il manifesto 7.11.18
Sui migranti uno sfregio alla Costituzione
Dl
sicurezza. Il decreto è una summa di incostituzionalità che potrebbe
essere portato ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di
migrazioni
di Gaetano Azzariti
Il voto del
Senato sul decreto sicurezza è uno sfregio alla costituzione. Il
governo, scegliendo di porre la fiducia, ha persino impedito al
Parlamento di discutere delle palesi incostituzionalità delle norme che
si dovranno obbligatoriamente votare nella versione imposta dal
Consiglio dei ministri. Se neppure alla Camera verrà concesso di
discutere modifiche al testo predisposto, sarà evidente la crisi del
nostro sistema parlamentare. Che accadrà dopo la conversione in legge
del decreto?
Spetterà prima al capo dello Stato, in sede di
promulgazione, poi alla Consulta, in sede di sindacato incidentale,
esprimersi sulla manifesta incostituzionalità delle norme. Non è detto
dunque che la ferita inferta dal Senato alla costituzione non possa
essere almeno in parte riassorbita, sempre che i garanti sappiano far
sentire con coraggio e rigore la loro voce. Rimane in ogni caso il fatto
inquietante che l’attuale maggioranza non sembra preoccuparsi
minimamente dei limiti che la costituzione impone.
Eppure il
decreto sicurezza è una summa di incostituzionalità che potrebbe essere
portato ad esempio di ciò che non può essere fatto in materia di
migrazioni. Anzitutto lo stesso strumento prescelto vìola la
costituzione e la giurisprudenza costituzionale in materia. Illegittimo è
infatti l’uso del decreto legge per regolare fenomeni – quali le
migrazioni – di natura strutturale che non rivestono alcun carattere di
straordinarietà ed urgenza. Né può farsi valere in questa materia
un’interpretazione estensiva dei presupposti costituzionali, che altre
volte ha portato ad abusare dello strumento del decreto legge, poiché i
dati relativi al calo dell’80 % degli sbarchi, vanto dell’attuale
governo, in caso dimostrano la cessazione dell’emergenza. Si deve anche
dubitare che siano stati rispettati due altri caratteri ritenuti
essenziali dalla Corte costituzionale e dalla legge 400 del 1988:
l’omogeneità e l’immediata applicabilità di tutte le disposizioni del
decreto.
Ma è nel merito del provvedimento che si riscontrano le
più insidiose incostituzionalità. In materia di migrazioni la nostra
costituzione pone un principio fondamentale che non può essere in nessun
caso disconosciuto: l’articolo 10 assicura allo straniero il diritto
d’asilo. Secondo la consolidata giurisprudenza dei giudici ordinari esso
si configura come diritto soggettivo perfetto attribuito direttamente
dalla costituzione. Un Parlamento costituzionalmente orientato dovrebbe
dare la massima attuazione del principio costituzionale, ma con i tempi
che corrono ci si accontenta di molto meno. Ecco perché, in assenza di
una normativa adeguata, la Cassazione ha indicato nella misura del
permesso di soggiorno per ragioni umanitarie la «forma di attuazione»
del principio costituzionale (da ultimo sez. I, n. 4445/18). Una soglia
minima, dunque.
Non si può certo impedire che la normativa vigente
sia precisata e, magari, migliorata; quel che si deve però senz’altro
escludere è che essa possa essere eliminata. Ebbene il primo articolo
del decreto sicurezza invece proprio questo fa: abroga la protezione
umanitaria, sostituita da casi tassativi di permessi di protezione
speciale. In tal modo si viola l’articolo 10.
Quante volte abbiamo
sentito ripetere da esponenti politici di ogni tendenza che un’indagine
giudiziaria non può essere pregiudizievole. La presunzione di non
colpevolezza è un principio di civiltà, prima ancora che giuridico, di
enorme valore, scolpito nel testo della nostra legge suprema
all’articolo 27. E la nostra costituzione non fa certo differenza tra
cittadini e stranieri (si riferisce in generale all’«imputato»).
Il
decreto, invece, in evidente violazione con la richiamata disposizione
costituzionale, permette la lesione dei diritti degli stranieri relativi
alla difesa e impone l’obbligo di lasciare il territorio nazionale
qualora essi siano sottoposti a procedimento penale per una serie di
reati. Come se si fossero riscritti in un colpo solo tre articoli della
costituzione (24, 27 e 113) ritenendo che tutti possono agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti, senza poter essere
considerati colpevoli prima della sentenza definitiva e senza
limitazioni particolari per determinate categorie di atti. Tutti, salvo
gli stranieri.
D’altronde la discriminazione nei confronti degli
stranieri nel decreto non viene meno neppure quando questi abbandona il
proprio status. Anche qualora riuscisse ad ottenere la cittadinanza
italiana, non sarà mai considerato alla pari degli altri, a rischio di
revoca nei casi di condanna definitiva per alcuni reati. Questa
previsione appare in contrasto con due principi. Quello d’eguaglianza,
introducendo nel nostro ordinamento una irragionevole discriminazione
tra cittadini, e contravvenendo all’espressa indicazione di divieto
della perdita della cittadinanza per motivi politici (articoli 3 e 22)
Potrei
continuare a lungo, esaminando tutte le altre disposizioni del decreto,
dal prolungamento della detenzione amministrativa nei centri di
permanenze per il rimpatrio in contrasto con le garanzie legate alla
libertà personale, alle diverse previsioni che confliggono con il
principio di solidarietà, che vengono spazzate via dalla cancellazione
dei sistemi di accoglienza pubblica (Sprar). Lo spazio di un articolo
non consente di andare oltre. Il tempo della democrazia lo pretende.