvisazione a simposio. Si è stabilito che si beva
vino puro: e ben venga. [...] «Da trentatré parole in versi su una
serata a bere fra amici, cosa pretendere di più?».
Viceversa al
disperato carme 75 leggiamo: «Mi è giunta a tanto – per tua, mia Lesbia,
colpa – la mente, | e a tale punto s’è persa per questa sua dedizione, |
che ormai non può, pur se ti fai perfetta, volerti più bene, | né fare a
meno di amarti». Fo lo inquadra e lo eleva così: «In questo epigramma
l’accento finisce per cadere ai margini della follia in cui sbocca un
simile smarrimento. Trattandosi di un’esperienza comune, non stupisce
riscontrare un motivo analogo anche nella precedente tradizione [della
poesia] erotica. […] Difficilmente, tuttavia, le variazioni di Catullo
dipendono qui dai libri, e sembra impossibile negare che scaturiscano
dal vivo di una sofferenza profondamente sperimentata».
Davanti a
questi casi, così presentati, anche l’obiezione accennata più sopra
delle deficienze e le scorie che restringono o impoveriscono la poesia
catulliana, cade, e si riflette o si geme e inveisce con lui come sui
grandi.
Gaio Valerio Catullo
A cura di Alessandro Fo. Testo latino a fronte, Nuova Universale Einaudi,