il manifesto 11.11.18
Privato vuol dire privare
Referedum
Atac. Il trasporto pubblico è un bene comune. Il nostro giornale lo
rivendica dai tempi della vittoria del Sì sull'acqua pubblica. Le
stagioni di privatizzazioni hanno svenduto patrimoni di danaro, ricerca,
consapevolezza: per questo siamo per il No.
di Tommaso Di Francesco
Per
dovere d’informazione democratica questo giornale ieri ha riportato sia
le posizioni dei comitati per il Sì che quelli per il No. Ma non siamo
al di sopra o fuori la vicenda della richiesta di privatizzazione
dell’Atac, l’azienda di trasporti di Roma. Non lo siamo anche perché il
manifesto è stato parte in causa del grande movimento che, con milioni
di voti, ha vinto in Italia sette anni fa il referendum sull’acqua
pubblica, con il quale abbiamo difeso, per tutti, un decisivo bene
comune. Si dirà che allora si è trattato di un bene «naturale». Nel
capitalismo e in quello finanziario che viviamo, di naturale c’è rimasto
ben poco, tutto è ridotto o in via di riduzione a merce e a titolo di
scambio. Il trasporto, da questo punto di vista, se naturale non è
comunque, è attività umana e settore fondamentale. Presiede sia alla
circolazione dei cittadini, delle merci e della forza lavoro (vecchia,
nuova e immateriale che sia), sia alla progettazione-visione degli spazi
urbani, e non solo. È dunque anch’esso un bene comune. Pensare di
privatizzarlo, più di quanto non lo sia già e più di quanto è stato, è
davvero sbagliato se, naturalmente, vogliamo pensare ad un futuro del
nostro vivere civile.
Certo, è vero che il trasporto pubblico a
Roma non funziona; che ci vorrebbero più linee per creare minore
esclusione; che gli autobus sono pochi, vecchi e malandati e prendono,
con sospetto, persino fuoco; che sono improduttivi e con il bilancio a
rosso fisso; che le assunzioni sono spesso clientelari, spartite tra
partiti più o meno di potere insediatisi in Campidoglio ecc. ecc. Tutto
questo è vero. Ma la convinzione profonda è che, se si vuole avere un
potere di controllo sull’ambiente devastato, sullo sviluppo informe,
negativo, irrazionale e già privatizzato della città, non possiamo non
riconoscere che l’improduttività del trasporto pubblico dipende proprio
dal trasporto iper-privato delle milioni di macchine che intasano la
viabilità impedendo ogni possibilità alla redditività del trasporto
pubblico – oltre ad essere diventate, quale megaparcheggio accatastato
tra un monumento e l’altro, l’unico vero e orribile arredo urbano
esistente. E il pesante bilancio in rosso è però a fronte di una offerta
di servizio che nessun capitalista privato- la «concorrenza» di cui
parla il quesito referendario -, legato alla logica del profitto, ha in
testa di realizzare, mentre probabilmente pensa solo ad una speculazione
momentanea pronto ad essere remunerato «pubblicamente», con i nostri
soldi, alla prima crisi. Quanto alla clientela e ai lavoratori, è vera
anch’essa: ma solo la rivendicazione della difesa del trasporto come
bene comune può essere l’antidoto partecipativo al disinteresse
sindacale di classe, per un settore che invece dovremmo considerare più
che produttivo.
E poi un’ultima ma non secondaria considerazione.
Se si apre la porta al trasporto pubblico, avanzerà la banda, già
fortissima, dei privatizza tori della sanità…e poi della scuola, per non
parlare dei rifiuti, il bene emergente il cui controllo è fondamentale
per la stessa democrazia. E così via. Ma non sono bastate le stagioni di
privatizzazioni con le quali, per fare cassa, in questi decenni governi
di destra e di centrosinistra, hanno svenduto letteralmente patrimoni
di danaro, ricerca, consapevolezza: tutti i gioielli dello Stato? Noi
non crediamo che la statalizzazione e la pubblicizzazione siano sinonimo
di socialismo (anche se bisognerebbe riflettere sul valore storico del
municipalismo socialista); al contrario ha rischiato più volte di
diventare il supporto allo sfrenato strapotere del capitalismo privato,
nazionale e internazionale. Ma, se si vuole progettare la sola esistenza
di un futuro civile, i beni comuni sono un’altra cosa: devono essere
pubblici e naturalmente controllati socialmente e mirati ai fini del
bene pubblico collettivo, come da Costituzione. Il trasporto non è una
merce, noi che lo usiamo siamo utenti non clienti, diversamente da
quanto annunciano gli altoparlanti della metro.
Dunque oggi si può
andare a votare sul referendum o ci si può astenere. Ma oltre
all’immaginario della privacy, da difendere, per noi privato vuol dire
privare. E di privazioni non ne possiamo più.