La Stampa 2.11.18
“Caricati a forza nei furgoni”. Così la polizia italiana riporta i migranti nei Balcani
Il
racconto di due pakistani: «A Trieste ci hanno illuso sulla richiesta
d’asilo ma ci hanno rimandati in Slovenia». Poi una nuova odissea fino
alla Bosnia. «Le autorità croate ci hanno picchiato e lasciato nei
boschi al confine»
Italia, una rotta segreta con Slovenia e Croazia per respingere i migranti
di Niccolò Zancan
Dentro,
nel furgone della Polizia di Stato, era buio pesto. «Si respirava a
malapena da una piccola ventola piazzata in alto. Non c’erano finestre.
Alcuni di noi vomitavano, e poi c’era odore di sangue. Perché quando
avevamo capito che stavamo per essere riportati indietro, due ragazze
avevano preso a testate i muri della caserma e continuavano a piangere».
È la caserma del Valico di Fernetti, la prima in territorio italiano
dopo il confine sloveno. Ma il furgone della polizia stava passando
dall’altra parte della frontiera.
«Avevamo camminato 14 giorni
dalla Bosnia Erzegovina, attraversato la Croazia e la Slovenia, dormendo
nei boschi di notte, pur di arrivare in Italia. All’inizio, i
poliziotti ci avevano fatto capire che dovevamo stare tranquilli.
Avrebbero preso la nostra richiesta di asilo politico. Ma all’improvviso
hanno cambiato idea: ci hanno detto che dovevamo salire su quel
furgone».
Chi parla, davanti a un interprete, è un ragazzo
pakistano di 21 anni, il suo nome è Hassan T. È partito dal distretto di
Sialkot, regione Punjab. E ora, al secondo tentativo, è riuscito ad
arrivare a Trieste, dove è in attesa che venga valutata la sua domanda
di asilo. Ma quello che racconta è il primo tentativo, alla fine di
agosto del 2018. Il segreto che qui molti conoscono già, alla frontiera
Nord-Est italiana.
«Il viaggio sul furgone della polizia è durato
circa venti minuti. Ci hanno lasciati davanti a una casetta bassa,
isolata, in mezzo al niente. Altri poliziotti sloveni sono venuti a
prenderci su un altro furgone, ci hanno scaricati al confine con la
Croazia. Allora tutti abbiamo capito come sarebbe finita. I poliziotti
croati ci hanno fatto viaggiare più a lungo. Si sono fermati davanti a
una foresta. Hanno preso i nostri telefoni, uno a uno, e li hanno
fracassati. Poi ci hanno picchiati sulla schiena con i manganelli. A me
hanno spezzato due dita. Alla fine hanno indicato un sentiero nel bosco,
e ci hanno fatto segno di camminare. Così ci siamo ritrovati in Bosnia,
fuori dall’Europa». Meno di ventiquattr’ore sul suolo italiano. E poi
via. Indietro. Stato dopo Stato. «Solo uno di noi sapeva parlare un po’
di inglese», dice ancora Hassan T. «Non abbiamo capito niente di quello
che ci hanno detto i poliziotti. Non c’era l’interprete. Ma eravamo già
in Slovenia quando ci hanno scaricato».
”Respingimenti a catena”
Non
sono le cosiddette «riammissioni», che richiedono comunque di esaminare
la domanda di asilo, per verificare se sia già stata presentata
altrove, prima di trovare eventualmente un accordo per il ritorno in
quel Paese. È qualcosa di diverso. Qualcosa di nuovo. Sbrigativo.
Ricorda il comportamento di alcuni poliziotti francesi alla frontiera
italiana. Dalle parti di Claviere.
«Peggio», dice Gianfranco
Schiavone il presidente di Ics, la più importante istituzione
dell’accoglienza a Trieste assieme alla Caritas. «Sono respingimenti a
catena. Restituzioni illegittime. Violazioni delle direttive europee,
del regolamento di Dublino e delle leggi italiane. Sembra una specie di
manovra di alleggerimento. Abbiamo diverse testimonianze che confermano
questa nuova prassi. I migranti vengono abbandonati nei boschi come dei
banditi. Non esiste alcuna logica. Non si capisce perché qualcuno sì e
qualcun altro, invece, no. Si ha proprio l’impressione di essere al
mercato delle vacche. E la cosa più sconcertante, è che tutte le polizie
coinvolte sanno benissimo di muoversi al di fuori della legge».
