il manifesto 14.12.18
Come spiazzare le ombre brune
Emergenza
democratica. Il compito dell’antifascismo è di nuovo quello di
restituire ruolo e identità nella sfera pubblica agli esclusi. L’estrema
destra cresce cambiando di segno al conflitto: orizzontale invece che
tra le classi
di Davide Conti
Il riemergere di
partiti e movimenti di estrema destra in Europa ed il convergere su di
essi di porzioni consistenti di consenso popolare, sia empatico che
elettorale, se da un lato ha configurato nella sfera pubblica un
processo di «neocittadinanza» di istanze regressive quando non
esplicitamente razziste, dall’altro ha finora sostanzialmente prodotto
un dibattito sul tema del «ritorno del fascismo» che sembra avere come
unico approdo quello di esorcizzare, attraverso la demonizzazione del
sintomo, l’individuazione delle cause sostanziali che hanno determinato
il fenomeno ed il suo manifestarsi.
SIANO ESSE di natura sociale
(la crisi economica e la questione dei flussi migratori) o
politico-valoriale (crisi dell’impianto ideale della politica) le linee
di frattura entro cui è stato possibile per le forze dell’estrema destra
incistare le comunità contemporanee sembrano far capo alle nozioni
tanto della disgregazione quanto dei raggiunti limiti espansivi del
sistema di riproduzione della ricchezza nelle società «mature».
I
termini disgreganti emersi in rapida sequenza in questi ultimi anni in
seno alla comunità internazionale hanno portato alla consunzione di
sistemi politici consolidati ed alla fine materiale di forze e partiti
politici che avevano caratterizzato il primo quindicennio della società
globale post-89.
OGGI LE CANCELLERIE di tutta Europa, e con esse
la stessa Unione, attraversano una crisi strutturale. In tutti i paesi
pur nelle differenze di eredità storica e composizione politico-sociale
sono emersi corpi di rappresentanza regressiva, di estrema destra e non
solo, capaci di propagandare una divisione della società su base
categoriale (migranti/cittadini; occupati/disoccupati; uomini/donne;
garantiti/precari) e di distorcere le forme del conflitto, spostandolo
dalle sue fisiologiche linee verticali (la contrapposizione tra classi
subalterne e ceti dirigenti che ha garantito in termini storici il
progresso) a quelle orizzontali che artificiosamente ne rovesciano il
senso contrapponendo gruppi sociali nelle stesse condizioni e con gli
stessi interessi e problemi.
Su questo terreno si colloca la
necessità dell’antifascismo nella società contemporanea, non solo come
valore o paradigma ideale ma come nesso di relazione storica con ciò che
esso materialmente rappresentò in termini di risposta internazionale al
movimento politico fascista. L’antifascismo rappresentò in Europa ed in
modo peculiare in Italia una teoria dello Stato che, incarnata in una
lotta reale delle giovani generazioni, fu capace di informare alla
radice la rifondazione costituzionale dei paesi e delle società del
continente.
Dopo l’esperienza internazionale della lotta
antifascista tutti gli assetti politico-istituzionali post-bellici
fecero i conti con l’eredità della Resistenza il cui portato valoriale e
di diritti riformulò inclusivamente il perimetro delle cittadinanze e
delle uguaglianze, a partire da quelle delle donne e delle classi
popolari.
INSIEME ALLE GRANDI VISIONI politiche e ideali come il
«Manifesto di Ventotene» l’antifascismo espresse, come ci ha insegnato
Claudio Pavone, una nuova «moralità» che divenne patrimonio delle classi
popolari al punto di farne un tratto connaturato alla loro identità
sociale nonché saldato alla trasmissione della propria memoria storica
individuale e collettiva. Al termine di decenni in cui quegli stessi
ceti popolari si sono visti relegati nelle periferie urbane, culturali,
sociali e politiche della società; hanno dovuto scontare sulla pelle le
sofferenze e le umiliazioni della crisi economica; hanno assistito alla
cancellazione dei loro diritti e quindi delle radici storiche da cui
essi provenivano, il compito dell’antifascismo sembra di nuovo essere
quello di restituire ruolo e identità nella sfera pubblica a quella
parte così ampia della popolazione che oggi la cosiddetta «classe
dirigente», ovvero i principali responsabili dei processi disgregativi,
non esita a rappresentare come espressione di insane e primitive
manifestazioni di populismo e sovranismo plebeo.
È IN QUESTA
TEMPERIE che l’antifascismo diviene un programma. Ancora una volta
chiaro e unitario, storicamente fondato, socialmente inclusivo,
politicamente e orgogliosamente schierato. Di nuovo, come sempre,
indispensabile.