Corriere 23.2.18
L’ago della bilancia
Brexit, se Londra ci ripensa
Tutti gli ostacoli per il «Remain»
di Sergio Romano
Theresa
May, primo ministro del Regno Unito, non ha perso ogni speranza e
cercherà di convincere il Parlamento britannico che l’accordo raggiunto
con la Commissione, per l’uscita del suo Paese dall’Unione Europea, è la
migliore delle soluzioni possibili. Ma approfitta delle feste per
prendere tempo e non chiederà un voto alla Camera dei Comuni prima della
metà di gennaio. Nel frattempo cercherà di persuadere i suoi avversari
nel partito conservatore che l’accordo è meglio di un nuovo referendum
da cui i paladini del Leave potrebbero uscire sconfitti. Se vincerà,
resterà al governo, verosimilmente, sino alle prossime elezioni. Se
perderà dovrà dimettersi e il nuovo governo dovrà prepararsi a una «hard
Brexit», un percorso rischioso, pieno di complicati imprevisti.
Comincerà allora una fase in cui il problema non sarà esclusivamente
britannico e anche l’Unione Europea dovrà avere una strategia. Credo che
convenga fare sin d’ora qualche ipotesi. Se Theresa May dovrà
dimettersi, la prospettiva di un secondo referendum diventerà sempre più
concreta. Vi è certamente una parte importante della Gran Bretagna che
non desidera trasformare la «madre dei parlamenti» in una democrazia
referendaria. Ma vi sono anche personalità politiche ed elettori ormai
convinti che le esperienze degli ultimi mesi e le preoccupanti
previsioni di molti economisti abbiano modificato il rapporto di forze
tra i paladini del Leave e quelli del Remain. Dobbiamo prepararci quindi
alla possibilità che la Gran Bretagna torni alle urne e rovesci la
decisione del referendum precedente. Che cosa farà il suo governo? Non
sarei sorpreso se gli inglesi, in questo caso, tentassero di rientrare
nell’Unione alle stesse condizioni di cui godevano prima di uscirne, con
tutti i trattamenti eccezionali che il governo britannico aveva
strappato ai suoi partner. Ma la Commissione potrebbe opporsi ricordando
che un articolo dei trattati europei (il 49) richiede, in questi casi,
un nuovo negoziato. Esiste tuttavia un altro testo giuridico cui gli
inglesi potrebbero ora ricorrere. Un tribunale del Regno Unito,
sollecitato da alcuni parlamentari inglesi, scozzesi e europei sulla
possibile revoca della decisione presa nel marzo del 2017 (quando
annunciò ufficialmente la sua decisione di uscire dall’Ue), ha
dichiarato che una revoca unilaterale è possibile e legittima. La Corte
di giustizia europea ha confermato con una delibera dell’8 dicembre che
Londra avrebbe effettivamente il diritto di tornare sui suoi passi a una
condizione: che la revoca avvenga entro due anni dalla decisione di
uscire, vale a dire prima del 29 marzo 2019. Se questo accadesse avremmo
perso due anni e parecchi milioni di euro per un negoziato inutile.
«Molto rumore per nulla», come avrebbe detto Shakespeare; ma anche la
dimostrazione di quanto sia difficile fare a pezzi l’Unione Europea.