Internazionale 25.11.18
Una ventata di novità
Di Mike McCahill, The Guardian, Regno Unito
Il #MeToo è arrivato in India. Ma in tema di molestie e discriminazioni Bollywood è ancora molto indietro
Introducendo
la nuova stagione del più seguito talk show indiano, Kofee with Karan,
il regista, produttore e presentatore Karan Johar ha dedicato la
trasmissione al girl power appena scoperto anche da Bollywood, in un
anno che è stato segnato da film di successo scritti e diretti da donne,
come il thriller ad alta tensione Raazi e l’amara commedia a tema
matrimoniale Veere di wedding. Le ospiti, ovviamente, erano donne di
cinema: la regina indiscussa Deepika Padukone, di nuovo sorridente dopo
la prova del fuoco di Padmaavat, il colossal uscito a gennaio tra
numerose polemiche, e la splendida principessa Alia Bhatt, talentuosa
protagonista di Raazi. A Bhatt, adagiata sul divano di Johar, è stato
chiesto di scegliere tra i suoi gatti, protagonisti assoluti del suo
profilo Instagram, e il bell’attore e produttore Ranbir Kapoor; Padukone
ha allusivamente inarcato un sopracciglio quando invece le è stato
chiesto qual è la prima cosa che nota in un uomo. Scelte difficili Anche
se il tono leggero era a suo modo piacevole, risultava stranamente
lontano dalle serie recriminazioni lanciate sui social network da donne
che lavorano negli strati più bassi dell’industria cinematografica. Il
movimento #MeToo indiano, cresciuto molto rapidamente a partire da
ottobre soprattutto attraverso internet, ha proiettato la sua ombra
sulla ventesima edizione del Jio Mami Mumbai film festival, che si è
concluso il 1 novembre. “Il #MeToo è cresciuto proprio due settimane
prima del festival, che è uno dei più grandi eventi cinematografici del
paese, quindi avevamo tutti gli occhi puntati addosso”, ha detto la
direttrice artistica Smrti Kiran, raggiunta nella sede del festival nel
quartiere di Juhu, a Mumbai. “Volevano che ci assumessimo delle
responsabilità. E noi eravamo pronti a farlo”. Così gli organizzatori si
sono rimboccati le maniche e hanno tracciato delle linee rosse. Due
film e tre cortometraggi sono stati cancellati dal programma del
festival in seguito alle accuse sollevate nei confronti di alcuni dei
loro autori. Un altro film, molto atteso dalla critica, Balekempa, è
stato ritirato direttamente dai produttori dopo che il suo autore e
regista Ere Gowda è stato accusato di molestie sessuali. Alla cerimonia
di apertura, davanti al Gateway to India, il grandioso monumento della
città vecchia, la direttrice del festival Anupama Chopra si è scusata
con “tutte le persone deluse”, augurandosi “che la decisione di mettersi
al ianco delle donne che hanno fatto sentire le loro voci porti a un
nuovo clima costruttivo, inclusivo e giusto”. “È stata una decisione
molto, molto dura”, dice Kiran. “Non posso sottolineare abbastanza
quanto sia stato triste per noi. Dopo avere scelto di scartare i primi
due film, abbiamo dovuto applicare lo stesso metro con tutti. Ma era una
cosa che dove vamo fare, è necessario che le persone aprano gli occhi”.
