il manifesto 27.11.18
Russia-Ucraina, la guerra torna extra-large
di Tommaso Di Francesco
Russia/Ucraina
. La Nato extra-large si caratterizza per la costruzione di decine e
decine di basi militari ormai disseminate in tutto l’Est-Europa e nel
Mar Nero, luogo dell’incidente, sulle coste romene e bulgare; con il
dispiegamento del sistema dello Scudo antimissile in Polonia e Romania;
con il controllo dei bilanci della difesa di tutti questi Paesi, che
sono poi gli stessi recalcitranti verso una Unione europea democratica,
sovranazionale e accogliente; e con una miriade di manovre militari. Il
tutto a ridosso dei confini russi
Stavolta
l’espressione «venti di guerra» non è un modo di dire ma una realtà.
L’incidente di Kerch a questo potrebbe preludere: ad una condizione in
Europa ben più grave della Guerra fredda. Navi da guerra ucraine in
acque russe – perfino l’Ue ieri ha ammonito Kiev a «rispettare il
diritto internazionale» -, cannonate e sequestro delle stesse da parte
della Marina militare di Mosca, l’Ucraina che dichiara la legge marziale
e attacca nel Donbass, i neonazisti del battaglione Azov che presidiano
piazza Majdan. Lo spettro del precipizio è sotto i nostri occhi. Al di
là della cronaca di rimpalli di responsabilità, c’è uno strumento al
quale partecipano tutti i governi europei, che ha preparato questo
scenario degenerato in scontro armato.
Naturalmente non è la Casa
comune europea agognata da Gorbaciov dopo il crollo del Muro di Berlino
nell’89; si tratta invece della strategia dell’allargamento a Est della
Nato. Per la quale dal 2004 tutti i paesi dell’ex Cortina di ferro
(tranne la Russia), nonostante il Patto di Varsavia si fosse sciolto nel
1995, sono entrati nel Patto atlantico a rinforzare un assedio all’ex
Unione sovietica che però non esisteva più. È già accaduto che
l’allargamento a est della Nato – contro il quale si sono espressi
perfino ministri della difesa Usa e tanti, inascoltati, consiglieri dei
presidenti americani – sia diventata guerra aperta: è stato nell’estate
del 2008 quando il premier georgiano Saakashvili, incoraggiato proprio
dalla Nato, attacco militarmente i territori abkhazi che in terra
georgiana, insieme all’Ossetia, si erano proclamati indipendenti.
La
Russia reagì subito duramente e fu un disastro per la Georgia e il suo
leader che, da quel momento in poi venne praticamente cacciato dal suo
stesso paese per poi riciclarsi addirittura come ministro in Ucraina, e
per finire arrestato proprio dal presidente Poroshenko.
La Nato
extra-large si caratterizza per la costruzione di decine e decine di
basi militari ormai disseminate in tutto l’Est-Europa e nel Mar Nero,
luogo dell’incidente, sulle coste romene e bulgare; con il dispiegamento
del sistema dello Scudo antimissile in Polonia e Romania; con il
controllo dei bilanci della difesa di tutti questi Paesi, che sono poi
gli stessi recalcitranti verso una Unione europea democratica,
sovranazionale e accogliente; e con una miriade di manovre militari. Il
tutto a ridosso dei confini russi.
La menzogna che motiva questo
allargamento è la difesa della democrazia, con riferimento esplicito
alla crisi in Ucraina: ma nel Paesi Baltici, in particolare l’Estonia,
vigono regimi formalmente democratici ma dove, denunciano l’Onu e il
Consiglio d’Europa, sono violati i diritti umani delle minoranze, a
partire da quella russa; e, mentre per le regioni ribelli del Donbass la
Russia resta aperta alla trattativa sull’autonomia all’interno
dell’Ucraina, sulla vicenda Crimea si addensano le narrazioni
occidentali che hanno da tempo attivato sanzioni economiche contro
Mosca.
Dimenticando fra l’altro come questo evidente stato
d’assedio continuo da parte del Patto atlantico verso la Russia è a dir
poco controproducente e aiuta sostanzialmente Putin a conservare ben
saldo il potere. Inoltre quel che ha fatto la Russia con la Crimea,
storicamente russa e regalata nel 1954 dal Cremlino a Kiev all’interno
della compagine che era ancora l’Unione sovietica, è un misfatto molto
meno grave di quello che la Nato ha realizzato in Kosovo, tradendo la
pace di Kumanovo, che pose fine alla guerra «umanitaria» di 78 giorni di
raid aerei, autorizzando una indipendenza unilaterale nel 2008 che
ancora divide i Paesi Ue e l’Onu.
E che resta una ferita aperta
intorno alla base militare americana di Camp Bondsteel. In Crimea un
referendum con più del 90% di partecipanti c’è stato, a Pristina votò
solo il 43% degli aventi diritto; tuttavia quella indipendenza, per uno
Stato che tutti definiscono sostanzialmente «criminale» venne
sponsorizzata e riconosciuta subito dagli Usa e da decisivi paesi Nato,
come Germania e Francia. Quanto dovremo ancora aspettare perché si renda
evidente il dramma al quale come Italia stiamo partecipando. Che aiuta
il disastro in corso dell’Europa. Giacché il necessario e prezioso
sovranazionalismo dell’Unione non è messo a repentaglio solo dai nefasti
sovranismi nazionali alimentati dall’insorgente populismo xenofobo, che
stupidamente aspetta l’avvento di un’altra Commissione dopo le elezioni
europee del 2019: quando è chiaro infatti che sarà una Europa senza
futuro e senza Unione e invece zeppa di sovranismi nazionali l’un contro
le altre armati.
Quel che è chiaro in queste ore è che nemico del
sovranazionalismo europeo è anche il sovranazionalismo militare della
Nato, tutt’altro che democratico e per Statuto eterodiretto altrove, dai
Comandi Usa; che insidia i processi democratici (dal territorio ridotto
a servitù militari, alla ri-dislocazione di centinaia di atomiche in
Europa e in Italia; ai bilanci della difesa che per Trump vanno
aumentati. La crisi armata nel Mar Nero questo dice. Altro che
chiacchiere sull’Ue che avrebbe mantenuto in questi anni la pace,
scaricando invece guerre nel sud-est europeo, nel Caucaso e rivolte
armate come in Ucraina. Proviamo ad ascoltarlo il rumore sordo del
precipizio.