il manifesto 1.12.18
Italia
Il destino degli ex manicomi tra beni comuni e speculazione
Legge 180. Convegno a Trieste fa il punto su spazi urbani e non, spesso vuoti e senza destinazione
Marino Calcinari
TRIESTE
Nel 1978 a Trieste la lotta per la chiusura dell’ospedale psichiatrico
provinciale di san Giovanni (Opp) si saldò con quella del comitato di
quartiere di san Sabba, che protestava contro la nocività delle polveri e
fumi dell’inceneritore e delle industrie inquinanti, c’era esigenza di
rinnovamento, di partecipazione per una migliore qualità della vita e
per costruire più ampli spazi di democrazia, contro il privilegio e
l’esclusione; in quel contesto sorse la cooperativa agricola di Monte
san Pantaleone che ieri ha chiamato a Trieste – in un convegno per fare
il punto e trarre un bilancio di quell’esperienza di liberazione – i
tanti, diversi soggetti a vario titolo impegnati sia a mantenere vivo un
percorso di de-istituzionalizzazione di quell’esperienza sia a
progettare con un incessante lavoro di recupero, riuso e valorizzazione
di quegli spazi materiali, politiche sociali di inclusione, apertura al
territorio, accoglienza e riparo per le nuove povertà ed emarginazioni
che la crisi produce.
OGGI LE STRUTTURE dell’ex frenocomio
comunale austriaco costruito nel 1908 (34 edifici su una superficie di
oltre 160mila metri quadri) sono diventate laboratori di imprenditoria
sociale, sede di cooperative, del distretto sanitario locale e
dell’azienda ospedaliera, ma ci sono anche due facoltà universitarie, la
scuola «Ziga Zois» con lingua d’insegnamento slovena, l’alloggio per
anziani, spazi per la cultura e gli eventi, un bar e il Teatro
rinnovato, che fino al 1992 era stato deposito di detersivi per l’
ospedale.
Ma non dovunque è stato così, non sempre «è stato
possibile costruire benessere nei luoghi della follia» – ha detto nel
suo intervento lo psichiatra Roberto Mezzina, direttore del dipartimento
salute mentale dell’ azienda sanitaria triestina – «ma l’ apertura alla
comunità con i laboratori, il riuso sanitario non psichiatrico,
l’insediamento delle cooperative, gli eventi culturali ormai consolidati
negli spazi del parco, hanno consentito la rigenerazione di tutto l’ex
Opp». «Per questi motivi – ha sostenuto Nico Luciani, architetto a
Venezia – l’ex Opp di Trieste si merita il premio Nobel, proposta
avanzata da Giovanni Fraziano dell’Università di Trieste, che ha
sottolineato l’esemplarità della’iter triestino «che ha consentito a una
enclave utopica di diventare, da luogo di segregazione e dolore, un
nuovo campus di esperienza e rigenerazione».
LA DISCUSSIONE si è
quindi sviluppata sulle forme e modalità di intervento delle rimanenti
realtà che a tutt’oggi racchiudono la memoria di un vasto patrimonio
umano e culturale, ma che in molti casi hanno subìto la logica delle
cartolarizzazioni e quindi la svendita e l’abbandono. Così è toccato in
gran parte agli edifici e al parco di san Osvaldo a Udine, il cui
manicomio ospitava sino al 1978 4.500 persone. E al manicomio dell’isola
di San Clemente a Venezia, del 1873, trasformato in un resort di lusso –
51mila metri quadri di verde – dopo al svendita del 1992. È convinzione
condivisa dai più, nei molti interventi che si sono susseguiti, che gli
enti locali si siano dimostrati irresponsabili verso i beni comuni,
mentre oggi sarebbe doveroso riconoscerne il valore e regolarne gli usi,
per difendere e valorizzare quanto resta di questo inestimabile
patrimonio architettonico, storico e ambientale.
C’È UN PORTALE –
«Gli spazi della follia» – che illustra la mappatura dei siti
interessati, sinora 43 su oltre 70 dismessi, e di quelli riportati a
nuova vita: ne parla l’ architetto e ricercatore Gerardo Doti. A Pesaro
l’ospedale di San Benedetto ha modificato lo stesso spazio urbano con un
progetto di riconversione, pur permanendo alcune zone di criticità,
mentre «l’ospedale Bianchi di Napoli, oggi completamente chiuso, versa
in abbandono», ci informa Angelo de Agostino, docente all’università
Federico II di Napoli. A Gorizia il progetto di rigenerazione di quel
che resta del Parco, stenta a decollare, mentre il «padiglione delle
agitate (edificio del 1911) cade a pezzi», ha ricordato Giuseppina
Scavuzzo dell’università di Trieste.
C’È CHI, COME NUNZIA, ha
realizzato nell’ex Opp della Maddalena, ad Aversa, percorsi di
inserimento lavorativo per migranti, precari, disoccupati ed ex
carcerati. O come Rosario Cutuli che all’ex Opp Paolo Pini ha
trasformato, con la coop sociale «La fabbrica di Olinda», la (ex) camera
mortuaria in bar e ristorante, che oggi danno lavoro a una cinquantina
di persone. All’ex Opp di Firenze il collettivo «Percorso Psiche» – ne
ha parlato Margherita Festini – è tornato ad abitare, con mille
iniziative e con percorsi auto-formativi, gli spazi vuoti di quel vasto
comprensorio «perché dove oggi ci sono solitudini vanno costruiti luoghi
antropologici e soprattutto antropoietici» .
Con le note di je so
pazzo – e con l’auspicio di Giancarlo Carena, presidente della Cna di
Trieste, che l’ex Opp sia «la casa del popolo del terzo millennio» – il
convegno è terminato. Ma si aggiornerà a breve, perché i tempi lo
richiedono e qui tutti ne sono consapevoli.