Repubblica 17.11.18
Alle radici della crisi attuale
Quando Nietzsche seppellì l’Occidente
Come in biologia ogni civiltà è un organismo che nasce cresce e muore
E il canto del cigno della nostra ha un volto:quello del filosofo tedesco
I primi sintomi di malessere collettivo si ebbero a metà ’800, con le tesi di Feuerbach, Stirner e Marx
Ma fu l’autore della "Gaia scienza" e di "Ecce homo" a fare piazza pulita di fedi, sistemi, tradizioni e istituzioni
di Sossio Giametta
Quest’anno si è celebrato il centenario della fine della Prima guerra mondiale (1914-1918).
Su
questo sono fioriti, in aggiunta alla pletora che già c’era, articoli,
servizi, saggi e studi di ogni tipo; sono state rinnovate le analisi
delle cause lontane e vicine, delle occasioni scatenanti e delle
funeste, ramificate conseguenze, coi prodromi, gli appigli e gli agganci
alla Seconda guerra mondiale. Tuttavia nessuno storico è stato in grado
di pervenire alla causa originaria delle due guerre e di tutto lo
scatafascio che esse hanno comportato. E ciò per la ragione fondamentale
che questa causa è metastorica, affonda le radici nella biologia e
richiede la partecipazione della filosofia.
L’indagine storica non
basta a far capire quello che l’Europa e il mondo hanno fatto e subito
in tale periodo: le due più grandi catastrofi della storia.
Un
organismo è un’unità in cui il principio vitale – una forza unificante
di natura sconosciuta e inconoscibile – stringe insieme una pluralità di
forze individuali contrastanti, tendenti ciascuna alla supremazia, in
un’unità superiore. Si immagini il nostro organismo, con le cellule che
lo compongono. Ogni organismo ha nascita, sviluppo, decadenza e morte.
Nelle prime fasi di vita, cioè nella parabola ascendente, la forza
unificante, che è forza collettivizzante (strumentalizza gli individui
in funzione della collettività) è al suo massimo, come la forza vitale
stessa, con cui si identifica. Nella parabola discendente, allenta la
sua presa, mentre aumenta la forza individualizzante, cioè la forza dei
singoli individui tra loro contrastanti. Ne consegue una tendenza
dell’organismo a disgregarsi. Alla fine la forza unificante cede, e
nell’organismo si crea una polarizzazione tra le tendenze opposte, che
si compattano agli estremi. È il preludio della fine.
Le civiltà,
le religioni sono soggetti storici al di sopra degli individui che ne
fanno parte. I membri di questi grandi soggetti storici sono organizzati
in funzione dell’organismo di cui fanno parte allo stesso modo degli
organi del corpo umano. Più sono i membri che li compongono e più ampia è
l’articolazione e diversificazione della civiltà o della religione.
Dunque
il numero dei loro membri (gli individui) è importante. Che le civiltà,
le Kulturen, siano organismi, è stato teorizzato da Oswald Spengler ne
Il
tramonto dell’Occidente, coevo alla Prima guerra mondiale. In quanto
organismi, le civiltà sono soggette al nascere e al perire, come tutto
ciò che esiste, compreso l’universo che conosciamo, e tendono a vivere e
a svilupparsi secondo la loro legge interna. Cioè pur essendo
condizionate dalle circostanze storiche e geografiche, esse non ne sono
determinate e si sviluppano in maniera autonoma, come gli uomini stessi,
che possono vivere la loro vita negli ambienti più disparati, e in
mezzo alle circostanze storiche più svariate, obbedendo soprattutto alla
loro legge interna.
Il grande organismo storico alla cui agonia e
fine a noi anziani è toccato assistere, è la civiltà occidentale, cioè
la civiltà cristiano-europea fondata dal cristianesimo in contrasto
dialettico con la civiltà antica, ma in seguito integrata dagli Stati
laici, figli del Sacro Romano Impero. Le Kulturen hanno una gioventù,
una maturità e una vecchiaia. In vecchiaia diventano, detto nel tedesco
di Spengler,
Zivilisationen, detto in italiano, civiltà
stramature. Esse brillano un’ultima volta prima di sprofondare nella
morte e nella decomposizione. Ma ciò non per colpe e vizi, come si
crede, ma per compiutezza e sazietà.
Rispetto alle altre nazioni europee, la Germania, divisa e arretrata, esplose in ritardo.
Nell’alta
marea che ne seguì Hegel, con lo spirito assoluto e un sistema che
comprendeva tutti i sistemi e dava senso divino (umanizzato) alla
storia, diede la carica ai tedeschi, come «parte razionale dell’Europa».
L’Uebermut,
un senso titanico di forza e di superiorità, salì alle stelle, grazie
anche all’apporto di Fichte e Schelling. Sarebbe cresciuto sempre più,
fino al delirio nazista. Hegel era amico e protetto di Goethe, ma ne
tradì il messaggio di misura (nella poesia Prometeo, Goethe si vanta di
aver sconfitto der Titanen- Uebermut, la superbia dei titani). Per lui
«classico è ciò che è sano e romantico ciò che è malato».
Hegel
mise il romanticismo al di sopra della classicità. Goethe predicava la
natura, di cui l’uomo è piccolissima parte, Hegel lo spirito. Goethe
censurò la troppa importanza data all’individuo e disse che senza la
morale lui non era niente. Hegel negò la morale per dare risalto
all’etica. Ma quando si arriva al vertice, è prossima la caduta. Già
negli anni Quaranta dell’Ottocento esplose, nel segno
dell’antihegelismo, la più grande avvisaglia della crisi della quasi
bimillenaria civiltà europea, con i giovani hegeliani di sinistra:
Feuerbach, Ruge, Marx, Stirner, Bauer, poi Schopenhauer; in Danimarca
Kierkegaard. La crisi raggiunse l’acme nella seconda metà dell’Ottocento
e fu incarnata soprattutto da Nietzsche.
Contrariamente a quello
che credeva di essere: il pensatore più indipendente e inattuale della
sua epoca, Nietzsche era inconsapevolmente tutto e solo attualità, una
creatura della crisi.
Trasferì verso la Grecia arcaica e
dionisiaca le correnti selvagge della sua epoca, sicché alla fine la
Grecia risulta essere soprattutto un alibi. Nietzsche fece piazza pulita
di sistemi e costumi, morali e religioni, tradizioni e istituzioni, per
cui gli rimase solo la natura col suo vitalismo selvaggio. In tal modo
costruì nell’empireo della filosofia quello che sarebbe diventato il
cuore del fascismo-nazismo. Questo fu l’ultimo colpo di coda
dell’Occidente prima di perdere il primato alla fine della Seconda
guerra mondiale.