il manifesto 1.11.18
Il Pakistan non giustizierà Asia Bibi, l’ira degli islamisti
Asia.
 L’Alta corte annulla la condanna per blasfemia, protestano i gruppi 
religiosi radicali. Il premier Imran Khan in tv difende i giudici e 
minaccia reazioni: «Lo Stato va rispettato»
di Emanuele Giordana
L’assoluzione
 dal reato e la liberazione di una donna da otto anni nel braccio della 
morte con l’accusa di blasfemia e ritenuta innocente dall’Alta Corte del
 Pakistan. La reazione, verbalmente violenta e con manifestazioni di 
piazza di gruppuscoli islamisti radicali. La presa di posizione forte in
 difesa della magistratura da parte del neo premier Imran Khan. Sono, in
 questa sequenza, i tre fatti che hanno ieri connotato una delle 
giornate più calde che il nuovo esecutivo pakistano si è trovato ad 
affrontare e che raccontano con quanta difficoltà stia cambiando il 
Paese dei puri. Il caso è quello di Asia Bibi.
Cristiana di 53 
anni, madre di cinque figli (che vivono a Londra), era nel braccio della
 morte dal 2010 accusata di aver commesso blasfemia nel 2009 e 
condannata in primo grado alla pena capitale, in seguito confermata 
dall’Alta corte di Lahore. Accusata da due musulmane di aver offeso il 
profeta, Asia Bibi diventa un caso internazionale che vede impegnati dai
 gruppi per i diritti umani al Vaticano.
Ma anche in Pakistan si 
discute. Più che animatamente. Gli islamisti più radicali plaudono. 
Altri si oppongono. Nel 2011 l’ex governatore del Punjab Salman Taseer, 
che ha preso posizione a sostegno di Bibi, viene ucciso in pieno giorno a
 Islamabad. E mentre nel 2015 i legali della donna tentano l’ultimo 
appello alla Corte suprema chiedendo l’abrogazione della condanna, 
l’assassino di Taseer, Mumtaz Qadri giustiziato nel 2016 per omicidio, 
diventa il protagonista di un altro caso e di altre proteste. Ieri la 
sentenza di assoluzione riscalda nuovamente gli animi.
La reazione
 degli islamisti è immediata e diffusa: Islamabad, Peshawar, Karachi, 
Lahore. Il volano della protesta è il gruppo Tehreek-e-Labbaik Pakistan 
(Tlp) guidato dal religioso Khadim Hussain Rizvi, uno dei maggiori 
fautori della morte di Bibi e difensore di Qadri.
L’islamista in 
sedia a rotelle per infiammare la folla sceglie parole forti: dice che i
 giudici della Corte suprema meritano di essere uccisi. Passa il segno. 
Con tutto il suo peso politico entra allora in azione senza esitazioni 
il premier Imran Khan. Accusa «segmenti» della popolazione di usare un 
linguaggio che viola le più elementari regole della convivenza del Paese
 e di attaccare ingiustamente la magistratura il cui operato deve sempre
 essere rispettato.
Imran Khan sceglie la tv per difendere i 
pilastri del diritto con una mossa che non ha molti precedenti in un 
Paese dove i gruppi islamisti hanno spesso mano libera, tollerati quando
 non sostenuti più o meno direttamente. L’uomo nuovo della politica 
pakistana, che si porta dietro l’appellativo di «Taleban Khan» per la 
sua fedeltà ai principi dell’islam e l’attacco all’ingerenza americana 
in Afghanistan e nel suo Paese, sembra aver voluto chiarire che con lui 
le cose cambieranno. E che essere buoni musulmani non significa ignorare
 le regole dello stato di diritto. Mette in guardia chi tira troppo la 
corda: se necessario lo Stato reagirà. Lo fa con la mobilitazione delle 
forze dell’ordine nei luoghi sensibili per prevenire violenze.
Il 
Punjab ha scelto di tenere oggi le scuole chiuse. E per domani ci si 
aspettano altre manifestazioni. Forse un messaggio televisivo non 
basterà a calmare le acque. Ma è un segnale importante in un Paese dove,
 ricorda Al Jazeera, oltre 70 persone sono state uccise in violenze 
legate ad accuse di blasfemia e dove una corte può ancora comminare la 
pena di morte per questo reato anche se poi, nell’80% dei casi, 
l’imputato viene assolto. I condannati sono per ora, com’era per Bibi, 
nel braccio della morte in attesa che la sentenza venga eseguita.
 
