lunedì 26 novembre 2018

Internazionale 25.11.18
Una ventata di novità
Di Mike McCahill, The Guardian, Regno Unito
Il #MeToo è arrivato in India. Ma in tema di molestie e discriminazioni Bollywood è ancora molto indietro


Introducendo la nuova stagione del più seguito talk show indiano, Kofee with Karan, il regista, produttore e presentatore Karan Johar ha dedicato la trasmissione al girl power appena scoperto anche da Bollywood, in un anno che è stato segnato da film di successo scritti e diretti da donne, come il thriller ad alta tensione Raazi e l’amara commedia a tema matrimoniale Veere di wedding. Le ospiti, ovviamente, erano donne di cinema: la regina indiscussa Deepika Padukone, di nuovo sorridente dopo la prova del fuoco di Padmaavat, il colossal uscito a gennaio tra numerose polemiche, e la splendida principessa Alia Bhatt, talentuosa protagonista di Raazi. A Bhatt, adagiata sul divano di Johar, è stato chiesto di scegliere tra i suoi gatti, protagonisti assoluti del suo profilo Instagram, e il bell’attore e produttore Ranbir Kapoor; Padukone ha allusivamente inarcato un sopracciglio quando invece le è stato chiesto qual è la prima cosa che nota in un uomo. Scelte difficili Anche se il tono leggero era a suo modo piacevole, risultava stranamente lontano dalle serie recriminazioni lanciate sui social network da donne che lavorano negli strati più bassi dell’industria cinematografica. Il movimento #MeToo indiano, cresciuto molto rapidamente a partire da ottobre soprattutto attraverso internet, ha proiettato la sua ombra sulla ventesima edizione del Jio Mami Mumbai film festival, che si è concluso il 1 novembre. “Il #MeToo è cresciuto proprio due settimane prima del festival, che è uno dei più grandi eventi cinematografici del paese, quindi avevamo tutti gli occhi puntati addosso”, ha detto la direttrice artistica Smrti Kiran, raggiunta nella sede del festival nel quartiere di Juhu, a Mumbai. “Volevano che ci assumessimo delle responsabilità. E noi eravamo pronti a farlo”. Così gli organizzatori si sono rimboccati le maniche e hanno tracciato delle linee rosse. Due film e tre cortometraggi sono stati cancellati dal programma del festival in seguito alle accuse sollevate nei confronti di alcuni dei loro autori. Un altro film, molto atteso dalla critica, Balekempa, è stato ritirato direttamente dai produttori dopo che il suo autore e regista Ere Gowda è stato accusato di molestie sessuali. Alla cerimonia di apertura, davanti al Gateway to India, il grandioso monumento della città vecchia, la direttrice del festival Anupama Chopra si è scusata con “tutte le persone deluse”, augurandosi “che la decisione di mettersi al ianco delle donne che hanno fatto sentire le loro voci porti a un nuovo clima costruttivo, inclusivo e giusto”. “È stata una decisione molto, molto dura”, dice Kiran. “Non posso sottolineare abbastanza quanto sia stato triste per noi. Dopo avere scelto di scartare i primi due film, abbiamo dovuto applicare lo stesso metro con tutti. Ma era una cosa che dove vamo fare, è necessario che le persone aprano gli occhi”. E alla fine, al posto dei film sono stati organizzati dei dibattiti. La sceneggiatrice e regista Ruchi Narain ha curato quattro seminari sul tema della condotta professionale nel mondo del cinema. In uno di questi l’avvocata Asiya Shervani ha guidato il pubblico attraverso l’oscura legge indiana sulle molestie sessuali, a cui si fa ricorso molto raramente. Come ha spiegato Kiran, “per noi è stato importante parlarne, non vogliamo che una questione così importante interessi le persone per un po’ e poi venga dimenticata. Non è stato fatto nulla di concreto, le gente si limita a dire: ‘Ah, c’è stato il #MeToo’, come se fosse un virus dell’influenza, che arriva ma poi passa. In uno dei seminari, invece di limitarsi a parlare per frasi fatte come spesso succede in queste occasioni, le persone si sono sfogate apertamente. Non c’erano timori, ed è stata una ventata d’aria nuova”. Ma i cambi di programma hanno fatto posto anche a una selezione di ilm realizzati da donne, facendo scoprire al pubblico un ilone del cinema indiano meno convenzionale. Rajma chawal, il ilm di Leena Yadav, prodotto da Netlix, afronta il tema dello scarto generazionale tra padre e iglio. Priya Ramasubban ha commosso con il suo Chuskit, la storia di una giovane paraplegica che adatta la sedia a rotelle alla sua casa sull’Himalaya. Il talento emergente di Rima Das, il cui Village rockstars è stato scelto quest’anno dall’India per concorrere all’oscar come miglior ilm straniero, ha catturato due volte l’attenzione del pubblico: la prima con un tufo notturno in piscina durante la festa d’inaugurazione del festival, la seconda con il suo ultimo ilm, Bulbul can sing, una dura presa di posizione sulla cultura della vergogna. Sotto zero Per Kiran questa piccola selezione porta comunque alla ribalta nuovi modi di pensare: “In passato siamo stati una nazione che produceva solo ilm su grandi temi, come la povertà. Raramente l’individuo era centrale, il ruolo di spicco era sempre della collettività. Da indiana, mi rendo conto che diamo così tanta importanza alla famiglia che l’individuo è oscurato. Ma è importante valorizzare l’individuo se vogliamo una società più sana”. Una maggiore visibilità del cinema internazionale, che arriva raramente perino nelle sale della cosmopolita Mumbai, potrebbe aver giocato un ruolo. Al festival circa cento persone sono rimaste in fila per cinque ore per vedere Un afare di famiglia, il film di Hirokazu Koreeda, Palma d’oro al festival di Cannes 2018. Ma il premio alla determinazione va alle persone rimaste in fila per dieci ore per il dubbio piacere di vedere Climax di Gaspar Noé. I venti che hanno cominciato a spirare sul mondo del cinema indiano, un tempo elitario, sono ancora tutti da capire e scoprire. La critica cinematografica Anna M.M. Vetticad, una delle voci del #MeToo indiano, ha pubblicato un articolo sul sito d’informazione The Quint in cui evidenzia quello che va ancora affrontato per ottenere maggiore parità, a cominciare dalle accuse di molestie, finora solo mormorate, nei confronti di alcuni intoccabili del cinema indiano. Anche Kiran ammette che il #MeToo si è silenziosamente intrufolato nella sua squadra prevalentemente femminile. “Il movimento è nato in occidente e da molto tempo, ma non avremmo immaginato che sarebbe arrivato così presto anche da noi. Pensavamo che ci sarebbero voluti altri vent’anni. Basta questo a spiegare quanto siamo indietro”. Il festival si è chiuso il 1 novembre con Widows. Eredità criminale di Steve McQueen: un altro ilm con donne forti impegnate in un’impresa, una rapina, tradizionalmente maschile. Kiran è consapevole che la sua missione è solo all’inizio: “Ci battiamo per cose basilari: il rispetto, il non essere prede di assalti e di sguardi ossessivi, la gentilezza. La narrativa del femminismo e delle rivendicazioni per noi è uno svantaggio. La gente pensa che odiamo gli uomini. Ma non è così. Credo che prima di tutto dobbiamo ottenere i diritti di base. Scordiamoci le grandi conquiste, per ora. Non partiamo da zero, ma da molto più in basso. Quindi arriviamo almeno al livello zero”.