il manifesto 19.12.18
In questo mutamento perpetuo, non possiamo non dirci marxisti
Sinistra.
A proposito di «Per un Marx al presente» di Rossanda, l’analisi di
un’idea di classe «composta da individui necessariamente diversi uno
dall’altro»
di Paolo Favilli
L’articolo di Rossana Rossanda
Per un Marx al presente (il manifesto, 12 dicembre) ragiona sulle
caratteristiche assunte dal lavoro nel nostro presente a partire da
alcuni aspetti dell’analisi marxiana tanto sul lavoro che sulla
forza-lavoro.
Si sofferma sull’ «errore» dei marxismi-leninismi
che hanno legato il processo di emancipazione operaia all’ «obiettivo
principale unico la distribuzione di beni soprattutto materiali ai
lavoratori», senza tener conto dei «bisogni operai in crescita
intellettuale e morale». Non è questo però il punto centrale
dell’intervento. La questione, d’altra parte, non credo possa essere
affrontata contrapponendo la sfera dei bisogni materiali a quella della
tensione etica e della crescita culturale.
E la stessa Rossanda,
infatti, ritiene come «filone di ricerca (…) urgente» quello della
soggettività operaia; quindi l’indagine attenta all’interno della
categoria marxiana «forza lavoro». E, giustamente sottolinea il fatto
che l’analisi marxiana «riconduce esplicitamente ad un’idea della
“classe” come composta essenzialmente da individui necessariamente
diversi l’uno dall’altro».
Questo «filone di ricerca», coniugato
ad un’analisi dei modi in cui si è manifestata storicamente la
«soggettività» dei subalterni, è di particolare importanza oggi, quando
le «individualità» sono il dato di fatto più evidente da cui partire per
ragionare seriamente per qualsiasi ricomposizione dell’aspetto sociale
dell’antitesi. Oggi quando tale soggettività appare in forme che
sembrano non avere alcun rapporto con la collocazione economico-sociale
dei soggetti. Di qui la tentazione di negare che le ragioni
dell’opposizione tra capitale e forza lavoro abbiano le loro radici
all’interno del rapporto di produzione. Di qui la proposizione della
sfera politica come unico luogo deputato a dare forma e sostanza al
«soggetto» della resistenza alle logiche del capitale.
Trovo più
solidamente fondate, filologicamente fondate nei testi marxiani, le
ricerche che hanno confermato come la contraddizione sia «al cuore del
rapporto di capitale anche se la forza-lavoro si mostra, almeno per una
fase, socialmente e politicamente inerte». (G. Cesarale, relazione
convegno «Marx e la critica del presente», Roma, 27-29 novembre 2018. Il
corsivo è mio)
Mi sembra che la questione abbia importanza per le
scelte politiche relative alla ricostruzione di un «soggetto»
antitetico. D’altra parte le ricerche a proposito non stanno certo
iniziando oggi, ma hanno alle spalle una non brevissima storia. Il
problema riguarda piuttosto il rapporto, o meglio il non rapporto, tra
l’ampio campo di ricerche in corso nella cultura marxista e la proposta
politica.
Ho dedicato molti anni di studio e scritto centinaia di
pagine nel tentativo di definire storicamente (e teoricamente) la
semantica di un termine così polivalente come«marxismo», per cui credo
di essere totalmente immune rispetto a qualsiasi forma di pernicioso
dottrinarismo. Ma chi sta indagando sul presente usando categorie
analitiche ispirate alla teoria critica del capitalismo più ampia ed
articolata prodotta dalla nostra modernità, non può che essere un
marxista. Agli studiosi di storia del marxismo ed ai marxologi, poi, il
compito di definire meglio di quale tipo di marxismo si tratti.
Che
le categorie marxiane abbiano una loro specifica storicità è
assolutamente evidente. Ma è anche evidente che un’analisi non
appiattita sul presentismo deve muoversi tra la dimensione invariante
(strutturale) del processo di valorizzazione del capitale, e quella che
muta nelle fasi diverse dell’accumulazione (congiunturale).
Il
tutto nella consapevolezza che non esiste un sistema di Marx bensì una
complessa rete di relazioni in continua trasformazione, estranea a una
logica sistematica. Il fatto che la sua opera principale, Il capitale,
quella cui attese per quasi tutta la vita, si presenti come un «non
finito» è la dimostrazione di uno sforzo prometeico per abbracciare un
complesso di relazioni tendenzialmente «totale» e insieme la necessità
di ritorni, ripartenze, modifica degli strumenti analitici per la
comprensione della realtà del capitale in perpetuo mutamento. Un «non
finito» strutturalmente necessario.
Abbiamo dunque bisogno di un
«marxismo politico» davvero corrispondente alla metafora dei nani che
vedono «oltre» solo sedendo sulle spalle dei giganti. Una metafora non
utilizzata solo dalla modernità umanistico-rinascimentale, ma
profondamente comprenetrata in percorsi di lunghissimo periodo dello
svolgimento del pensiero occidentale.
Una consolidata tradizione
culturale cui la «sinistra» politica (e non soltanto politica) ha
rinunciato. I propri «giganti», infatti, o li ha uccisi o li ha
cancellati. Rimangono solo i «nani», ed è, dunque, impossibile che il
loro sguardo possa andare «oltre» l’orizzonte del «particulare» e del
«contingente».