E alla fine, al posto dei film sono stati organizzati dei dibattiti. La
sceneggiatrice e regista Ruchi Narain ha curato quattro seminari sul
tema della condotta professionale nel mondo del cinema. In uno di questi
l’avvocata Asiya Shervani ha guidato il pubblico attraverso l’oscura
legge indiana sulle molestie sessuali, a cui si fa ricorso molto
raramente. Come ha spiegato Kiran, “per noi è stato importante parlarne,
non vogliamo che una questione così importante interessi le persone per
un po’ e poi venga dimenticata. Non è stato fatto nulla di concreto, le
gente si limita a dire: ‘Ah, c’è stato il #MeToo’, come se fosse un
virus dell’influenza, che arriva ma poi passa. In uno dei seminari,
invece di limitarsi a parlare per frasi fatte come spesso succede in
queste occasioni, le persone si sono sfogate apertamente. Non c’erano
timori, ed è stata una ventata d’aria nuova”. Ma i cambi di programma
hanno fatto posto anche a una selezione di ilm realizzati da donne,
facendo scoprire al pubblico un ilone del cinema indiano meno
convenzionale. Rajma chawal, il ilm di Leena Yadav, prodotto da Netlix,
afronta il tema dello scarto generazionale tra padre e iglio. Priya
Ramasubban ha commosso con il suo Chuskit, la storia di una giovane
paraplegica che adatta la sedia a rotelle alla sua casa sull’Himalaya.
Il talento emergente di Rima Das, il cui Village rockstars è stato
scelto quest’anno dall’India per concorrere all’oscar come miglior ilm
straniero, ha catturato due volte l’attenzione del pubblico: la prima
con un tufo notturno in piscina durante la festa d’inaugurazione del
festival, la seconda con il suo ultimo ilm, Bulbul can sing, una dura
presa di posizione sulla cultura della vergogna. Sotto zero Per Kiran
questa piccola selezione porta comunque alla ribalta nuovi modi di
pensare: “In passato siamo stati una nazione che produceva solo ilm su
grandi temi, come la povertà. Raramente l’individuo era centrale, il
ruolo di spicco era sempre della collettività. Da indiana, mi rendo
conto che diamo così tanta importanza alla famiglia che l’individuo è
oscurato. Ma è importante valorizzare l’individuo se vogliamo una
società più sana”. Una maggiore visibilità del cinema internazionale,
che arriva raramente perino nelle sale della cosmopolita Mumbai,
potrebbe aver giocato un ruolo. Al festival circa cento persone sono
rimaste in fila per cinque ore per vedere Un afare di famiglia, il film
di Hirokazu Koreeda, Palma d’oro al festival di Cannes 2018. Ma il
premio alla determinazione va alle persone rimaste in fila per dieci ore
per il dubbio piacere di vedere Climax di Gaspar Noé. I venti che hanno
cominciato a spirare sul mondo del cinema indiano, un tempo elitario,
sono ancora tutti da capire e scoprire. La critica cinematografica Anna
M.M. Vetticad, una delle voci del #MeToo indiano, ha pubblicato un
articolo sul sito d’informazione The Quint in cui evidenzia quello che
va ancora affrontato per ottenere maggiore parità, a cominciare dalle
accuse di molestie, finora solo mormorate, nei confronti di alcuni
intoccabili del cinema indiano. Anche Kiran ammette che il #MeToo si è
silenziosamente intrufolato nella sua squadra prevalentemente femminile.
“Il movimento è nato in occidente e da molto tempo, ma non avremmo
immaginato che sarebbe arrivato così presto anche da noi. Pensavamo che
ci sarebbero voluti altri vent’anni. Basta questo a spiegare quanto
siamo indietro”. Il festival si è chiuso il 1 novembre con Widows.
Eredità criminale di Steve McQueen: un altro ilm con donne forti
impegnate in un’impresa, una rapina, tradizionalmente maschile. Kiran è
consapevole che la sua missione è solo all’inizio: “Ci battiamo per cose
basilari: il rispetto, il non essere prede di assalti e di sguardi
ossessivi, la gentilezza. La narrativa del femminismo e delle
rivendicazioni per noi è uno svantaggio. La gente pensa che odiamo gli
uomini. Ma non è così. Credo che prima di tutto dobbiamo ottenere i
diritti di base. Scordiamoci le grandi conquiste, per ora. Non partiamo
da zero, ma da molto più in basso. Quindi arriviamo almeno al livello
zero”.