lunedì 10 dicembre 2018

Il Fatto 10.12.18
Il sociologo Marco Revelli
“Il fronte No Tav era un po’ stanco. Le madamine lo hanno svegliato”
intervista di Stefano Caselli


“Le madamine hanno svegliato il leone, hanno ridato una carica di orgoglio e di senso di mobilitazione in una valle che dopo un quarto di secolo rischiava senza dubbio di affidarsi a un meccanismo di delega. Una certa stanchezza era ormai fisologica, anche rispetto alla constatazione che la controparte non si muoveva di un millimetro. Il 10 novembre ha risvegliato molte energie”. Alla fine, dunque, il sociologo Marco Revelli, storico sostenitore del movimento NoTav, finisce per ringraziare la manifestazione pro Sì delle ormai celebri “madamine”. Senza di loro la grande marcia di sabato a Torino non sarebbe riuscita così bene.
Professor Revelli, lei a novembre coniò l’immagine di una “piazza della città perduta tradita dagli imprenditori”. Per quella di sabato invece, che parole sceglie?
Devo dire che ho visto una piazza che veicolava un forte messaggio di speranza e di futuro. Una piazza giovane – al contrario di quella del 10 novembre – sostanzialmente refrattaria alle semplificazioni e agli slogan, con un forte bisogno di verità di fronte alle tante post verità che hanno invaso in questo mese le pagine dei principali quotidiani italiani, piene di manipolazioni di dati e di artificiose operazioni di storytelling. La piazza di sabato invocava semplicemente il rispetto dei fatti: le basi statistiche su cui il progetto Tav fu concepito si sono rivelate infondate, i volumi di traffico non sono cresciuti e i costi, alla fine, saranno insostenibili, senza contare l’impatto sul sistema idrogeologico delle valli. Sabato il sindaco di un Comune francese, dove stanno scavando una galleria di servizio come quella di Chiomonte, ci ha raccontato che il suo paese è praticamente senz’acqua. Ma in piazza c’era soprattutto un clima di serenità, non c’è stato nemmeno uno slogan aggressivo o volgare.
Quindi da una parte il male e dall’altra il bene? O qualche sfumatura possiamo concederla?
Io non idealizzo nessuno. Mi limito ad osservare cha da una parte c’era l’espressione di un sistema che ha fallito nella gestione di questo territorio e che, piaccia o no, ne rappresenta il declino: quasi una manifestazione da ancien régime nel senso ottocentesco del termine, in cui mi è parso di vedere soprattutto corporazioni che rivendicavano risorse pubbliche per uso privato, che non hanno saputo innovare e che pensano che l’indotto del tunnel di base del Tav possa portare loro qualcosa. Dall’altra, invece, c’era una piazza che non pretende di avere una soluzione in tasca, ma che cerca una via alternativa al buco in cui si è cacciato questo territorio, soprattutto per non pagare il prezzo di errori commessi da altri.
Dal fronte del Sì si è detto che il 10 novembre è stata una manifestazione al 100% torinese, a differenza di quella di sabato.
Non trovo negativo che ci fossero, per esempio, il vicesindaco di Napoli e delegazioni di altri territori che cercano di difendersi da situazioni simili. Sicuramente c’era una forte componente valsusina, ma senza la mobilitazione di Torino a certi numeri – fossero 50 o 100 mila non importa – non ci si arriva. Personalmente ho visto una partecipazione che è andata molto al di là delle aspettative.
Quali saranno le conseguenze politiche? Chi ne trarrà beneficio?
È bene che il fronte che resiste al Tav non si illuda e non segua troppo le beghe interne al governo. E poi, francamente, non era una piazza a 5 stelle, era una piazza senza padroni.
Senza padroni ma decisamente di sinistra. O no?
Ormai fatico a individuare cosa sia la sinistra. Certo, era una piazza che condivideva una serie valori che erano stati della sinistra. Una piazza orfana della sinistra, questo sì.
Dia una sua personale previsione. Tra cinque anni il Tav Torino Lione sarà…?
Spero che tra cinque anni il progetto sia finito in soffitta, sarebbe un segnale di razionalità. Ma viviamo in un mondo totalmente irrazionale che forse saremo ancora a discutere sulle discenderie.