il manifesto 21.11.18
Una inquietudine anarchica che rifiuta l’aristocrazia del pensiero
«Sulla vocazione politica della filosofia», di Donatella Di Cesare per Bollati Boringhieri
di Roberto Ciccarelli
In
un’epoca in cui i governi cercano di controllare ogni spazio attraverso
una politica ridotta a governance poliziesca, provvedimenti
discriminatori e razzisti, in un crescendo di sovranità più
fantasmatiche che reali, nel suo nuovo libro Donatella Di Cesare Sulla
vocazione politica della filosofia (Bollati Boringhieri, pp.179, euro
15) esplora una politica alternativa basata sull’anarchismo.
NELL’URGENZA
teorica che la filosofa romana sta coltivando negli ultimi anni, la
ricerca si concentra sulla responsabilità politica del pensatore basata
su una domanda di giustizia per i senza patria e gli sfruttati,
l’esercizio di una libertà fuori dai limiti tradizionali della filosofia
politica che non è senz’altro riservata ai filosofi, ma è tale quando
risuona nella comunanza delle donne e degli uomini. L’aspirazione
platonica della filosofia a farsi totalità e identificarsi con la
statualità sovrana è stata contrastata dall’inquietudine di Socrate. Per
lui la filosofia non acquieta, non consola, non rassicura, ma è stupore
e trauma. Il conflitto si squaderna: contro la filosofia che si fa
Stato, c’è una filosofia che vive in un non luogo, mette a soqquadro
l’ordine, rende stranieri a se stessi e pensa a partire da un non
sapere. Questo, sottolinea Di Cesare, è l’inizio della filosofia, un
inizio che è sempre nel mezzo delle cose, non afferma la pretesa a una
comunità chiusa in se stessa, ma la invita a considerarsi a partire
dalla sua costitutiva precarietà. In suo nome Socrate diventa una figura
abissale. Eccedente è il suo aspetto, scomoda è la sua smania di
domandare, senza mai dare risposte ed esercitando la funzione
inesauribile della critica.
COSÌ IL FILOSOFO si sporge fuori di
sé, «verso l’oltre e l’altro». La sua è una xenofilia, ama il fuori da
sé. Instancabile evoca il conflitto che amplia, modifica, fa
ricominciare la vita in continuazione. Questa intuizione sta alla base
di un libro importante come Stranieri residenti. Una filosofia della
migrazione (Bollati Boringhieri) e alimenta la genealogia che Di Cesare
ora esplicita quando rifiuta l’aristocrazia del pensiero e identifica il
filosofo con il non-cittadino, gli immigrati, i profughi, gli
accattoni, i giocatori d’azzardo, i nomadi, i disoccupati, i precari, i
flâneurs. Era così Socrate, così è oggi il filosofo che esercita la
politica contro il suo sapere, in nome di un’etica della rivoluzione e
della critica.
Non potrebbe essere più grande la distanza tra
questa vocazione politica e la tradizione filosofica, tra la genealogia
del filosofo in quanto xenofilosofo e il filosofo come soggetto dello
Stato e della sua sovranità. Qui non è in discussione solo il
tradizionale conflitto tra lo Stato e l’anarchia.
Il conflitto è
contro il ripiegamento del soggetto su se stesso, la penosa sensazione
da fine del mondo, il mimare la catastrofe tra l’auto-negazione
depressiva, il vittimismo celebrativo e il godimento nel rispecchiamento
dell’impotenza del soggetto neoliberale. Questa è la cifra del successo
della morale dominante, tra le più ricercate nel sistema mediatico e
nei saperi accademici che meditano sulla morte e speculano sul Sé inteso
fatalmente come impresa e capitale umano. La xenofilosofia è invece
un’etica del risveglio, e del ricominciamento ed è l’antitesi all’incubo
filosofico di cui siamo prigionieri.
DI CESARE mostra gli
insospettabili punti di contatto tra il culto del capitale umano e le
politiche neo-sovraniste e razziste: l’annullamento dell’altro come
straniero o nemico nella competizione capitalistica contro i quali si
riversa l’angoscia di un’esistenza chiusa al fuori, all’evento, allo
stupore. Politica è invece abitare rischiosamente il mondo, mettendo in
crisi le sue ambizioni al controllo e al potere, alla ricerca delle
risonanze con chi può cambiare la vita rinchiusa in una monade senza
finestre.
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[Il libro sarà presentato domani 22 novembre
alle 14,30 nella Sala Nassyria del Senato da Marco Damilano, Roberto
Esposito, Federico Lijoi, Roberto Rampi, Elettra Stimilli]