La Stampa 18.11.18
Ma la nuova Guerra Fredda si combatte sul dominio dell’intelligenza artificiale
di Gianni Riotta
Quando
AlphaGo, macchina di Intelligenza artificiale (AI) progettata da Google
per l’ancestrale gioco della dama cinese Go, ha vinto per la prima
volta contro un Gran Maestro, Ke Jie, il campione battuto, si è
commosso: «Il computer ha fatto mosse non umane, mai viste prima».
In
Cina centinaia di milioni di telespettatori hanno assistito allo
storico match, nessuno più interessato del presidente Xi Jinping: «Quel
giorno del 2017 – spiega lo studioso Ian Bremmer – la Cina ha compreso
il valore strategico dell’Intelligenza artificiale». Xi Jinping arringa
dunque il Partito comunista «Entro il 2030 la Cina sarà superpotenza
dell’AI» e il presidente russo Vladimir Putin gli fa eco: «Chi dominerà
l’AI comanderà il XXI secolo».
Al summit sulla tecnologia,
organizzato da Bloomberg a Singapore pochi giorni fa, l’ex ministro del
Tesoro di George W. Bush, Hank Paulson, riconosce scorato: «Sta calando
una nuova cortina di ferro tra Usa e Cina, viviamo la Seconda Guerra
Fredda». E il decano della guerra e della pace nel ‘900, Henry
Kissinger, 95 anni, confessa a Singapore che l’Occidente non ha una
strategia per evitare lo scontro con la Cina, America ed Europa divise
dai risorti nazionalismi.
Durante la Prima Guerra Fredda, fu lo
Sputnik, il satellite artificiale lanciato dai russi nell’ottobre 1957, a
sancire l’importanza militare della tecnologia. L’umiliazione di vedere
i russi primi nello Spazio, nel 1961 con il colonnello Gagarin,
persuase il presidente Kennedy alla corsa che, nel 1969, porterà la
bandiera a stelle e strisce e Neil Armstrong sulla Luna.
Lo
struggente nuovo film di Damien Chazelle, con il carismatico Ryan Goslin
nella parte di Armstrong, soffonde l’autunno americano di nostalgia,
rimpianto di un tempo in cui il Paese, unito, era leader di scienza e
tecnica.
Kissinger teme l’AI, come un altro Premio Nobel, il
filosofo Bertrand Russell, temeva gli ordigni atomici, e in un saggio
sulla rivista «The Atlantic» ammonisce che i computer razionali
potrebbero cancellare le conquiste dell’Illuminismo: democrazia,
tolleranza, società aperta. Il ministro della Difesa Mattis condensa
allora l’allarme di Kissinger nei cartoncini usati dal presidente Trump
per la disamina dei problemi, e l’influente figlia Ivanka, lo condivide
online. Trump, stavolta, li ascolta con attenzione.
La partita a
Go e il fosco sermone di Kissinger accendono la Seconda Guerra Fredda.
Sul fronte Intelligenza artificiale, si inquadrano tutte le frizioni
Washington-Pechino, dalla tensione navale nel Mar Cinese Meridionale a
dazi e tariffe. Fanno cornice la mesta impotenza europea e la crescente
influenza giapponese, potenza autonoma.
Per primeggiare nell’AI
servono tre dimensioni: una sterminata riserva di dati, algoritmi capaci
di ordinarli e ricavarne narrative coerenti, computer potenti e
sofisticati per eseguire le operazioni, grazie a tecniche di machine
learning (la macchina analizza i dati oltre le indicazioni di partenza
dei programmatori) e reinforcement learning (come cani di Pavlov, i
computer ricevono «premi» e «punizioni» in cerca della soluzione ai
problemi posti).
Gli Stati Uniti sono in vantaggio su algoritmi e
computer, ma già sui dati i cinesi rimontano. Le grandi piattaforme
americane, Facebook, Google, Amazon, Apple sono gelose nel condividere
dati con lo Stato o tra loro, mentre Xi impone ai brand cinesi, Alibaba,
Baidu, iFlytek, Tencent, di collaborare uniti al Piano Intelligenza
Artificiale, nello speciale «Gruppo Nazionale». Setacciando la mole dei
dati, il partito vara un programma di controllo sociale che non ha
uguali nella storia (un ladro riconosciuto tra la folla di uno stadio da
un algoritmo), e ogni cittadino riceve un «punteggio» dai software che
ne certificano, volta a volta, dissensi e fedeltà.
Il 25% dei
laureati in Informatica in America è di origine cinese e serpeggia già
lo spettro delle spie, mentre il think tank australiano Strategic Policy
Institute assicura che l’esercito cinese avrebbe infiltrato 3000
ufficiali, mascherati da scienziati, nelle Università Usa ed europee per
sottrarre protocolli e dati. L’informatico Aviv Ovadya teorizza la
prossima «Infoapocalisse», guerra dell’informazione via AI capace di
paralizzare con false notizie mercati, opinione pubblica, vita
quotidiana.
«Scienza Militare», autorevole rivista cinese, dibatte
invece il passaggio dalla «Guerra dell’informazione», con i generali a
guidare i computer, alla futura «Guerra intelligente», conflitto
militare e civile dove si vince anticipando su AI l’influenza dei dati.
Il vantaggio strategico di Pechino è allineare Forze armate, Università e
aziende, come l’America faceva ai tempi di Nasa e progetto del web al
Pentagono-Darpa. Ora i lavoratori di Google si ribellano al programma
militare Maven, che interpreta immagini via AI, e l’azienda sospende la
collaborazione. La Cina realizza intanto un programma analogo, lo
sperimenta in Zimbabwe e Venezuela, affinando le tecniche di controllo
AI.
«Le compagnie Usa lavorano con la dittatura cinese, ma
snobbano la nostra democrazia, pur imperfetta, e i militari» lamenta
l’ex ministro della Difesa di Obama, Ashton Carter. La tenacia di Trump
nella guerra commerciale ai cinesi si spiega, alla fine, anche con i
timori dello Stato Maggiore, per l’AI di Xi: «L’alta tecnologia ha
sempre un doppio uso, civile e militare, il solo modo per rallentare la
Cina è non vendergliene gli strumenti» spiegano al Pentagono.
Dopo l’atomica, sarà l’AI la frontiera della guerra totale.