il manifesto 21.11.18
Ascesa e declino di un clan
Roma. Il
blitz è scattato ieri all’alba, con un ingente schieramento di forze
dell’ordine. Sequestrate, nella borgata semiperiferica del Quadraro,
otto villette appartenenti ai Casamonica
di Giuliano Santoro
Il
blitz avviene nottetempo, in una zona della città non degradata e
neanche popolare, a cavallo tra centro e periferia. A passeggiare oggi
tra la Tuscolana e il bel parco di Tor Fiscale, pare quasi impossibile
ricordare di quando Roma era una città fatta di baracche. E pensare che
ancora alla metà degli anni Settanta 830 mila persone, un terzo degli
abitanti della capitale, viveva dentro mura costruite abusivamente.
Proprio attorno all’antico Acquedotto Felice – dove prima che sorgesse
l’alba si sono presentati 600 agenti di polizia e 20 automezzi blindati
per sgomberare e sequestrare alcune ville appartenenti al clan dei
Casamonica – sorgeva una città di lamiera e abitazioni di fortuna. Qui
anche allora vivevano i Casamonica.
È IN QUEL PERIODO, negli anni
Settanta del secolo scorso, che la famiglia di origine sinti dei
Casamonica si trasferisce dall’Abruzzo nella capitale. La storia
parrebbe analoga a quella dei tanti altri arrivati a ridosso delle mura
della città storica e costretti a vivere nello slum della borgata. C’era
il popolo dell’abisso dei baraccati e c’era il resto della città.
All’Acquedotto
Felice in quegli anni Luigi Comencini scelse di ambientare Lo scopone
scientifico. Nel film, lo straccivendolo Alberto Sordi e la di lui
consorte Silvana Mangano si spostano a bordo di un’Ape smarmittata per
raggiungere la villa della «vecchia», una ricca Bette Davis, sedersi al
tavolo verde e giocare d’azzardo con le carte napoletane. «Tutta la
storia di Roma è la storia della spinta centrifuga di chi sta meglio
contro chi sta peggio», diceva Giorgio Caproni. Comencini rappresenta
quella distanza, enorme e al tempo stesso ridotta, tra le due città
attraverso il viaggio a bordo del treruote che conduce la coppia di
sottoproletari dalle baracche fino alla villa di lusso dove abita
l’anziana ludopatica alla quale Sordi spera di «portare via tutto».
La
storia dei Casamonica si muove in questo spazio, assomma nello stesso
luogo quelle due tipologie abitative: non c’è bisogno neanche di
spostarsi perché basta qualche lustro e le baracche diventano ville di
lusso. Questa trasformazione costituisce una trama alternativa, un esito
parallelo di quel conflitto, un altro modo per arraffare il bottino.
«Noi abitiamo qui da cinquant’anni», urlavano ieri notte i membri della
famiglia ai giornalisti, come se le loro zucche diroccate si fossero
trasformate in lussuose carrozze per magia alla stessa maniera in cui
l’incoscienza sottoproletaria e l’arroganza aristocratica si sono
mescolate nel giro di qualche decennio.
IL FALDONE DI QUASI MILLE
pagine con le ordinanze di arresto dell’inchiesta di Mafia Capitale
prendeva le mosse dalla mitopoiesi della Banda della Magliana. Nelle
prime pagine delle carte si citava la forza evocativa, la narrazione
diremmo oggi, del sodalizio criminale che qualsiasi pesce piccolo di
qualsiasi bar di periferia a Roma ad un certo punto si vanta con ogni
avventore di aver frequentato. Quel Romanzo Criminale, epopea ellroyana e
italianissima al tempo stesso, è stato divulgato in forma di fiction
dal magistrato Giancarlo De Cataldo. Il suo libro, secondo altri
magistrati colleghi di De Cataldo, ha alimentato il mito
dell’invincibile Massimo Carminati, incrementandone il capitale sociale
da spendere negli affari loschi.
Anche il nome dei Casamonica
circola da tempo a mezza bocca tra i coatti di periferia e nelle brevi
di cronaca romana. Solo che fino a poco tempo fa finiva sempre fuori dai
radar delle grandi inchieste giudiziarie. Ricostruendo la storia delle
reti criminali di Roma, il sociologo delle mafie Vittorio Martone
ricorda di quando, solo qualche anno addietro, questa ampia rete
familiare che «sistematizza il metodo delle piazze di spaccio in diversi
quartieri della città» venne derubricata da un magistrato romano come
«banda radicata sul territorio che non ha, però, la struttura
verticistica e la capacità di affiliazione delle organizzazioni
criminali mafiose».
Si capisce che il clima cambia nel 2015: al
funerale di Vittorio Casamonica compare una banda che suona la colonna
sonora del Padrino, Rolls Royce, cavalli e un elicottero che lancia
sulla chiesa di don Bosco petali di rosa.
L’ostentazione di potere
crea polemiche e mette la famiglia che conta circa mille affiliati
sotto i riflettori. In una recente relazione della Direzione
investigativa antimafia si segnalano, nel Lazio e a Roma, «diverse
formazioni criminali ben strutturate». Assieme ai Di Silvio, agli Spada e
ai Fasciani compare il nome dei Casamonica e si tracciano alleanze con
mafia, camorra e ‘nrangheta. Nella città che fa da camera di
compensazione tra diverse organizzazioni, e dove quindi non esiste un
gruppo dominante, i Casamonica si segnalerebbero per usura, estorsioni,
traffico di droga e per il riciclaggio di capitali. Risale a poco più di
un anno fa la confisca di varie auto di lusso e di una villa e terreni
in provincia di Roma. Poi scattano i sigilli su 430 beni per un valore
di oltre 4 milioni di euro.
Particolari delle villette sequestrate ai Casamonica, Foto LaPresse
LE
VILLE DEI CASAMONICA rappresentano il mutamento e la crescita di
un’economia criminale che dalla bassa manovalanza e la semplice fedeltà
al clan familiare è passata a volumi di affari imponenti.
«È un
giorno storico», spiega soddisfatta Virginia Raggi che fin dalle prime
ore del mattino si presenta in via del Quadraro. «Alcune case avevano
persino inglobato interi tratti dello storico acquedotto romano»,
prosegue la sindaca per denunciare l’abuso per eccellenza. Ma questa
particolarità edificatoria deriva proprio dal modo in cui le baracche
venivano erette. Ancora oggi, passeggiando lungo il Mandrione, le
strisce di mattonelle lungo le colonne romane consentono di riconoscere
il modo in cui le mura portanti delle baracche si appoggiavano alla via
dell’acqua romana.
Lo slum diventa villa, la stamberga si
trasforma negli anni fino a diventare una residenza di lusso e cattivo
gusto, con tigri di porcellana, carrozze di cartapesta, secchielli
argentati per le bollicine, calici smeraldo, porte imbottite di
Swarovski e troni dorati. La Suburra delle serie tv prende forma dentro
gli otto villini sequestrati nottetempo dalla sindaca e dal ministro
Matteo Salvini, che non si lascia sfuggire il set televisivo e promette
di tornare a bordo di una ruspa, quando scatteranno le demolizione vere e
proprie.