Il
confine italiano, fra la Val Rosandra e il valico di Fernetti, non si
vede. È costituito da alberi, rocce bianche e memoria. L’ultimo gruppo
di migranti è spuntato davanti al monumento in ricordo della foiba di
Basovizza. Era un Peugeot carico di ragazzi. Qualcuno ha chiamato i
carabinieri. Il passeur, un croato di 23 anni, è stato arrestato. Tre
profughi iraniani hanno presentato domanda di asilo politico. Nessuno sa
dire dove siano finiti gli altri dodici migranti.
«Succede quasi
ogni giorno» racconta la signora Sonia Crismancich. Dal 1979 gestisce la
stessa rivendita di tabacchi e alimentari, all’angolo con la strada che
porta oltre confine. «Ieri erano in dieci, messi lì al muro. I
poliziotti li stavano controllando. Ti fanno pena. Sono tutti giovani,
maschi, magri. Non sono razzista, ma non so dove porterà questa cosa».
Il
numero dei migranti accolti regolarmente a Trieste è di 1180, poco più
di 5 mila in tutto il Friuli Venezia Giulia. Quest’anno, però, ne stanno
arrivando di più. Ogni settimana, dalle 20 alle 50 persone vengono
trasferite in altre regioni italiane. Quello che non si conosce è il
numero dei respinti.
Il costo del viaggio
Anche Alì M., 31
anni, ex tassista di Islamabad, è stato scaricato oltre confine dalla
polizia. Partito dal Pakistan alla fine del 2016 pagando 6 mila dollari
ai trafficanti, era arrivato in Italia nei primi giorni di settembre:
«Eravamo tutti convinti di avercela fatta. Ormai camminavamo a Trieste,
sul lungomare di Barcola. La polizia ci ha presi e portati in questura.
Eravamo felici». E invece? «Hanno preso le impronte e fatto il foto
segnalamento di tutti. Eravamo in 46. I primi 16 hanno presentato
domanda di asilo, ma poi è venuta notte. C’era un interprete. Ha
spiegato che il giorno dopo, di mattina, sarebbe stato il nostro turno.
Aspettavamo in corridoio, ma era una cosa finta. Ci hanno fatto salire
sul furgone, e ci hanno lasciati di là. Dopo una sera nella caserma
della polizia slovena, abbiamo fatto tutto il viaggio al contrario.
Anche io sono stato picchiato dai poliziotti croati. Succede a tutti. Ti
bastonano. Scappando mi sono ritrovato in Bosnia, dalle parti di Velika
Kladusa. Dopo una settimana in cui mi sono sentito molto triste, ho
deciso di riprovare. Ho impiegato 13 giorni a piedi, sono caduto in un
crepaccio, ma un amico afghano mi ha salvato. E questa volta,
finalmente, ce l’ho fatta. Ho presentato la mia domanda di asilo alla
questura di Gorizia. Sono in attesa».
Il nuovo vento politico
Negli
ultimi tre mesi, Trieste è cambiata molto. Il governo leghista della
Regione Friuli Venezia Giulia ha chiesto alle guardie forestali di
occuparsi del controllo dei confini, caso unico in Italia. Il vice
sindaco di Trieste, Paolo Polidori, anche lui della Lega, ha passato una
notte in diretta Facebook a svegliare i profughi accampati: «Qui non vi
vogliamo». Forza Nuova ha organizzato delle ronde nella zona della
stazione, dove dormono i più disperati. Il Comune ha cancellato una
mostra sulle Leggi Razziali, organizzata dagli studenti del Liceo
Petrarca, proprio nei giorni della memoria. E domani, sempre Trieste,
ospiterà il raduno nazionale dei fascisti di CasaPound per i cent’anni
della fine della Prima Guerra Mondiale: una decisione molto contestata
in città. Ma alla fine, la prefettura ha autorizzato il corteo. È il
nuovo spirito dei tempi. Da dove partono forse anche certi furgoni della
polizia pieni di migranti da scaricare altrove. «Mi avete spezzato il
cuore», dice Alì M. Si alza, ringrazia e se ne va.