domenica 16 dicembre 2018

il manifesto 16.12.18
Ungheria, «la legge schiavitù ci riporta agli anni ’60»
Intervista. Károly György, responsabile delle politiche europee della Maszsz, la Confederazione dei Sindacati Ungheresi, mette in guardia: «I lavoratori dipendenti saranno messi in uno stato di subordinazione definitiva al datore di lavoro»
di Massimo Congiu


BUDAPEST Sono giorni che sindacati e lavoratori ungheresi manifestano contro la legge sugli straordinari che innalza il tetto a 400 ore annue. Una misura che comporterebbe una settimana lavorativa di sei giorni o oltre dieci ore giornaliere per cinque giorni. Gli straordinari sarebbero facoltativi ma è difficile che i lavoratori si oppongano a richieste di lavoro extra, per paura di essere licenziati. Le recenti dimostrazioni di piazza, cui hanno partecipato anche gli studenti universitari, sono state caratterizzate da frequenti momenti di tensione e colluttazioni che hanno provocato il ferimento di numerose persone. Per mettere a fuoco la situazione abbiamo incontrato Károly György, responsabile delle politiche europee della Maszsz, Confederazione dei Sindacati Ungheresi.
 È stata definita “schiavista” o “legge schiavitù” dai sindacati e dai lavoratori che prevedono un peggioramento della già difficile situazione, ma quali sono gli aspetti più deteriori di questa legge?
L’aspetto peggiore di questa legge è che crea un ulteriore squilibrio nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente, a favore del primo. È inoltre altrettanto evidente che questa legge finisce con l’asservire i lavoratori dipendenti rendendoli schiavi del lavoro, mettendoli in uno stato di subordinazione definitiva al datore di lavoro. Quando il dipendente riceve la richiesta di fare del lavoro extra è difficile che si opponga, perché ha paura di perdere il lavoro e perché sente di essere in una situazione ricattatoria. Questa legge ci riporta indietro agli anni Sessanta, quando si lavorava anche il sabato. Ricordo che, da bambino, l’unico giorno in cui la famiglia si riuniva veramente era la domenica.
Quale è la situazione del mondo del lavoro in Ungheria?
Da una parte c’è un relativo basso livello di disoccupazione, che attualmente risulta essere di circa 3,7%, ma in questo computo il governo tiene conto anche dei lavoratori precari e degli ungheresi che lavorano all’estero. Dall’altra c’è scarsità di manodopera: 500mila-600mila lavoratori ungheresi sono andati all’estero. Nelle regioni orientali del paese non ci sono posti di lavoro, nel settore industriale e in quello commerciale non c’è abbastanza forza lavoro. Per rendere più completa la descrizione del mercato del lavoro ungherese si deve anche parlare di mancanza di manodopera qualificata e soprattutto di salari non adeguati al costo della vita. Il salario medio netto, secondo le statistiche più recenti è di 240mila fiorini ossia 750-760 euro, il salario minimo netto è di 285 euro. Il livello minimo di sussistenza è di 283-284 euro.
Questo governo non si distingue quindi per sensibilità nei confronti dei lavoratori…
Il governo dice di voler creare una società basata sul lavoro, questo è quanto il primo ministro sostiene. Si tratta di una cosa nota agli italiani e alla loro storia, mi riferisco all’Italia dei primi anni Trenta, quella governata da Benito Mussolini. Nello stesso tempo le disposizioni vigenti in Ungheria nel mondo del lavoro, quelle contenute nel Codice del Lavoro entrato in vigore nel 2012, non sono certo favorevoli ai lavoratori dipendenti e quello che succede oggi non fa che confermare questa tendenza.
Come ha reagito, finora, il sindacato a tutto questo e cosa intende fare per opporsi alla politica adottata dal governo Orbán nel mondo del lavoro?
Manifestiamo giorno dopo giorno, lo scorso 8 dicembre c’è stata una prima manifestazione di protesta organizzata dal mondo sindacale. Domani (oggi, ndr) ci sarà una nuova dimostrazione. Inoltre nei giorni scorsi ci sono state iniziative in tutto il paese per bloccare il traffico e rendere ancora più visibile la nostra protesta. Tutte queste iniziative vanno avanti sostenute anche dagli studenti che sono i lavoratori di domani. Ieri (15/12) László Kordás si è recato alla residenza del capo dello Stato per consegnargli una lettera contenente la richiesta di rinviare al Parlamento la legge, ma non è stato ricevuto. Intendiamo poi rivolgerci alla Commissione europea per denunciare il carattere di questa legge che lede le direttive sull’orario di lavoro. Tra le diverse organizzazioni sindacali si è istituito un coordinamento che valuterà le iniziative da realizzare nel mese di gennaio, in quanto la legge dovrà entrare in vigore il primo del mese prossimo. Ma se il capo dello Stato dovesse rinviare la legge al Parlamento la sua entrata in vigore slitterebbe.
Qual è stata finora la reazione dei lavoratori e dell’opinione pubblica, in generale, a questa legge?
Dall’indagine che abbiamo realizzato risulta che l’86% dei lavoratori è contro questa disposizione. Secondo un altro sondaggio effettuato questa settimana emerge che l’81% della popolazione è dello stesso parere. Del resto questa legge è stata approvata senza una vera consultazione preliminare con le parti interessate. Questo emendamento, presentato come mozione individuale, ha dato luogo a un uso distorto delle procedure parlamentari in quanto, come ho già precisato, non ha presupposto una consultazione vera e propria. Si tratta di una prassi che Orbán ha seguito ampiamente in questi ultimi anni.