Il Fatto 7.11.18
“Se si taglia la prescrizione i processi si accorciano”
“Basta bufale: solo in Grecia il sistema è simile al nostro. Per me lo stop dovrebbe partire anche prima”
di Gianni Barbacetto
La
riforma della prescrizione è diventata uno dei punti caldi del
confronto politico, anche dentro il governo. Piercamillo Davigo, ex pm
di Mani pulite, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e
oggi componente del Consiglio superiore della magistratura, è durissimo
con quelle critiche che ritiene siano, semplicemente, bufale.
Si sta
dicendo che la riforma della prescrizione proposta dal ministro della
Giustizia Alfonso Bonafede finisca per ledere gravemente i diritti dei
cittadini.
Il sistema di prescrizione come in Italia c’è soltanto in
Grecia. Bisogna farsi delle domande, prima di sostenere che vengono lesi
i diritti dei cittadini. Quando in Italia hanno introdotto il nuovo
codice di procedura penale, ci hanno raccontato che avremmo avuto il
processo all’americana. Ebbene: negli Stati Uniti la prescrizione si
blocca con l’inizio del processo. Quasi tutti gli argomenti che sono
usati in questi giorni non hanno alcun addentellato con la realtà. È
l’Italia l’anomalia: abbiamo un sistema giudiziario in cui un imputato
condannato in primo grado fa appello per avere ridotta la pena, ma
sperando in realtà di non scontare alcuna pena, neppure ridotta, perché
tanto arriverà la prescrizione.
Ma allungando i tempi di
proscrizione, dicono i critici, si allungherà anche la durata dei
processi, che in Italia è già esagerata.
Non è vero. Intervenendo
sulla prescrizione i tempi si accorciano. I processi in Italia durano
tanto perché ce ne sono troppi. E una causa è che ci sono troppi appelli
e ricorsi in Cassazione, fatti in attesa che arrivi la prescrizione.
Altra causa è che alcuni comportamenti che ridurrebbero la durata dei
dibattimenti non sono attuati, perché per gli imputati e loro avvocati è
più conveniente puntare sulla prescrizione del reato.
Ci fa qualche esempio?
Le
prove acquisite in indagine preliminare potrebbero essere acquisite al
dibattimento, ma ci vuole l’accordo delle parti, l’accusa e la difesa.
Questo accordo non c’è mai, perché le difese aspettano la prescrizione.
Se a un poveretto rubano il libretto degli assegni e questi vengono
spesi in dieci città diverse, il poveretto deve fare il giro di dieci
processi in dieci città, mentre sarebbe più rapido acquisire la sua
denuncia. Un altro esempio: l’articolo 525 del codice penale prevede che
le sentenze siano pronunciate soltanto dal giudice che ha acquisito le
prove. Ma nella vita reale succede che una giudice possa andare in
maternità, o che un giudice sia trasferito in un’altra sede. Che
succede? Se cambia la composizione del collegio giudicante, il processo
deve ricominciare da capo. E si può sperare nella prescrizione. Sa che
cosa succede invece negli Stati Uniti?
Che cosa succede?
Che il 90
per cento degli imputati si dichiara colpevole, se lo è, perché ha
interesse a limitare i danni. Semmai le critiche da fare potrebbero
essere sul momento scelto per bloccare la prescrizione.
Meglio il
momento della richiesta del rinvio a giudizio, come propone il suo
collega antimafia Nino Di Matteo, o dopo l’avvenuto rinvio a giudizio,
con l’inizio del dibattimento, come avviene negli Stati Uniti?
Si può scegliere. Ma c’è un’altra questione che non viene affrontata.
Quale?
In
Italia, se appellante è il solo imputato, non è possibile la reformatio
in peius della pena: chi fa appello può avere la pena cambiata solo in
meglio. Questo, per esempio in Francia, non c’è. Infatti in Francia solo
il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena da eseguire viene
appellato, mentre in Italia il 100 per cento: ti conviene e non rischi
nulla. Ma è così che, nella struttura piramidale della giustizia
italiana, le Corti d’appello saltano.
Le cifre dicono che solo il 20
per cento dei processi si prescrive dopo la sentenza di primo grado.
Dunque la riforma non interverrebbe sull’80 per cento delle
prescrizioni.
Il problema è che da noi la prescrizione non parte da
quando il pm acquisisce la notizia di reato, ma da quando il fatto è
avvenuto. Così le Procure della Repubblica scoprono molti casi che sono
successi magari 4 o 5 anni prima, che si prescrivono in 7 anni e mezzo e
con solo 2 anni e mezzo per fare le indagini e celebrare tre gradi di
giudizio. Impossibile. Sarebbe lavoro inutile, così le Procure li
lasciano prescrivere per dedicarsi a inchieste più utili. Poi c’è
comunque un imbuto tra Procura e Tribunale: a Roma la Procura ha 60 mila
processi pronti da mandare a giudizio, ma il Tribunale di Roma ne può
accettare soltanto 12 mila l’anno. Capisce che così il sistema non
funziona.
Che cosa si dovrebbe fare? Bisogna ridurre i processi…
Si deve depenalizzare drasticamente il sistema giudiziario. Ci sono troppi processi. Tutti questi processi non li possiamo fare.
Non è che i magistrati lavorano poco e anche per questo i processi in Italia sono lunghissimi?
Le
rispondo con le cifre della Commissione europea per l’efficacia della
giustizia, che è un organo del Consiglio d’Europa. Dicono che i
magistrati italiani, in quanto a numero di processi trattati, lavorano
il doppio di quelli francesi e il quadruplo di quelli tedeschi.
Molti
che erano in passato favorevoli alla riforma della prescrizione, ora
che è stata proposta, sembrano aver cambiato idea. Qualcuno anche tra i
suoi colleghi magistrati. Perché?
Lo chieda a loro.
Alcuni sostengono che andrebbe fatta una riforma organica, non introdotta con un emendamento.
Lei ha visto riforme organiche in questo Paese?