La Stampa 2.11.18I misteri di Roma
Il volto di Emanuela e l’eterna ragnatela dei misteri di Suburra
di Mattia Feltri
«È
stata Roma», dice Samurai, ovvero Claudio Amendola nel film Suburra.
Samurai era il duemilionesimo «ultimo boss» della Banda della Magliana,
passato dalle cronache al romanzo della Grande Meretrice – Roma, appunto
– per poi tornare ai titoli dei giornali col suo vero nome, Massimo
Carminati, nelle prosaiche avventure di Mafia capitale.
Alla
domanda su chi avesse ucciso Tal dei Tali, Samurai dice che è stata
Roma, e potrebbe essere la risposta di sempre, da che Romolo uccise
Remo, e fino alle ossa di donna spuntate da sotto il pavimento della
Nunziatura Apostolica di via Po, che davvero appartengano a Emanuela
Orlandi, come è improbabile, oppure no: comunque è stata Roma.
Sono
state le luci notturne di Roma, i sotterranei, le oscure ombre di
sottana che si muovono nelle tenebre, anche dell’anima, le manine e le
manacce, le spie sotto copertura, i sussurri, le telefonate anonime, i
denari, le baldorie orgiastiche, le cospirazioni, i deliri allucinogeni,
i palazzi del potere e dell’occultismo, i ricatti incrociati come spade
silenti, è stata la millenaria ragnatela dei misteri di Roma.
Tutta
questa irresistibile mitologia, questa realtà sommata a realtà il cui
risultato è sempre la surrealtà, è calata sul delizioso viso di Emanuela
che in quei giorni dell’estate di trentacinque anni fa era affisso a
ogni parete, ogni pensilina, ogni vetrina della Grande Meretrice, e le
ragazze presero, come lei, a indossare una fascetta sulla fronte, a fare
di Emanuela un modello di fascino, una prima piccola sventurata
influencer.
Per i trentacinque anni successivi niente del vero,
del verosimile e del falso, dell’intrattenimento e dello spettacolare,
del meschino e dell’indicibile è stato risparmiato alla famiglia
Orlandi, residente dentro le mura del Vaticano che, nel pomeriggio del
22 giugno del 1983, la quindicenne Emanuela attraversò per raggiungere
la scuola di musica di piazza Sant’Apollinare. Guarda caso. Si cominciò a
dirlo da subito: guarda caso. Guarda caso lo studio di Oscar Luigi
Scalfaro è a due passi, guarda caso il Senato è a due passi, guarda caso
quella sera una ragazzina chiese a un vigile come raggiungere la Sala
Borromini di Palazzo Madama, guarda caso a due passi c’è anche la
Basilica che dà nome alla piazza e guarda caso il rettore era monsignor
Pietro Vergari, guarda caso amico di Renatino De Pedis, guarda caso boss
della banda della Magliana, guarda caso Scalfaro e Vergari sono amici,
guarda caso Scalfaro sta per diventare ministro dell’Interno, e guarda
caso tutto torna: realtà sommata alla realtà il cui risultato è la
surrealtà.
Guarda caso De Pedis è stato incredibilmente tumulato
nella basilica di Sant’Apollinare e a due terzi di questa storia
dell’assurdo arriva una telefonata a Chi l’ha visto? e dice se volete la
verità aprite il sarcofago di De Pedis, e dentro c’è Emanuela. Lo
aprono e guarda caso Emanuela non c’è.
È stata Roma, è successo
nei passaggi segreti dove gli uomini di Stato incontrano gli uomini di
Dio a siglare patti con gli uomini del Demonio. È la Suburra, la stessa
identica Suburra di criminali e sacerdoti in cui duemila anni fa salì la
gloria di Giulio Cesare, la Suburra ideale di questa villa vicino alla
Salaria dove, sotto al pavimento, hanno trovato le ossa di una, forse
due donne ed è territorio vaticano e quelli per terrore di aggiungere
una goccia al mare del complotto chiamano subito le autorità italiane
che nella Nunziatura nemmeno ci potrebbero entrare, è estero, non hanno
alcuna competenza, e allora vedi che la goccia s’aggiunge lo stesso, e
qualcuno già lo dice: guarda caso.
Guarda caso stavolta non
imboscano, non tramano, e guarda caso lì a due passi abitava un tal
Scimone, guarda caso della Banda della Magliana, e guarda caso a dieci
minuti a piedi dalla Nunziatura abitava la famiglia di Mirella Gregori,
scomparsa come Emanuela, un mese e mezzo prima di Emanuela, quindicenne
come Emanuela, mai più rivista. Portata via dagli spettri, come Emanuela
e gli altri ottantatré minori volatilizzati a Roma nell’Ottantatré.
È
questa la ragnatela della Grande Meretrice, ogni uomo e ogni luogo sono
collegati da un filo di bava, da storie familiari e di potere, da
suggestioni raggelanti che sprofondano nei secoli. Talvolta tutti i
dettagli subito dopo la pubblicità: infatti è trascorso un lustro dal
giorno in cui alla solita trasmissione tv fu inviato un frammento di tre
minuti della conversazione fra un tizio e il centralino della Santa
Sede, e il tizio dà il codice, il numero 158, che gli permette di
raggiungere telefonicamente monsignor Casaroli. Che si dicano i due, il
frammento non lo svela. Ma svela che c’è ancora parecchio da svelare, e
da ricattare. C’è ancora chi telefona in tv per dire che Emanuela è in
Svizzera, è in Francia, è in Inghilterra, chi semina indizi su strade
cieche. Siamo ancora alle sedici telefonate che nell’estate di
trentacinque anni fa un uomo con accento anglosassone, e subito
soprannominato l’Amerikano, spende per chiedere in cambio di Emanuela la
liberazione di Ali Agca, l’attentatore di Wojtyla. L’Amerikano, si
disse, chissà se è monsignor Marcinkus, il presidente dello Ior dove
erano transitati i miliardi della mafia poi scomparsi con il crac
dell’Ambrosiano che Roberto Calvi pagò con la vita sotto il ponte di
Londra. Guarda caso. Guarda caso la Banda della Magliana si incarica di
recuperarli in cambio di Emanuela. Guarda caso Sabrina Minardi, ex
moglie del bomber della Lazio, Bruno Giordano, intanto passata fra le
braccia di De Pedis, assiste alla consegna della ragazza a un prete, e
sa che Marcinkus la userà per sfoghi sessuali.
Guarda caso padre
Amorth, il sommo esorcista di Roma, sa che Emanuela è precipitata nelle
feste della pedofilia e della cocaina nei postriboli del clero, dei
ministri e dei diplomatici. E ci sarebbe anche la Stasi, la polizia
segreta della Germania Est che si infila nel bordello e, per scagionarsi
dai sospetti sull’attentato al Papa, spedisce lettere firmate dai Lupi
Grigi di Agca che rivendicano il sequestro. Ci sarebbe la P2. La tratta
delle bianche. Ma è soltanto un’infarinatura sui mille grovigli, le
mille torri e le mille catacombe di Roma, teatro sublime della realtà
che sommata alla realtà produce il surreale.
Alle 19 del 22 giugno
1983, Emanuela esce dalla scuola di musica. Aspetta l’autobus con una o
due amiche. Alla sorella ha detto che un uomo le ha offerto un piccolo
lavoro ben retribuito. Forse lo accetterà, forse no. Fatto sta che
Emanuela all’ultimo decide di non prendere l’autobus. Fra poco sarà
buio.