il manifesto 7.11.18
Troppi silenzi, pubblici e privati
Femminicidi
. La serialità, nello spettacolo come nella vita reale, ha il potere di
spegnere sorpresa, emozione e, alla lunga, anche la voglia di pensare
di Lea Melandri
Violentano
e uccidono. Gli stupri di cui si ha notizia avvengono per strada, i
femminicidi quasi sempre tra le mura domestiche. «Il boia – si leggeva
negli striscioni della grande manifestazione dei collettivi femministi e
lesbici del 2007- ha le chiavi di casa». Gli aggressori sono uomini di
cui generalmente si dice che abbiano condotto una vita normale fino al
giorno in cui – spesso a seguito di una separazione-hanno impugnato
un’arma. Vittime: una moglie, una fidanzata, un’amante. Nel corso di
quest’anno sono 78 le donne uccise, l’ultima pochi giorni fa a Sala
Consilina, nel Salernitano,bruciata viva dal convivente.
LA
SERIALITÀ, nello spettacolo come nella vita reale, ha il potere di
spegnere sorpresa, emozione e, alla lunga, anche la voglia di pensare.
Si assiste, si registra il dejà vu, e se resta un po’ di forza si scrive
su fb a lettere cubitali “Basta!”. Anche i tentativi di stornamento –
il mostro è lo straniero- sembra che abbiano i giorni contati, come
l’ipocrisia di chi non si arrende a chiamare la violenza contro le donne
col suo vero nome: sessismo. Allora vuol dire che non c’è più niente da
fare, che non resta che rassegnarsi e di tanto in tanto comparire sulle
piazze con slogan e manifesti ormai logori per il silenzio che va
crescendo intorno? Il silenzio è di uomini ma anche di donne
inconsapevoli del potere che è passato sul loro sesso, o arrese per
troppe delusioni.
SONO PASSATI sette anni da quando una imponente
manifestazione, Se Non Ora Quando, portò al declino il berlusconismo,
che aveva offeso la dignità delle donne, ridotte a «oggetto di scambio
sessuale».
Oggi non si tratta più di pudore e di rispetto, ma di ripetuti attentati alla loro vita.
DOVE
SONO finiti i giornali, le televisioni che allora sostennero a gran
voce la necessità di una mobilitazione del femminismo, dato fino a quel
momento per silenzioso o morto? La verità è che, se i femminicidi sono
tornati a essere solo casi di cronaca nera per la maggior parte
dell’opinione pubblica, è perché non possiamo incolpare un governo –
anche se ha il volto di un uomo, come Matteo Salvini, che semina odio,
xenofobia, misoginia, omofobia – , e perché non c’è nessun partito che
possa trarre vantaggi elettorali da una causa come questa.
LA
VIOLENZA di maltrattamenti, atti persecutori che degenerano in
aggressioni mortali, gode di molteplici coperture: la riservatezza del
privato, la vergogna e talvolta persino il senso di colpa della donna
che la subisce, la paura di esporsi con una denuncia, ma anche
l’esitazione a vedere l’odio in quella che è stata una relazione intima.
Riconoscerla, quanto meno a parole, come «fenomeno strutturale»,
legarla alla storia del dominio di un sesso sull’altro, alla cultura che
le donne hanno loro malgrado dovuto fare propria, evidentemente non è
bastato ad aprire quelle porte di casa, a districare il perverso
annodamento di amore e violenza, sentimenti e logiche di potere, la
tenerezza dell’uomo-figlio e la tirannia del marito-padrone.
UOMINI
che oggi si interrogano sul peso che ha avuto la «virilità» nella loro
formazione e nei modelli di civiltà finora conosciuti non mancano, ma
sono l’esigua minoranza che i media, non a caso, si guardano bene dal
portare a conoscenza di un vasto pubblico.
È DAVVERO paradossale
che, in una delicata fase storica, come quella che stiamo attraversando,
sospesa tra nuove, promettenti prospettive antropologiche di
cambiamento e l’insorgenza di forme arcaiche di barbarie, non ci si
ponga la domanda più ovvia: perché la libertà delle donne, ma anche
quella di soggetti che escono dall’ombra di un secolare discredito per
chiedere un qualche risarcimento- come i poveri, i migranti in fuga da
guerre, disastri ambientali, tirannie e fame- fanno tanta paura? Quali
fragilità, dipendenze sono rimaste innominabili dietro l’apparente
autonomia della comunità storica degli uomini? Perché ancora tanta
omertà?
Viene il dubbio che, sotterraneamente, si sia fatta strada
la consapevolezza del capovolgimento avvenuto all’origine della specie
che, come dice Rousseau, ha visto il più forte soggiacere al più debole,
il potente corpo materno farsi umile e bisognoso di protezione agli
occhi del figlio, una volta divenuto padre di se stesso. Nel momento in
cui le donne non si fanno più trovare nei luoghi e nei ruoli in cui sono
state messe, a sostegno dell’individualità e del compito sociale
dell’altro sesso, anche la figura dell’uomo si rimpicciolisce, come
scrive Virginia Woolf, «diventa meno adatta alla vita».
NON SI
CAPISCE altrimenti perché la separazione, quasi sempre al seguito di
maltrattamenti e violenze psicologiche che la donna ha subito, possa
scatenare nell’uomo angosce odi così profondi da voler dare la morte,
all’altra e talvolta anche a se stesso.
A questo punto, viene da fare un’altra domanda: riusciranno le donne