il manifesto 15.12.18
Voto storico: il Senato Usa ripudia la guerra in Yemen
Stati
uniti. Sanders batte Trump e l'Arabia saudita: applicato per la prima
volta il War Power Act del 1973 che attribuisce al Congresso il potere
di autorizzare interventi militari. Ora la palla passa alla Camera
di Chiara Cruciati
Uno
a zero per il popolo yemenita. Giovedì, con un atto senza precedenti,
il Senato Usa si è ripreso il potere che gli riconosce la legge e ha
sfidato apertamente la politica muscolare e bellicosa
dell’amministrazione Trump in Medio Oriente: con 56 voti favorevoli e 41
contrari, i senatori hanno approvato la risoluzione bipartisan
presentata dal democratico Bernie Sanders e dal repubblicano Mike Lee
che chiede al governo l’interruzione del sostegno americano alla
campagna militare saudita in Yemen.
Una sconfitta, per Trump, di
cui si aveva già il sentore: due settimane fa il Senato, con larga
maggioranza, aveva deciso di votare la risoluzione e pochi giorni dopo
un falco Gop come Lindsey Graham (solitamente allineato alle politiche
trumpiane) si era detto certo che Mohammed bin Salman fosse il mandante
dell’omicidio del giornalista Khashoggi. «Sega fumante», aveva detto in
riferimento allo strumento usato per fare a pezzi il corpo nel consolato
saudita di Istanbul.
Quell’omicidio ha cambiato gli equilibri:
molti paesi occidentali hanno «scoperto» che l’Arabia saudita non è un
paese normale come fingono di credere da decenni. Indirettamente sono
gli yemeniti a ottenere «risultati»: prima lo stop alla vendita di armi
da parte di Germania, Danimarca, Olanda e Finlandia; poi le due
inchieste aperte in Tunisia e Argentina contro Mbs per i crimini
commessi in Yemen; e ora il Senato Usa che mette in discussione un
pilastro della politica mediorientale di Trump, centrata sull’asse
anti-Iran formato da Israele e Arabia saudita.
Non solo di Trump: a
monte del voto sta l’amministrazione precedente, quella Obama, che nel
2015 garantì sostegno militare a Riyadh nel piccolo paese confinante
(tecnologia, rifornimento dei caccia in volo, intelligence) senza
passare per il Congresso. Che è il solo, dal 1973, a poter autorizzare
interventi militari: lo dice il War Power Act, entrato in vigore
all’epoca di Nixon, in piena guerra del Vietnam.
Prima di ieri
quella legge non era mai stata applicata. Ora i senatori la portano fin
dentro lo Studio ovale per chiedere che quell’autorità torni al
parlamento. Non è ancora finita: la risoluzione dovrà affrontare
all’inizio del 2019 la Camera. Una Camera diversa dall’attuale: dopo il
voto di midterm è a maggioranza democratica ed è improbabile che non la
bocci.
Sanders festeggia già: «Gli Usa non parteciperanno più
all’intervento saudita in Yemen che ha causato la peggior crisi
umanitaria della terra con 85mila bambini morti di fame». Nelle stesse
ore, in Italia, lo scenario era un altro: a Montecitorio, in occasione
di una conferenza su «Spese militari in Arabia saudita» (uno studio
della ricercatrice Annalisa Triggiano), il sottosegretario agli esteri
Guglielmo Picchi (Lega) parlava – riporta Città Nuova – della necessità
di superare pregiudiziali ideologiche per tutelare gli interessi
italiani in Medio Oriente. Interessi economici che nel caso dei Saud si
traducono in vendita di armi in violazione della legge 185 del 1990, che
vieta l’export militare verso paesi coinvolti in conflitti.
Un
conflitto che il popolo yemenita spera sia giunto a un punto di svolta:
in Svezia il tavolo Onu si è chiuso con la tregua ad Hodeidah. Ieri
l’ambasciatore saudita in Yemen, Mohammed al Jaber, ha dato il via
libera di Riyadh, mentre in centinaia all’aeroporto di Sana’a
accoglievano la delegazione dei ribelli Houthi di ritorno dalla Svezia.
Ma già ieri, raccontano i residenti alla Reuters, scontri armati erano
ripresi nel quartiere 7 Luglio della città portuale.