Repubblica 17.11.18
La moglie del dissidente kazako
"Shalabayeva fu sequestrata" A processo due superpoliziotti
In sette rinviati a giudizio: tra loro anche i questori di Palermo e Rimini, Cortese e Improta
di Maria Elena Vincenzi
Roma
Ci sono il sequestro di persona e vari falsi. Per questo l’attuale
questore di Palermo, Renato Cortese, e quello di Rimini, Maurizio
Improta, sono stati rinviati a giudizio per il caso di Alma Shalabayeva,
la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, rimpatriata in fretta
e furia dall’Italia con la sua bambina Alua nel maggio del 2013.
Per
la procura di Perugia, competente perché nell’inchiesta è coinvolto
anche un giudice di pace di Roma, quella procedura fu illegittima. E il
gup ha dato ragione ai pm disponendo il rinvio a giudizio di Cortese,
all’epoca capo della squadra mobile della Capitale, di Improta ( al
vertice dell’ufficio immigrazione capitolino), del giudice di pace
Stefania Lavore, che firmò la convalida, e di quattro poliziotti: Luca
Armeni, Francesco Stampacchia, Vincenzo Tramma e Stefano Leoni.
Prosciolti, invece, la loro collega Laura Scipioni e i tre funzionari
dell’ambasciata del Kazakistan per i quali il giudice ha riconosciuto
l’immunità diplomatica: l’allora ambasciatore Andrian Yelemessov, il
primo segretario Nurlan Khassen e l’addetto consolare Yerzhan
Yessirkepov.
Il processo inizierà il 24 settembre 2019, ma il
legale di Shalabayeva, l’avvocato Astolfo di Amato, ha sottolineato come
l’inchiesta non abbia comunque ancora sciolto tutti i dubbi. «Ora ci
attendiamo di sapere dal processo — dice — se e chi ha dato l’ordine del
sequestro». Nel processo confluiranno con valore di prova le parole di
Shalabayeva, che in udienza preliminare è stata sentita con l’incidente
probatorio. In quella sede ha parlato di una « illegittima deportazione »
: sebbene « più volte » avesse chiesto asilo politico, fu prelevata con
la figlia da una villa a Casal Palocco e mandata in Kazakistan contro
la sua volontà. Nonostante — secondo la sua versione — avesse
rappresentato lo status di rifugiato del marito e il pericolo per la
propria incolumità in caso di rimpatrio per «i concreti rischi» di
subire violazioni dei diritti umani, come già successo al marito. Nella
richiesta di rinvio a giudizio i pm hanno parlato di una serie di
omissioni e falsi che avrebbero esposto a rischi Shalabayeva. La donna
nel dicembre 2013 è tornata a Roma, mentre il marito, libero, è in
Francia.